Ivo Stefano Germano è docente di Media digitali e Strategie della comunicazione politica e istituzionale presso l'Università del Molise. È autore di numerosi saggi e articoli scientifici, nonché monografie, tra cui: #Quartierinogauchecaviar. Sneackers rosse eppur bisogna andar, Pendragon, Bologna 2018; Aside Story. La fatica delle vacanze (con S. Borgatti), goWare, Firenze 2017; New Gold Dream. E altre storie degli anni Ottanta (con D. Masotti), Pendragon, Bologna 2013.

Niente di nuovo. Tutto, tanto, troppo che, oramai, sa  d’antichissimo. Garantista e libertario poco avvezzo a mattinali di questura che tanto eccitano tagliagole, mozzorecchi e manettari dei risvolti giudiziari di Federico Lucia, in arte Fedez, e della sua appassionata difesa al salone del libro di Torino (ah signora mia quando si dice l’endiadi) m’interessa poco o nulla. Ben di più, la dinamica, la modalità, le figure che compongono la fisiognomica e gli esiti di un nuovo presepe del costume nazionale.

Il rapper imprenditore, un tempo costola di una sigla aziendal-famigliare, cioè i “Ferragnez” che tutto poterono e altrettanto colonizzarono dell’immaginario nazionale, il personal trainer, Cristiano Iovino, gli ultrà della curva sud del Milan, Islam Hagag alias Alex Cologno e Alessandro Sticco. In breve: il collasso di ogni immaginazione possibile, attuabile, di fronte alla modalità precisa, il raid, non sappiamo se per vendetta o per lesa maestà. Disinteressatissimi al “cherchez la femme”, a grattare perbenino la superficie delle cose, senza troppo  indugiare sulla mole e i volti dei sodali ultrà di Fedez, reperiamo simbologia di radicale separatezza e pendant visivo del raid armato.

Basta la via del raid: Marco Ulpio Traiano. Non luogo metropolitano, ennesimo scenario da Fight club ricorrentissimi in ogni città che si rispetti, compendio imprescindibile dei soliti particolari in cronaca snocciolati nella finta sorpresa di talk show. Nocche delle mani sfondate nelle grida lancinanti, unite a calci  e pugni che roteano e mulinano in cieli freddi e anonimi. Corpi agganciati l’uno all’altro nell’inedito valzer con la morte che è, sempre, un raid. Riottosa rappresentazione di un branco anonimo alla ricerca dell’emozione perduta, oramai, collocata solo in ritornelli alla moda. Che è più di un blitz e meno di un ring. Tutte vittime del pompaggio dell’economia politica dello spettacolo e il senso di distrazione sociale, della noia e del graduale schifarsi degli altri nel raid. Prima individuale, poi sempre più diffuso. Un tetro presepe, smargiasso anzi guappo, Senza un perché, ma con tanti come, semmai. Oltre al danno aziendale, la beffa dell’influencer che avrebbe ordinato il raid, denudando l’assenza del benché minimo senso di colpa e senso del limite della nostra società. Memo Remigi salvala tu Milano.

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