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Come nasce un tour dei Rolling Stones

Dietro le quinte delle prove di Mick, Keith e Ronnie: la progettazione, i partner tecnici, gli stadi. Per i concerti di ‘Hackney Diamonds’ hanno preparato dalle 60 alle 70 canzoni. «Hanno mantenuto standard alti persino nei periodi più incasinati della loro storia»

Come nasce un tour dei Rolling Stones

La prima data del tour di ‘Hackney Diamonds’ dei Rolling Stones

Foto: Amy Harris/Invision/AP

Patrick Woodroffe collabora coi Rolling Stones dai tempi del tour europeo di Tattoo You del 1982. Sa come Mick Jagger, Keith Richards, Ronnie Wood e il resto della band lavorano su e giù dal palco. «Il vero privilegio è vederli fare le prove», racconta su Zoom in collegamento dall’Arizona il giorno prima di un concerto. «È eccitante anche dopo tutti questi anni. Prima di partire per un tour, provano per almeno tre, quattro settimane. Niente costumi di scena, niente scenografia, niente fumi né effetti speciali. E ovviamente niente pubblico. Ognuno arriva con la sua auto, si salutano, prendono gli strumenti e in un modo o nell’altro iniziano a suonare».

E continuano a suonare e suonare e suonare provando classici come Satisfaction e Gimme Shelter, ma anche pezzi che possono decidere di inserire o togliere dalla scaletta. Per il tour di Hackney Diamonds, che è partito ad aprile da Houston, hanno fatto un mese di prove a Los Angeles e hanno preparato dalle 60 alle 70 canzoni.

«Pazzesco, vero?» dice Woodroffe, direttore creativo e lighting designer di Woodroffe Bassett Design. «Hanno mantenuto standard alti per le prove persino nei periodi più incasinati della loro storia. Quando li vedi così, durante le prove, vedi un gruppo di chitarristi che vogliono far musica e basta».

Quel che poi vedono gli spettatori è ovviamente tutt’altra cosa. In quest’ultimo tour, la figura di Jagger è proiettata su megaschermi alti quasi 6 metri, il palco è largo 180 metri per 65 di profondità. In totale, ci sono quasi 2300 metri quadrati di schermi LED ad alta risoluzione.

Progettato da Stufish Entertainment Architects, il palco pesa oltre 200 tonnellate, l’equivalente di una settantina di cybertruck della Tesla. Il tour richiede il lavoro di 200 persone, 14 delle quali fanno parte della troupe video, compresi sei operatori che fanno sembrare gli Stones larger than life.

L’idea è quella del palcoscenico virtuale che viene adattato nel corso del concerto. Se il palco dello Steel Wheels a fine anni ’80 evocava un mondo distopico e quello del tour di Voodoo Lounge di metà anni ’90 era un riflesso della cultura di Internet, quello di Hackney Diamonds cambia di canzone in canzone, manco fosse un profilo social che viene scrollato. E così, ogni canzone ha un look personalizzato, dalle immagini fino alle luci.

«Abbiamo dato una bella rinfrescata», dice Ray Winkler, CEO e design director di Stufish Entertainment. «È come se il palcoscenico fosse calato nei media digitali e questo lo rende contemporaneo e pulito. Non stiamo parlando di una scenografia fissa, ma di immagini che cambiano in continuazione». Lo spiega Woodroffe: «Vedi magari un edificio semplice e geometrico, e in un attimo c’è la natura che prende il sopravvento, un secondo dopo c’è la bandiera americana tipo quelle di Jasper Johns». Il tutto, aggiunge, è pensato acciocché vi sia una logica, una coesione d’insieme.

«Nel mese di prove, la band ha preparato la metà circa dei 12 brani di Hackney Diamonds. Finora dal vivo ne sono stati fatti quattro. La troupe si è preparata a un numero ben maggiore e quindi è in grado di non farsi prendere allo sprovvista nel caso la band decidesse di suonarne di più».

Le canzoni sono divise in categorie ben distinte: i primi pezzi dello show, le canzoni di Richards, gli home run come Woodroffe chiama i brani che chiudono il set principale, i bis. «Il tutto è strutturato in modo tale che si può cambiare una canzone in scaletta senza che cambino il feeling e il tempo, senza perdere il flusso o la concatenazione del set». Winkler spiega che si tratta di un grande sforzo collettivo: «È un’impresa gigantesca trasformare in realtà un progetto del genere. Ci sono molti eroi che restano nell’ombra e che contribuiscono al successo».

The Rolling Stones - Mess It Up (1st time played) - Live - NRG Stadium - Houston TX - April 28, 2024

Al fine di definire l’aspetto e l’atmosfera del tour, in passato Woodroffe lavorava a stretto contatto con Jagger, col batterista Charlie Watts, morto nel 2021, e con Mark Fisher, il fondatore di Stufish scomparso nel 2013. Cominciavano a lavorarci un anno e mezzo prima del debutto. Questa volta, dopo aver iniziato in autunno con Jagger e Winkler, Woodroffe ha illustrato il concept anche a Richards e Wood, e pure loro hanno dato un contributo. A quel punto hanno progettato le scenografie, collaborato coi costumisti e commissionato video allo studio Treatment, per poi rivedersi tutti assieme per le prove e far combaciare i pezzi.

Il design e le luci del tour di Hackney Diamonds hanno iniziato a prendere forma col lancio dell’album lo scorso settembre a Londra. Alcune idee per le luci sono state provate durante il concerto di ottobre a New York. A quel punto, il tour non era ancora confermato, ma Woodroffe e il suo team erano convinti che fosse solo una questione di tempo, così hanno iniziato comunque a lavorarci con Winkler, Stufish e la società a cui affidano la realizzazione delle parti video. A novembre, dopo pochi mesi di produzione, è arrivato l’annuncio ufficiale del tour. A quel punto avevano tutto il tempo di perfezionare il progetto.

«Non volevamo una cosa troppo patinata», spiega Woodroffe. «Il pubblico di una band del genere è in grado di capire se una performance è autentica o meno. È la colonna sonora della vita di tutto, del pubblico e degli Stones. Ci donano la loro musica, è una sorta di abbraccio ed è una cosa di fondamentale importanza». Winkler dice qualcosa di simile: «A fine giornata, vuoi che tutti i pezzi combacino per migliorare la performance degli Stones davanti a quelle folle immense».

Woodroffe ha programmato le luci del tour a Chicago e ha ritrovato la band a Houston per cinque giorni di prove. «È stata un’emozione vedere tutto quanto montato per la prima volta e capire che eravamo sulla giusta strada. Una volta superati i primi ostacoli, arriva la parte divertente, e cioè mettere assieme musica e immagini per creare qualcosa di unico». Dopo aver supervisionato il primo concerto a Houston, Woodroffe non è tornato subito a casa in Inghilterra, ma ha visto altri due show. In quanto direttore creativo, si è assicurato che filasse tutto liscio anche a New Orleans, dove gli Stones hanno suonato al Jazz Fest, e a Glendale, Arizona.

Nel caso la band voglia progettare un altro tour, Woodroffe si tiene pronto. «Non è possibile sapere quando gli Stones faranno il loro ultimo concerto. Nessuno lo sa. E non perché sia una informazione coperta da chissà quale mistero. Molto semplicemente, è così che fanno le cose. Finiscono un tour e vanno in vacanza. Poi i promoter propongono nuove date, loro dicono di sì e… si ricomincia».

Da Rolling Stone US.