Poker Face Recensione

Poker Face: la recensione del film di (e con) Russell Crowe

16 ottobre 2022
3 di 5

Un pasticcio irredimibile. O forse un B-movie disordinato e bislacco, che tenta a modo suo, e con grande onestà, la via di un'improbabile profondità. Presentato come evento congiunto Alice nella Città - Festa del Cinema di Roma. Recensione di Federico Gironi.

Poker Face: la recensione del film di (e con) Russell Crowe

A seconda del punto di vista dal quale si decide di osservarlo, Poker Face può essere tante cose. La prima, spiace dirlo, un pasticcio irredimibile. Alcuni, però, di fronte alla dissennatezza con la quale Russell Crowe - che, va detto, si è fatto carico di un progetto a monte non suo e reso complesso da varie problematiche, come ha raccontato lui stesso - ha deciso di mescolare temi e situazioni, utilizzando lo stesso sguardo inguaribilmente patinato su esperienze psichedeliche, corse d’auto, partite a poker e tentativi di rapina, potrebbero tendere a una non incomprensibile indulgenza.
Quel che è certo è che Poker Face è un B-movie, sebbene un B-movie sui generis. Che di quella categoria riprende superficialità e facilonerie e gusto per l’eccesso, ma che a tutto questo cerca con generosità e qualche evidente goffaggine di mescolare qualcosa di più complesso. Di più profondo, se vogliamo.
Che ci riesca, compiutamente o pure sono, è un altro paio di maniche. E importa il giusto

E allora meglio rimanere in superficie. Sulla superficie di queste immagini sature e calde, curatissime, pubblicitarie. Su Crowe che osserva pensoso opere d’arte o si sottopone a ritiri allucinogeni a base di scopolamina arrivando però in Rolls Royce. Su Crowe che organizza una serate di poker in una villa ultralusso piena di quadri che valgono milioni (o centinaia di) al solo scopo di mettere i suoi amici di fronte alla verità. Alle verità: la verità di una sua particolare condizione, e quella dei loro rapporti.
Che poi questa serata venga condita, o turbata, dall’arrivo di personaggi improbabili e bidimensionali (che magari svaniscono così come sono apparsi: in maniera improbabile), o che quello che pareva un dramma psicologico legato al gioco d’azzardo si tramuti, quasi, in una versione rivista e corretta di Panic Room beh: anche quello poco importa.

Che lo si giudichi con severo cipiglio critico o col ludico e ridanciano atteggiamento di chi cerca nell’assurdo, nello sbilenco e nell’improbabile un guilty pleasure (molto guilty e poco pleasure, o forse viceversa), Poker Face rimane un oggetto strambo e disallineato, che se ne frega bellamente di quel che avrebbe dovuto essere o fare, che si basta nelle buone intenzioni e in certi risvolti di contenuto.
Un po’ come il suo regista e interprete principale (se non, per certi versi, unico), Russell Crowe: uno che oramai, nello star system contemporaneo, pare un corpo felicemente estraneo. Uno che crede davvero alle cose che dice, ai sentimenti che racconta al cinema, e che racconta con un talento e un'intensità che emergono (magari a sprazzi) anche dagli atteggiamenti istrionici, narcisi e gigioni. O da un film, come questo, scombinato ma con un cuore onesto.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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