Matteo Falcinelli e i video: «Quando li riguardo provo il dolore di allora. Ho pensato di morire, ho cercato di farlo» | Corriere.it

Matteo Falcinelli e i video: «Quando li riguardo provo il dolore di allora»

diFulvio Fiano

Lo studente italiano è in attesa di un visto per lasciare Miami: «Volevo morire con la dignità che mi hanno tolto. Ora sono seguito, prendo psicofarmaci e la notte non riesco a dormire, mi sveglio con gli incubi»

Matteo Falcinelli e i video: «Quando li riguardo  provo il dolore di allora»

Matteo Falcinelli durante la detenzione a Miami

Se ripensa al suo arresto e alla detenzione con i presunti abusi subiti dalla polizia di Miami, Matteo Falcinelli sceglie un termine inglese per definirsi: helpless, indifeso, impotente: «Sono stato davvero sul punto di morire e quando rivedo quei video risento su di me il dolore fisico che ho provato allora». 

Il 25enne di Spoleto sta facendo i conti in queste ore con lo stop ai suoi piani di ritorno alla normalità. Il rientro in Italia è slittato per la necessità di chiedere un nuovo visto di ingresso negli Stati Uniti, così da essere a Miami il primo luglio come concordato col giudice, una volta che gli è stato revocato quello da studente data la segnalazione in automatico dall’autorità giudiziaria al dipartimento di sicurezza. Oggi è quindi ancora nel campus della Florida International University, dove però a giorni resterà solo, per il rientro obbligato della madre in Italia (le scade il visto di 90 giorni). Vlasta Studenicova, che ieri ha sentito telefonicamente il padre di Ilaria Salis in reciproca solidarietà, affianca il figlio in questa intervista, in cui l’accordo è non entrare nel merito delle questioni legali.

Matteo, perché la mancata partenza?
«Purtroppo la decisione del giudice di fissare il rientro al primo luglio era stata presa prima di questo problema del visto. Potrei partire, ma avrei problemi al rientro e rispetterò le indicazioni di legge».

In che consiste il suo Pti, il programma di «prova» che al suo termine, ad agosto, farà decadere le accuse?
«In teoria dovrei seguire dei corsi che però non mi sono stati prescritti. Una volta al mese devo sentire il responsabile del mio procedimento e dirgli che sto bene e che tutto è ok. Potrei farlo anche dall’Italia, appunto».

L’arresto, la detenzione, la difficoltà a far capire agli agenti il dolore che stava provando. Qual è stato per lei il momento più difficile?
«Il dolore fisico era fortissimo, insopportabile, e i danni che mi hanno causato le manette e tutto il resto li pago ancora oggi. Ma per me il terrore non è finito con l’incaprettamento è continuato nelle ore e nei giorni successivi. Ero in un tunnel senza luce, non capivo cosa stesse succedendo, ero in balìa di decisioni di altri e ho pensato di morire. E ho cercato di farlo. Se deve succedere, pensavo, lo voglio fare con la dignità che mi hanno tolto».

Diceva di cosa le ha provocato rivedere quei video.
«Tante sensazioni forti. Non riesco a vedermi con occhi esterni e mi sembra di essere ancora quel ragazzo lì, buttato a terra, ammanettato e calpestato. Se riguardo l’incaprettamento, mi fanno male le mani; se riguardo quando dò le testate in auto cercando di togliermi la vita perché mi sentivo senza via d’uscita, ancora mi manca il respiro. Torno lì anche fisicamente (la madre aggiunge che nella visione si è sentito male ed è dovuto intervenire un medico, ndr)».

Le ferite sul volto sono sparite, quelle nello spirito sembrano invece ancora assai presenti...
«Sono seguito da uno psicologo e da uno psichiatra, prendo psicofarmaci e la notte non riesco a dormire, mi sveglio con gli incubi».

Quanto era importante poter tornare in Italia?
«Per me significherebbe smettere di aver paura. Smettere di vivere nel terrore che possa accadermi qualcosa di brutto. Sentirmi circondato da persone che mi vogliono bene e mi proteggono».

Ha più sentito i suoi due compagni di università che l’hanno aiutata a uscire dal carcere, contattare sua madre, farle avere notizie sul fatto che all’esterno ci si stava muovendo per liberarla?
«Sì, ci sentiamo spesso, con loro ho un ottimo rapporto. Mi hanno davvero salvato e ancora li ringrazio, così come ringrazio tutti quelli che mi hanno scritto e mi sono stati vicini per non farmi sentire solo. E il ministro Tajani, il console, i miei avvocati. Quello che è successo a me, non deve capitare a nessun altro».

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18 maggio 2024 ( modifica il 18 maggio 2024 | 07:35)