Nancy Brilli: “Non mi piace l’estremismo del Me Too. Voglio siano rispettati tutti i diritti” - La Stampa

Mancano due giorni a domenica e Nancy Brilli è già in temperatura. Non vede l’ora che arrivi la serata finale di Lovers, quella della premiazione al Cinema Massimo, di cui lei sarà madrina. «Mi divertirò tanto, ne sono certa. Sono da sempre una sostenitrice della causa e mi piace che i diritti di tutti siano rispettati. Con Luxuria ci siamo incrociate diverse volte, compresa un’edizione di Muccassassina in cui mi hanno addirittura nominata drag queen onoraria. Sarà perché a volte mi concio stramba stramba».

Che ruolo può giocare il cinema nella battaglia per i diritti?
«Un ruolo importante, come tutte le forme d’arte. Può raccontare la realtà e dare spazio e voce a chi non ce l’aveva. È tanto».

Il Me Too pare aver perso colpi ultimamente. Ne è una sostenitrice?
«Ne condivido la causa, ma gli estremismi non mi piacciono. Gli Stati Uniti hanno il vizio delle mode e questo è il momento delle culture “cancel” e “woke”, sui cui carri tutti si affannano a saltare. Sono certa che questa fase passerà, ma ora come ora siamo alla negazione del passato, un’inutile idiozia. La storia, quando non la si conosce, è destinata a ripetersi».

Com’è entrato il cinema nella sua vita?
«Un giorno per caso. Ero compagna di scuola di Vittoria Squitieri, figlia del regista Pasquale. Suo padre stava cercando un volto come il mio per interpretare Miriam Petacci da giovane in “Claretta”. Ho iniziato così, a vent’anni, senza aver mai nemmeno sognato di fare l’attrice. Stavo studiando grafica pubblicitaria e fotografia, tutt’un altro mondo».

Senza la sliding door del cinema, che cosa avrebbe fatto nella vita?
«È quello che mi sono chiesta durante il Covid, quando tutto saltava, i teatri erano chiusi, si iniziava un film e dopo due giorni si chiudeva perché la troupe era malata. Di fame comunque non morirei, sono una che si rimbocca le maniche e fa qualsiasi cosa. Magari la sarta, visto che cucio bene. Anche in questo sono un po’ drag».

Prima di farlo, al cinema ci andava?
«In realtà no, perché sono allergica al fumo e all’epoca le sale ne erano sature. Ma non allergica un pochino, allergica che mi si gonfiano le mucose e ci resto secca. Ricordo che per vedere “Lilli e il vagabondo” dovetti cercare una sala parrocchiale in cui le sigarette erano proibite».

Senza sapere che un giorno quel film l’avrebbe ridoppiato.
«Chi l’avrebbe mai detto, in effetti? Quando nel 1997 la Disney ha voluto cambiare le voci dei personaggi mi ha chiamata per prestare la mia alla cagnolina Gilda e ai gatti Si e Am, prima doppiate da un mito come Tina Lattanzi. È stata la mia unica esperienza con una major americana, lì ho capito cosa vuol dire avere mezzi e possibilità illimitati».

L’inizio degli anni Novanta è stato per lei un periodo di premi. Che cosa ne ricorda?
«I viaggi. Ero sempre in giro, non stavo ferma mai. E anche l’entusiasmo. Non era molto che avevo iniziato e tra il ’90 e il ’94 mi sono trovata subito a vincere il David e il Nastro d’Argento con “Piccoli equivoci” di Ricky Tognazzi. E a essere candidata con “Tutti gli uomini di Sara” e “Italia-Germania 4-3”».

In quante occasioni ha girato a Torino?
«Diverse. Una è proprio “Italia-Germania 4-3”. Ricordo che quel film l’avevamo fatto davvero con due lire, ma io, Ghini e Bentivoglio eravamo un trio molto affiatato. Tornavamo dal set in motorino, portandoci dietro la bobina di pellicola da consegnare alla Rai di via Verdi, per farla sviluppare. Altro che buona volontà, di più».

La città le piace?
«Moltissimo. Spero di trovare aperti i posti in cui voglio andare. Tipo il Museo Egizio, è tanto che non lo visito. O anche solo andare un po’ in giro. Da romana devo dire che la mia città la sua bellezza te la sbatte in faccia, mentre quella di Torino ti arriva dopo un po’ che la conosci, entrandoti nel cuore. Mi dà anche l’idea che ci si viva bene, mi piacerebbe provare».

Come sta oggi il cinema italiano rispetto agli anni in cui lei ha iniziato?
«Meglio e peggio. C’è più spazio per le donne e per la diversità, ma anche tanta competizione con le piattaforme. E poi c’erano le sceneggiature, le prime star di un film. Oggi di autori del livello di Age e Scarpelli, Suso Cecchi D’Amico, Benvenuti e De Bernardi non ce ne sono più».

Cosa pensa della possibile riforma ministeriale del tax credit applicato al cinema?
«Da quando ho vinto il David faccio parte della giuria del premio. Quest’anno ho visto che sono stati prodotti 200 film, ma quanti ne sono usciti davvero in sala? Credo che di una riforma ci sia bisogno, il cinema deve smettere di essere un posto in cui scroccare un po’ di soldi con titoli fantasma».

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