La guerra a Montecassino, 80 anni fa

La guerra a Montecassino, 80 anni fa

La battaglia di Montecassino, conclusa il 18 maggio 1944, causò la distruzione dell’antica abbazia benedettina e fu una delle più intense della campagna d’Italia durante il secondo conflitto mondiale

L'abbazia di Montecassino al termine dei combattimenti

L'abbazia di Montecassino al termine dei combattimenti

Foto: Pubblico dominio

«Un trombettiere polacco, in piedi davanti alle tetre rovine dell’abbazia di Montecassino, ha suonato oggi la famosa chiamata Hejnal della Polonia, mentre la battaglia per l'Italia entrava in una nuova fase». Scrisse così il New York Times pubblicando un dispaccio d’agenzia arrivato dal fronte europeo, all’indomani della sconfitta nazista a Montecassino, dopo una battaglia tremenda costata decine di migliaia di vite e la distruzione di uno dei monasteri benedettini più importanti d’Italia, fondato nel 529 d.C. La breve melodia «Hejnal» citata nell’articolo, cioè una chiamata a raccolta della tradizione popolare polacca con forti accenti religiosi, metteva a fuoco tutta la drammaticità del momento, sullo sfondo di un tremendo conflitto mondiale nel quale, armi in pugno, si decideva il futuro del continente. 

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Nella penisola, dove quella guerra infuriava, la battaglia di Montecassino fu uno snodo cruciale. Vide fronteggiarsi senza esclusione di colpi i tedeschi e le armate alleate a guida statunitense e britannica, in supporto delle quali arrivarono soldati provenienti da tutto il mondo: indiani, neozelandesi, nepalesi, francesi (comprese le truppe coloniali, marocchine e algerine), e poi sudafricani, polacchi e anche un contingente italiano del Regno del Sud, la realtà politico-amministrativa che, nel meridione, faceva capo al re Vittorio Emanuele III e al capo del governo Pietro Badoglio. Quanto accaduto nel frusinate dal gennaio al maggio 1943 non fu mai dimenticato.

La campagna d’Italia

Nel 1943 l’Italia fu frazionata e frammentata, se non del tutto divisa. Gli esiti disastrosi della guerra avviata dalla classe dirigente del regime fascista, lo sbarco in Sicilia degli angloamericani, la destituzione di Mussolini, l’armistizio di Cassibile dell’8 settembre, il rovesciamento della posizione dell’Italia (passata dall’essere il sodale di ferro del Terzo reich all’aspirante cobelligerante degli Alleati), e poi la fulminea invasione tedesca, pienamente attuata già all’inizio dell’autunno, crearono le condizioni per un inasprimento delle tensioni e per l’esplodere della violenza su larga scala. Nel centro-nord si compattarono le truppe e i corpi militari degli occupanti tedeschi, potendo contare sul supporto attivo della neonata Repubblica sociale italiana (RSI), cioè l’espressione più radicale di un fascismo ferito e in cerca di vendetta, tanto soggetto alla volontà e alle direttive naziste quanto feroce contro partigiani, oppositori e civili non disposti a piegarsi al nuovo potere.

Paracadutisti tedeschi appostati tra le macerie di Cassino

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Foto: Pubblico dominio

A sud, invece, gli Alleati a guida anglomericana, e in particolare Stati Uniti e Regno Unito, iniziarono una lunga e faticosa risalita che non solo mise fin da subito in discussione le posizioni conquistate dai nazifascisti ma che garantì, al contempo, la creazione e l’organizzazione del precario Regno del Sud. In questo quadro, la campagna d’Italia degli Alleati, guidata all’inizio dal generale statunitense Dwight Eisenhower e poi dal generale britannico Harold Alexander, venne attuata per costringere i tedeschi a dislocare truppe nella penisola, a discapito di altri fronti, ed ebbe un obiettivo preciso: sottrarre l’Italia dall’orbita del Terzo reich

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Tutta la popolazione subì gli sconvolgimenti portati dagli eventi bellici, nel quadro di una terribile guerra totale. Già i bombardamenti alleati avevano duramente colpito il territorio nazionale, costringendo italiani e italiane a destarsi dall’illusione di non essere coinvolti nel conflitto cercato e ottenuto dal fascismo. Il progressivo arretramento tedesco, tra il settembre e il dicembre 1943, venne poi accompagnato dall’avvio della politica nazista delle stragi, perpetrate a partire dalle zone centro-meridionali nel tentativo di stroncare il dissenso, spargere il terrore e inibire qualsiasi ipotesi di collaborazione tra civili e forze alleate. Nel giro di pochi mesi i combattimenti si attestarono sulla linea Gustav, la linea fortificata di difesa costruita su disposizione dei vertici militari tedeschi con l’avallo di Adolf Hitler

La battaglia di Montecassino

La linea Gustav, progettata per ostacolare l'avanzata degli Alleati, sorse a cavallo delle montagne appenniniche e tagliò la penisola dal mar Tirreno al mar Adriatico, estendendosi dal confine tra Lazio e Campania fino all’area a sud di Pescara, in Abruzzo. Questa barriera semi-artificiale incluse naturalmente anche l’area di Montecassino, in provincia di Frosinone, presto individuata dai nazisti come uno dei punti nevralgici della propria strategia di difesa. Proprio lì, all’inizio del 1943, la guerra, in tutta la sua brutalità, fece la sua comparsa. 

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I paracadutisti tedeschi all'interno del chiostro dopo la distruzione del monastero

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Foto: Pubblico dominio

La battaglia si suddivise in quattro differenti fasi che scandirono l’imponente assalto degli Alleati – portato avanti con circa 240mila uomini, 1900 carri armati e quattromila aerei – ai danni dei presidi nazisti, approntati tenendo conto della conformazione naturale della zona nei pressi del piccolo centro di Cassino, abitato allora da diverse migliaia di persone. I soldati tedeschi della decima armata della Wehrmacht sfruttarono al massimo, infatti, le colline intorno alla cittadina, le strade di collegamento e gli incroci più importanti, arrivando a scavare o far esplodere la roccia per ricavare postazioni sicure, per poi militarizzare l’area e minare il terreno. La conseguente azione alleata fu, nel complesso, un’operazione dal carattere internazionale, visto il coinvolgimento di truppe di diversa nazionalità a sostegno di statunitensi e inglesi. Il primo attacco arrivò dal 17 gennaio all’11 febbraio, il secondo dal 15 al 18 febbraio, il terzo dal 15 al 26 marzo: nessuno di questi, però, si rivelò decisivo. L’attacco risolutivo giunse infine dall’11 al 18 maggio. Fu il corpo militare polacco del generale Władysław Albert Anders, subendo pesanti perdite, a conquistare infine la vetta di Cassino, mentre il corpo di spedizione francese, al seguito del generale Alphonse Juin, aggirò abilmente i tedeschi su un altro passaggio, costringendoli alla ritirata verso nord. 

Nel complesso, gli Alleati registrarono 55mila perdite tra morti, feriti e dispersi, mentre i tedeschi più di 20mila. Nella zona di Cassino, che fu completamente distrutta, persero la vita circa duemila civili. Più tardi Mark W. Clark, comandante della V armata statunitense e tra i principali collaboratori del generale Dwight Eisenhower durante il conflitto mondiale, ricordò: «La battaglia di Cassino è stata la più estenuante, la più angosciante e, in un certo senso, la più tragica, di tutte le fasi della guerra in Italia».

Gli effetti del bombardamento sul monastero di Cassino

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Foto: Pubblico dominio

Bombe sull’abbazia 

In quei mesi si arrivò anche all’atto più controverso di tutta la battaglia: la distruzione della famosa abbazia benedettina collocata in cima al monte Cassino. Anche se l’esercito tedesco aveva formalmente dichiarato che non avrebbe utilizzato l’edificio, per poi trasferire le preziose opere d’arte lì costodite, i comandanti alleati si convinsero, pur non avendo prove concrete, che il monastero fosse essenziale per la difesa nazista e che, al suo interno, ci fossero soldati tedeschi. L’ordine dell’attacco aereo, disposto sulla base di informazioni parziali circa le manovre naziste, arrivò quindi già nel febbraio 1944. E fu peraltro preceduto da un avvertimento pubblico il giorno prima. In particolare la V armata statunitense lanciò dall’alto volantini indirizzati agli «Amici italiani» sollecitando quanti si fossero rifugiati nel monastero, compresi i civili, ad abbandonare subito quel luogo. Nel testo si faceva intendere che i combattimenti si erano ormai stretti attorno al «sacro recinto» e, dal momento che i tedeschi si facevano scudo della ritrosia alleata nel colpire più duramente, si era deciso di procedere con la soluzione più estrema. 

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Eppure i tedeschi non credettero alla minaccia, anche se sollecitati in tal senso. E nessuno si mosse o fu trasferito. Il 15 febbraio, poi, l’abbazia fu colpita e i cieli di Cassino si riempirono di un frastuono assordante: il boato della guerra. Fu un vero e proprio disastro: oltre duecento bombardieri sganciarono centinaia di tonnellate di esplosivi riducendo in macerie una delle abbazie più antiche mai costruite in Italia. Ci furono moltissimi sfollati e 230 vittime; anche se ulteriori stime tendono ad aggravare il bilancio dei morti. Per la comunità locale fu una profonda ferita. Per di più, l’azione non spostò affatto gli equilibri sul campo e anzi i nazisti si mossero con rapidità tra le rovine, trovando così una postazione ancora più difficile da prendere. Gli alleati, spiazzati, non riuscirono ad avere la meglio sugli avversari se non alla fine di maggio, dopo molti sforzi. 

Senz’altro il bombardamento fu il segno più evidente di un’epoca sconvolta dalla tragedia della guerra. Innescò accese discussioni e fu oggetto di accuse incrociate. L'efficacia militare della distruzione del monastero fu subito messa in discussione e contestata (e il dibattito innescato allora non è mai davvero concluso). I nazisti, col concorso dei fascisti, cercarono poi di rinvigorire gli attacchi contro gli angloamericani accusandoli di essere nemici della cristianità e dei suoi simboli, nell’ambito di una martellante campagna propagandistica. Tuttavia l’attenzione della stampa e dell’opinione pubblica, pur non abbandonando la triste vicenda di Cassino, fu presto distolta, giacché nel giro di poche settimane, all’inizio di giugno, si verificò anche un altro evento di capitale importanza: lo sbarco in Normandia effettuato dagli Alleati in Francia

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Foto: Pubblico dominio

Il tempo della ricostruzione

La battaglia di Montecassino, con i suoi vari episodi, fu una delle più dure di quegli anni e costituì uno snodo significativo della campagna d’Italia. Non per caso l’avanzamento dell’esercito alleato, una volta sfondata la linea Gustav, giunse nel giugno 1944 a un risultato di enorme valore, anche simbolico: la liberazione della capitale, Roma, dai nazifascisti. Dopo la fine della guerra nel 1945 si decise di ricostruire l'abbazia esattamente come prima e nello stesso spazio, sotto la guida dell’abate Ildefonso Rea, riportando oggetti, documenti e manufatti custoditi momentaneamente in Vaticano. Si dovette aspettare il 1964, con la consacrazione da parte di papa Paolo VI, per rivedere il monastero benedettino in tutto il suo splendore. 

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Nel frattempo, il 15 febbraio 1949 alla città di Cassino fu concesso un alto riconoscimento da parte della nuova Repubblica italiana: la Medaglia d’oro al valor militare. La città, in attesa di rinascere, venne definita «faro di scienza e di fede alle genti del mondo» e celebrata come un centro di enorme rilievo storico che aveva subito le dolorose ripercussioni del conflitto. Una guerra senza precedenti combattuta, anche in Italia, «nel nome della libertà e della civiltà contro l’oppressione e la tirannide».

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