Arte e mestiere, incontro all'Accademia di Belle Arti "Vannucci" con Emiliano Alfonsi - Tuttoggi.info

Arte e mestiere, incontro all’Accademia di Belle Arti “Vannucci” con Emiliano Alfonsi

Carlo Vantaggioli

Arte e mestiere, incontro all’Accademia di Belle Arti “Vannucci” con Emiliano Alfonsi

Sab, 11/05/2024 - 15:41

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Alfonsi non è solo un Homo faber ma un mistico che illumina ogni dettaglio con una scintilla misteriosa. Non quantità ma piccole tracce

L’invito ricevuto dall’Accademia di Belle Arti “Pietro Vannucci” a presenziare all’incontro intitolato “Il mestiere dell’arte” che il prestigioso istituto formativo di Perugia ha organizzato lo scorso 8 maggio, è la conferma di come la nostra passione di osservatori e narratori dei fatti ha ancora una sua ragion d’essere.

Quando la Professoressa Annalisa Guerri ci ha chiesto se volessimo partecipare all’appuntamento, aggiungendo che i testimoni d’eccezione per la discussione sul tema sarebbero stati l’artista Emiliano Alfonsi e la curatrice e storica dell’arte Carmen Bellalba, abbiamo aderito senza ulteriore pensamenti. E non solo perchè Alfonsi è ormai uno spoletino a tutto tondo (casa e studio nel centro storico), nonostante sia nato a Roma nel 1980 e sia da tempo cittadino del mondo per causa “d’arte”. Ma soprattutto ci incuriosiva l’apparente impossibilità di conciliare il tema in discussione, con l’opera tout court di Alfonsi. Ora, per aprire una discorso compiuto su questa dicotomia misteriosa, il presupposto è che si conosca per filo e per segno tutta l’opera prodotta dall’artista.

Ma molto più spesso di quanto pensiamo il miracolo dell’arte, o anche del cosiddetto Homo faber non si basa sulla quantità della produzione con determinate caratteristiche di successo- il mestiere copioso– ma sulla scintilla di luce, l’opera mistica di chi illumina anche con un solo piccolo dettaglio, una forma artistica. Non siamo i primi ovviamente a vivere una “epifania”, come la descriveva Joyce, al solo osservare un fatto o qualcosa che accade. La verità è che con Emiliano Alfonsi si è sempre in “pericolo”, perchè ogni dettaglio della sua opera è potenzialmente foriero di un lampo o, come dicevano i futuristi, di un arsenale incendiato da violente luci elettriche.

Ma tutto questo accade secondo un rituale antico e molto spesso dimenticato: quello che coniuga il mestiere con l’arte. Il tema, appunto, in discussione a Perugia davanti ad un nutrito numero di studenti, molti di nazionalità straniera, che accende l’attenzione dello stesso sulla pratica manuale di chi costruisce l’opera conoscendo tutta una serie di passaggi necessari, come farebbe qualsiasi altro celebrante di rituali segreti o rivelati.

Si potrebbe così chiudere rapidamente la discussione in corso all’Accademia, notando come non esista una separazione effettiva tra arte e mestiere, se non fosse che in questo tempo di “guerra di tutti contro tutti” (R. Steiner 1909), la discriminante del valore dell’arte, la sua monetizzazione, riduce la nobile sapienza del tempio a luogo sconsacrato invaso dai mercanti di opere concettuali.

A Spoleto, ahinoi, ne abbiamo visti passare anche più di uno. E nessuno che avesse consapevolezza di come dare forma e anima ad un opera.

Alfonsi invece, nella sua ventennale esperienza spirituale in arte, ha appreso come avrebbe fatto qualsiasi altro ragazzo di bottega di un tempo tutti i passaggi necessari, errori inclusi, per ricostruire quotidianamente l’incessante filo conduttore del mestiere che diventa arte e dell’arte che non si crea senza mestiere. Emiliano racconta la sua esperienza iniziale, poco più che 20enne, seguito da un mentore, una donna-artista che non gli ha mai detto come fare ma come pensare l’opera.

Il risultato è difficilmente descrivibile in un testo. Si può facilmente cadere nel tranello della lista di saperi di Alfonsi, la vertigine della lista come ben descritta da Umberto Eco. Pittura su tavola, mosaico, l’uso della quattrocentesca tempera all’ uovo, l’affresco, la stessa costruzione delle basi materiali su cui dipingere o lavorare, le vetrate, le sculture in creta. Ci aspettiamo presto anche la forgiatura del ferro, perchè non dubitiamo che Alfonsi in qualche altra vita abbia avuto a che fare con il fuoco sacro di Zoroastro, quello di Ahura Mazda.

Per chi, come noi giornalisti di campagna, ha una età certificata e rilevante, osservare l’attenzione degli studenti presenti all’incontro, e la loro curiosità per l’opera di Alfonsi, è una benedizione e una speranza. Non tutto è decaduto e anche un solo respiro di futuro ci rende immortali o magari impermeabili alla brutaglia dilagante.

Ha tutta la nostra stima invece la storica dell’arte Carmen Bellalba, che per pura passione indagatrice e di amante dell’arte si è prodigata, con attenzione estrema, per raccontare ciò che a volte non ha abbastanza sensi umani per essere descritto. Bellalba è infatti la curatrice dell’ultima mostra di Alfonsi, “Sinopie, l’Energia e lo Spirito dipinti di Emiliano Alfonsi a cura di Carmen Bellalba” tenutasi con successo di pubblico e critica tra luglio ed agosto del 2023 alla Cappella dell’incoronazione al Museo Riso di Palermo. Un lavoro importante di ricostruzione di quel filo conduttore che spiega all’occhio osservatore la continuità circolare tra i concetti di arte e mestiere.

Il rito Buddista del Chod

Tuttavia non vogliamo tirarci indietro dal raccontare la nostra impressione, nel senso letterale di impronta su materia, che ha provocato l’opera e il racconto di vita di Emiliano Alfonsi.

Sin dalla prima osservazione della pittura di Emiliano, il simbolismo presente nel suo “racconto” ci ha risvegliati dalla quotidianità e ci ha trasportati in ambiti spirituali che abbiamo avuto modo di frequentare con passione e sacrificio. E la prima cosa che ci è tornata in mente è stata una antica pratica (di nuovo il mestiere che produce arte ) che è presente nella tradizione del Buddismo Tantrico: il rito del Chod o Gcod (letteralmente significa: “tagliare, recidere”. In sanscrito: ‘chiada’).

Si tratta di una pratica tantrica straordinaria (basata su tutti gli insegnamenti dei sutra e dei tantra) tendente a recidere sia il senso dell’esistenza autonoma dell’individuo (attaccamento all’ego) sia l’interesse per se stessi (attaccamento alla mente autogratificantesi). Una pratica che serve quindi a rafforzare e sviluppare la cognizione dell’assenza del e per generare compassione per tutti gli esseri.

Nella pittura di Emiliano l’abbandono del “sè” è immediatamente riscontrabile nella espressione dei soggetti dipinti che non concedono mai mimiche catalogabili, mossette o ammiccamenti, smorfie o sguardi che inducono l’osservatore ad un pensiero giudicante. E dunque la sola volontà di essere artista in Emiliano sta nella compassione verso gli altri, nella loro comprensione che attraverso la produzione di una opera fatta con metodo e pratica sapienziale offre uno strumento di interpretazione della vita. Un modo di dare e non di prendere. Un modo di dire “siete quello che osservate”.

Il Rosone del Duomo di Spoleto, esempio illuminato

Vorremmo azzardare a scrivere, niente di nuovo, se non fosse che tutti hanno dimenticato tutto. Per questo ci siamo risvegliati dal torpore animico quando Emiliano e Carmen, durante l’illustrazione di esempi concreti di arte e mestiere hanno mostrato alla platea dell’Accademia il rosone centrale nella facciata del Duomo di Spoleto.

Non molti conoscono la simbologia di quel manufatto, che oltre quello più noto del Tetramorfo (leone, angelo, aquila, bue), offre anche quello specifico dei nodi che contornano i 12 petali centrali (numero perfetto ?). Ma soprattutto, la presenza misteriosa di due Telamoni (figure antropomorfe) che sorreggono il rosone stesso a posto delle colonne e che sono l’esatta rappresentazione di coloro che erano in possesso dell’arte. Per capire meglio, l’equivalente di un antico Maestro comacino o di un compagno muratore che riuniti in gruppi, ognuno con il suo sapere, intervenivano nella costruzione delle cattedrali. E solo per offrire uno spunto di riflessione in più, i telamoni del Duomo di Spoleto indossano una veste che ha tutte le sembianze di un grembiule che più che figure medievali li fa sembrare quasi sacerdoti egiziani.

Alfonsi e gli inevitabili “richiami” ad altra opera

Nessuno è in grado di spiegare il perchè spesso l’osservatore, qualunque esso sia, si senta in obbligo di trovare una radice comune o un richiamo “inevitabile” ad altra opera, come se quella citata generasse un qualche tipo di contaminazione o di facilitazione nel processo espressivo di chi la compie.

Emiliano Alfonsi , ovviamente, è lui stesso oggetto di richiami inevitabili, come quando si scrive della sua opera che avrebbe, “sentori di un rinascimento toscano e quello fiammingo, camminando tra le botteghe dei maestri delle vetrate cattedrali della fabbrica del Duomo di Milano, o ancora i Preraffaeliti di Dante Rossetti.”

Aldilà della fascinosa citazione, quanto appena letto non aggiunge molto al perpetuum che agita Alfonsi, che va senza dubbio oltre certi confini visibili. Noi stessi avevamo in testa alcuni surrealisti russi, come Andrey Remnev, ma il solo pensarlo alla fine ci sembrava come mancare di rispetto all’artista.

Ci rammarichiamo solo di una cosa, come spesso ci accade di fare su queste colonne. Ed è che le presenze di valore della nostra città, che aggiungono contenuto e non depredano, sono spesso relegate in cantucci alla penombra.

Ma verrà inevitabilmente un tempo, “incendiato da violenti luce elettriche !

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