
The Batman – Tra genere e cinecomic
La nostra recensione in anteprima e senza spoiler di The Batman, di Matt Reeves
Quando nel 2008 Il cavaliere oscuro esce nei cinema, la Warner Bros. è sul tetto del mondo. Il secondo capitolo della trilogia cinematografica di Christopher Nolan dedicata a Batman stabilisce il più alto incasso di debutto nella storia del box office nordamericano, consacra definitivamente il suo autore nell’olimpo dei registi contemporanei e setta il nuovo standard aureo con cui trasporre al cinema gli eroi del fumetto seriale. La strada da percorrere è chiara, le icone del fumetto americano sono tele bianche da affidare a registi capaci di unire l’appeal commerciale a una personale visione autoriale. All’indomani del successo nessuno ha fretta in casa Warner, le mosse successive sono la conclusione trionfale della trilogia e preparare il campo per il rilancio dell’altra grande IP in loro possesso: Superman.
Nello stesso anno, con meno clamore, un altro cinecomic fa capolino nei cinema americani. Iron man è caratterizzato da una proposta diametralmente opposta a quella di Nolan. in cabina di regia c’è un solido mestierante come Jon Favreau, l’approccio alla materia è scanzonato e intriso di consapevolezza post-moderna. Gli incassi sono la metà di quelli de Il cavaliere oscuro ma comunque sufficientemente buoni da permettere al giovane produttore Kevin Feige di procedere con un ambizioso piano editoriale in divenire. L’Incredibile Hulk uscirà a distanza di pochi mesi, mentre vengono messi in cantiere un sequel di Iron Man e altri due cinecomic. È il 2008 e nessuno ha ancora sentito parlare di universo cinematografico condiviso.

Fast-forward di 14 anni e la Disney, proprietaria dei Marvel Studios, è sul tetto del mondo. Il progetto editoriale di Feige a nome di Marvel Cinematic Universe sembra inarrestabile, ancora di più dopo i fasti post-pandemia dell’ultimo Spider-Man: No Way Home. La Warner ha passato invece l’ultimo decennio ad arrancare, cercando di mediare tra la sua iniziale proposta di cinecomic autoriale e una affrettata emulazione dell’universo Marvel. I risultati si alternano tra il disastroso, con il semi accantonato universo cinematografico condiviso di Zack Snyder, ed exploit inaspettati per lo stesso studio con il successo di opere come Joker, la cui matrice produttiva è un ritorno marcato alla visione prettamente autoriale che aveva fatto la fortuna della trilogia di Nolan. Il reboot di Batman, una delle IP in assoluto più importanti tra quelle in possesso della Warner, mette in chiaro quale strada lo studio abbia intenzione di perseguire, e il The Batman di Matt Reeves prende la forma di una vera e propria dichiarazione di guerra.
Con una durata che sfiora le tre ore, un tono di messa in scena dilatato e assolutamente privo di umorismo e una totale assenza di collegamenti al resto dell’universo cinematografico DC Matt Reeves sembra aver ben chiaro quale strada debba prendere il cinecomic contemporaneo. La determinazione con cui The Batman rivendica una tale autonomia rispetto alla concorrenza ha dell’impressionante. Da spettatori ormai assuefatti a narrazioni dal ritmo incessante, battutine meta e una impostazione registica che rasenta l’anonimato ci si sente quasi impreparati. La regia di Matt Reeves assume la forma di un’ammirabile flessione di muscoli, una masterclass di perfezione maniacale nella messa in scena e d’atmosfera cinematografica. Dalla splendida fotografia fatta di campi lunghi e lenti anamorfiche alle curatissime scenografie di Gotham e l’incredibile lavoro di sound-design che anima la città.

Allo stesso tempo Reeves procede nella revisione del prodotto cinecomic tradizionale, sfrondandolo di ogni elemento fantastico come Nolan e avanzando in maniera ancora più estrema e radicale nella messa in scena di un altro genere: il neo-noir. Il Joker di Todd Phillips ci aveva dimostrato come nascondendolo sotto le vesti del cinecomic si potesse ancora proporre al pubblico il cinema dei grandi character study di matrice New Hollywood. Per Reeves si tratta del noir revisionista degli anni ‘70, titoli come Il braccio violento della legge, Chinatown, Una squillo per l’ispettore Klute. Allo stesso tempo la regia meticolosa e l’inquietante indagine sugli omicidi seriali compiuti dall’Enigmista si ricollegano ai thriller procedurali a tinte horror di David Fincher come Seven o Zodiac. Il risultato è che durante la visione di The Batman viene da domandarsi più volte se quello che stiamo vedendo sia ancora definibile come cinecomic o una intromissione nel genere puro, con tanto di voce narrante hard boiled e una misteriosa femme fatale.

Eppure dal punto di vista del protagonista il Batman di Reeves è quasi un ritorno alle origini. Non è una reinvenzione radicale come quello di Nolan né una estremizzazione dissacrante come quello di Snyder. In quella che può sembrare una messa in scena inedita Reeves recupera un lato spesso ignorato nelle precedenti trasposizioni cinematografiche dell’uomo pipistrello, quello del miglior detective del mondo e del gusto per l’indagine che ha fatto la fortuna di run fumettistiche come Il lungo Halloween. L’idea del giovane e inesperto Batman, in questo caso in attività da due anni, è declinata invece dalla serie Anno uno. L’interpretazione dell’ottimo Robert Pattinson prende le distanze dalle incarnazioni muscolari e crepuscolari del passato, il suo Batman è un eroe ancora in formazione, abile nell’ingegno e risoluto nell’uso della violenza atta ad instillare il terrore nelle strade malfamate di Gotham. Le poche volte che lo vediamo negli insofferenti panni di Bruce Wayne è un giovane rampollo recluso nella sua magione, perseguitato dal trauma del passato e dipendente dal costume di pipistrello quanto una droga.

Se Pattinson riesce a caricarsi sulle spalle una durata talmente mastodontica è anche grazie a un cast di comprimari d’eccellenza. Jeffrey Wright interpreta un inedito commissario James Gordon, finalmente spalla attiva nelle avventure di Batman, mentre l’irriconoscibile Colin Farrell ruba la scena a tutti quando compare nei panni del Pinguino. Ma sarebbe da citare anche l’ottimo lavoro svolto da caratteristi come Andy Serkis, John Turturro e Peter Sarsgaard, tutti chiamati ad animare con gran mestiere parti minori. Paul Dano e il suo enigmista sono protagonisti delle sequenze più genuinamente disturbanti del film, anche se il personaggio soffre di una scrittura non pienamente riuscita, così come la Catwoman di Zoë Kravitz a tratti non appare totalmente a fuoco all’interno della storia.

The Batman è una strana creatura nel panorama dei cinecomic contemporanei, se non in quello dei blockbuster americani in toto. Prende per mano lo spettatore e lo trascina lungo tutti i suoi 176 minuti di durata senza mai smettere di credere all’ambizione di rimettere in scena l’epica del grande cinema d’intrattenimento. Inciampa più volte trascinandosi su un finale a cui si arriva stremati, soffre di un cattivo non all’altezza delle altissime aspettative create nella prima ora e di un’indagine che culmina in una rivelazione quasi anti climatica. Eppure non si può fare a meno di ammirare una tale ambizione e forza di volontà cinematografica. Quella di una macchina hollywoodiana perfetta in ogni suo reparto, atta a uno sforzo congiunto per calarti in una realtà parallela circoscritta a quei 176 minuti di racconto proiettato su uno schermo in una sala buia. Da spettatori non si può che rimanere sbalorditi, domandandosi quand’è che abbiamo smesso di aspettarci così tanto dall’asticella del cinema americano.
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