Cannes 2024, Paolo Sorrentino sul red carpet: «Parthenope? È la storia di un mistero»

Cannes 2024, Paolo Sorrentino sul red carpet: «Parthenope? È la storia di un mistero»

A Cannes l’evento Sorrentino, unico film italiano in concorso

Paolo Sorrentino tra Dalla Porta e Sandrelli
Paolo Sorrentino tra Dalla Porta e Sandrelli
di Titta Fiore
Martedì 21 Maggio 2024, 23:04 - Ultimo agg. 23 Maggio, 07:21
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Parthenope nasce tra le onde, nel mare di Posillipo davanti a Palazzo Donn’Anna. Attraversa primavere danzanti di abiti leggeri e le notti incantate di Capri, conosce la seduzione e i tradimenti, s’immerge nella luce di albe magnifiche con il Vesuvio sullo sfondo, bello come labbra dischiuse di donna, e nelle ombre di strade scrostate, dove le alleanze del malaffare sono sigillate da unioni carnali.

Parthenope è misteriosa e libera come Napoli, la città mondo di cui si fa metafora nel nuovo film di Paolo Sorrentino, molto applaudito ieri sera in concorso, unico italiano alla conquista della Palma d’oro. La sua storia è un racconto di formazione e una riflessione sul tempo che passa e trasforma il vitalismo sfrenato della giovinezza in uno sguardo struggente sul senso del limite. «Nel cuore del racconto non c’è nostalgia, malinconia, né rimpianto» dice il regista premio Oscar, «ma il passaggio dell’età. La verità non fa parte della giovinezza, un luogo dove gli incidenti di percorso vengono rimossi e si ha a che fare con l’insincerità. È il racconto epico del sé, che si interrompe quando dalla vita estetica si passa alla vita etica e dopo l’età in cui si balla da soli arriva il tempo della responsabilità».

Sorrentino cita Kierkegaard e l’amato Céline, nel film passa dagli anni Cinquanta ai giorni nostri scandendo le tappe dei più importanti cambiamenti sociali, culturali e politici della città: il laurismo, il colera, gli anni Settanta con il movimento studentesco, il terremoto e via, fino alla festa infinita dello scudetto. «Parthenope» è una lettera d’amore per Napoli? «È un film che nasce dal desiderio di misurarsi con il mistero. Il mistero della donna e di Napoli, che in alcuni momenti si sovrappongono». Per la prima volta ha voluto una storia al femminile: «Ho rinunciato fin da subito all’ambizione di raccontare la donna, ma ho pensato che fosse interessante mettere in sintonia il mio lato femminile con la protagonista. Gli uomini credono, con il loro proverbiale infantilismo, che lo scorrere del tempo non li riguardi, invece con le donne ho trovato subito una corrispondenza profonda».

Parthenope è Celeste Dalla Porta, bruna e intensa, che cosa l’ha colpita di lei? «Innanzitutto sa recitare e ha attitudine a replicare gli accenti, nessuno direbbe che non è napoletana, è credibile a diciotto come a trentacinque anni e, cosa importantissima per me, porta dentro di sé una sorta di dolore imperscrutabile, lo stesso di Stefania Sandrelli in “Io la conoscevo bene”. Quel dolore che compare nel momento in cui gioisci della giovinezza, perché ne intravedi già la fine». Parthenope studia antropologia, e di cos’altro è maestra Napoli da sempre, se non di profondissima e spietata umanità? E quante facce ha la città che si bea della propria bellezza abbagliante e sfacciata, ma non sa liberarsi della grettezza di uno sguardo obliquo sulle cose della vita, chiusa nei suoi irredimibili vizi? Napoli che ti ferisce a morte o ti addormenta, come diceva La Capria nel romanzo che Sorrentino ha pensato un tempo di trasformare in un film. E ora eccola la sua bella giornata, incarnata nel corpo di una femmina sapiente nata nella spuma del mare.

Dice ancora il regista: «Parthenope e Napoli sono entrambe indefinibili, una scopre il potere di mettersi in scena nel fulgore della giovinezza, l’altra è la città più teatralizzata del mondo capace di rappresentarsi in una eterna recita». Tra il comandante Lauro sindaco e padre padrone, l’invettiva di una diva con un look alla Sophia Loren che rinnega in un impeto di amore feroce e disperato le sue origini e la sua lontana miseria, il razionalismo del cattedratico Silvio Orlando che si chiama non a caso Marotta e nasconde un segreto fatto «di acqua e sale», e le trasgressioni di un cardinale che turbano anche le reliquie del santo patrono, Sorrentino attinge al senso del sacro: «Da laico, per me il sacro è tutto ciò che nella biografia di un individuo non si dimentica.

Il resto non è rilevante. In questo senso “Parthenope” è un film sul sacro».

La seduzione e il dolore sono due elementi, «due mezzi di comunicazione veloci», che corrono per tutto il film, come accadeva per altre strade anche ne «La grande bellezza»: «Il criterio, però, è rovesciato, in quel film c’era uno sguardo disincantato sul mondo, qui c’è una persona incantata dal mondo».

Nel cast formidabile Gary Oldman è John Cheever, lo scrittore americano perso tra alcol e malinconie che Parthenope incontra a Capri: «Ho vissuto momenti in cui non mi era difficile capire lo stato di autodistruzione del mio personaggio, ora sono sobrio da 27 anni, ma ai tempi avremmo potuto fare insieme monumentali bevute» dice l’attore premio Oscar per «L’ora più buia»: «Paolo sa creare ruoli meravigliosi, belli dentro e fuori, ho voluto a tutti i costi lavorare con lui».

Stefania Sandrelli è Parthenope da anziana, «ha capito che la vita non la riguarda più di tanto, ma aspetta di provare ancora una volta una vertigine». Luisa Ranieri è la diva al tramonto Greta Cool, «una donna disillusa, frustrata nella sua condizione artistica, amareggiata. Con la città le viene incontro il passato ed emergono i dolori, il rimpianto rabbioso di quello che è stato e non ha avuto».

Isabella Ferrari ha recitato con una maschera sul viso: «Mi è piaciuto molto, mi sono sentita libera di fare un viaggio interiore senza i condizionamenti della bellezza». Peppe Lanzetta è il cardinale Tesorone, seduttore e sedotto, «un personaggio poetico che aiuta a fare i conti con quello che c’è in fondo all’anima di un uomo». Dario Aita e Daniele Rienzo accompagnano Celeste Dalla Porta nel suo viaggio nella giovinezza: «Paolo mi ha consigliato di ricercare la libertà sempre, anche a costo di sbagliare» racconta lei, «è stata un’esperienza totalizzante».

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«Parthenope», che ha riportato il regista a Napoli due anni dopo «È stata la mano di Dio», è prodotto da The Apartment (gruppo Fremantle) e Pathé in associazione con Numero 10, Saint Laurent e PiperFilm, uscirà in sala in autunno ed è già stato venduto in mezzo mondo. Che effetto fa essere l’unico italiano in gara, Sorrentino? «Nella vita sto bene da solo, e anche qui. Sono molto emozionato e contento, Cannes è il luogo dove sono “esploso”, senza questo festival non avrei potuto fare tutto ciò che ho fatto».

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