Elizabeth Strout: “La mia America oggi è peggiorata, sempre più divisa” - la Repubblica

Genova

L’incontro

Elizabeth Strout: “La mia America oggi è peggiorata, sempre più divisa”

genova la scrittriceelizabeth strout al ducale
genova la scrittriceelizabeth strout al ducale 
La scrittrice americana Premio Pulizer a Palazzo Ducale, a presentare il suo ultimo romanzo “Lucy davanti al mare” (Einaudi): “I miei personaggi non mi abbandonano, mi entrano dentro”
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“Vedrai, non devi fare nulla in acqua. Solo stare ferma. Ti tiene a galla, giuro”, dice Mary, protagonista di uno dei racconti in Tutto è possibile, ambientato a Bogliasco. Solo stare ferma: perché la vita ti travolge — e ti sorprende — comunque. Il mare di Elizabeth Strout è l’oceano. L’Atlantico cangiante e spumoso del Maine, «ci sono cresciuta davanti, a pochi metri. È entrato dentro di me, è nel mio Dna». Ma, per scrivere, l’autrice americana si è immersa anche in quello ligure, a Bogliasco: è qui, nella “Villa degli americani” della Fondazione Villa dei Pini, che è nata la sua “Lucy” di “Mi chiamo Lucy Barton”. Protagonista che torna in altri romanzi, perché «sono i miei personaggi che mi entrano dentro, mi cercano e non mi abbandonano più», racconta l’autrice Premio Pulitzer per “Olive Kitteridge”, ieri nella Sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale. Dove ha presentato “Lucy davanti al mare” (Einaudi): scrittrice anche Lucy, in questo romanzo in fuga da New York mentre esplode la pandemia. Sarà William, il suo primo marito, uomo di scienza, a intuire la catastrofe. La pandemia ribalterà equilibri e relazioni: anche quella di due ex coniugi che credevano di aver esaurito le sorprese. «Nei miei libri — racconta Strout — sono da sempre interessata alle persone. Non a ideali o a temi di altro tipo, ma alla gente. Olive Kitteridge mi è arrivata subito: perché è un personaggio vero».

L’isolamento, la paura dell’altro, la vita che ribalta ogni prospettiva e travolge: sono i temi dell’autrice. Qui, c’è anche l’attualità che irrompe: il razzismo, con l’uccisione di George Floyd. L’assalto a Capitol Hill. «La situazione negli Stati Uniti è peggiorata rispetto a quel periodo — riflette Strout — la nostra nazione è sempre più divisa. Nel romanzo, Lucy fa amicizia con una signora che fa le pulizie, e poi scopre con disagio che è una grande fan di Donald Trump. Lei riesce a fare amicizia con chi pensa diversamente, oggi negli Stati Uniti sarebbe molto difficile. Le persone, all’interno della stessa famiglia, o tra amici, non si parlano perché hanno ideologie diverse».

Domanda inevitabile: quanto c’è dell’autrice nel suo personaggio-doppio, Lucy? «Guardare le cose con i suoi occhi durante la pandemia mi ha aiutata — spiega Strout — ho scritto il romanzo proprio durante quel periodo, ed è stato positivo per me entrare nella sua testa. Ma io non ho sofferto l’isolamento. Mi piace, fin da bambina. I miei genitori vivevano in una casa isolata, e io ho trascorso molte ore da sola, nei boschi e nei campi. Ero molto felice: era magico, tra fiori e piante. È stato questo, credo, che mi ha aiutata a diventare scrittrice. Mi ha regalato la capacità di pensare e di stare bene con me stessa».

Nei suoi romanzi, il tema della solitudine ricorre. Lucy dirà: si è soli di fronte al dolore. E poi ci sono gli altri, «palline da ping pong — sorride l’autrice — mi piace questa teoria: l’idea che ci si incontri, o ritrovi, solo scontrandosi per puro caso». Qui, con la pandemia e il rovesciamento di regole e spazi, subentra anche la paura dell’altro. «Le persone avevano davvero esposto cartelli con la scritta: via i newyorkesi, perché c’era l’idea che portassero il virus — riflette Strout — la mia protagonista si trova in un nuovo contesto, e questo le crea grande stupore: è come se si trovasse in un Paese straniero. Ma si adatta. È quello che mi piace raccontare: l’adattabilità. La capacità di tutti noi ad affrontare situazioni anche molto difficili».

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