“Il gusto delle cose”, la cucina come passione e cura per l’altro
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Cinema

La recensione

“Il gusto delle cose”, la cucina come passione e cura per l’altro

L’impeccabile cuoca Eugénie lavora da oltre vent’anni per il famoso gastronomo Dodin. Il loro sodalizio dà vita a piatti che stupiscono anche gli chef più illustri del mondo. Con il passare del tempo, la pratica della cultura gastronomica e l'ammirazione reciproca si sono trasformate in una relazione sentimentale. Eugenie, però, è affezionata alla sua libertà e non ha mai voluto sposare Dodin. Così, lui decide di fare qualcosa che non ha mai fatto prima: cucinare per lei

Titolo: Il gusto delle cose

Titolo originale: La passion de Dodin Bouffant

Regia: Trần Anh Hùng

Paese di produzione / anno / durata: Francia / 2023 / 135 min.

Sceneggiatura: Trần Anh Hùng

Fotografia: Jonathan Ricquebourg

Montaggio: Mario Battistel

Suono: François Waledisch, Paul Heymans, Thomas Gauder

Cast: Juliette Binoche, Benoît Magimel, Emmanuel Salinger, Patrick d’Assumçao, Galatea Bellugi, Jan Hammenecker, Frédéric Fisbach, Bonnie Chagneau-Ravoire, Jean-Marc Roulot

Produzione: Curiosa Films, Gaumont, France 2 Cinéma, Umedia

Distribuzione: Lucky Red

Programmazione: Conca Verde Bergamo, Arcadia Stezzano, Starplex Romano di Lombardia, Treviglio Anteo spazioCinema

Trailer: https://www.youtube.com/watch?v=N_31yURoohw

 

La cucina come cura e devozione, centro delle relazioni ed elemento di condivisione. Cucina che è perno centrale di “Il gusto delle cose”, il nuovo film del regista franco-vietnamita Trần Anh Hùng, al cinema dal 9 maggio. Una versione italiana (ed internazionale) molto semplice del titolo che si allontana dall’originale “La Passion de Dodin Bouffant”, più adatta nel descrivere una relazione nata e cresciuta all’interno di una cucina che rimanda ad altri significati.

Ambientato a fine Ottocento, il film mostra infatti il sodalizio culinario (e non solo) tra il famoso gastronomo Dodin Bouffant (interpretato da Benoit Magimel) e la cuoca Eugénie (Juliette Binoche), sua assistente. Un rapporto ventennale che muta la stima e l’ammirazione reciproca verso un sentimento più profondo, il tutto tra i grandi tavoli e le infinite pentole di rame della cucina di un antico castello situato nella campagna della Loira. Una cucina come un microcosmo, tra un pot-au-feu (un bollito della tradizione contadina) e un vol au vent, tra arrosti e consommé, fino all’ “omelette norvegese”, un dolce caldo all’esterno e freddo all’interno. Un microcosmo di attenzioni e gesti lenti e misurati che, nell’atto di cucinare, rimangono sempre al centro dell’inquadratura del regista. Tutto è studiato nei minimi dettagli (anche grazie alla consulenza del manager gastronomico Pierre Gagnaire, chef pluristellato), nella ricerca di una perfezione culinaria che nasce dalla condivisione di sapere ed esperienze. Trần Anh Hùng sembra dare il meglio della propria regia (premiata a Cannes 2023) nella prima mezz’ora del film, interamente girata nella cucina, dove la macchina da presa si muove seguendo una sorta di coreografia che inonda lo schermo di cibo e colori. Tutto è sapientemente dosato ed armonico, a partire dai colori e da una costante luce calda che avvolge ogni cosa. Il regista pone poi particolare attenzione anche al suono, che dai diversi rumori naturali dell’esterno (tra cui i versi di alcuni animali) si concentra poi nell’enfatizzare i rumori tipici della cucina, tra il sobbollire e lo sfrigolare, fino ad un’amplificazione sonora della masticazione.

Un mondo totalizzante, anche per gli amici di Dodin, che non parlano di altro se non di cibo e buon vino. Cibo come incontro ed accoglienza, ma anche come atto di premura e dimostrazione d’amore, quando Dodin decide di cucinare per Eugénie. Una panoramica mostra, di nuovo, la cucina dei protagonisti: un movimento tecnico che si fa circolarità di un mondo. Mondo che si rinnova e si rigenera nell’atto stesso di cucinare, un ciclo infinito come quello delle stagioni. Dodin ed Eugénie si trovano nell’ “autunno della vita”, ormai esperti nell’arte culinaria e pronti per fare un nuovo passo nella loro relazione. Un ciclo delle stagioni che compie un giro completo dopo la “Passione” del romanzo al quale si rifà il film (“The Life and the Passion of Dodin-Bouffant, Gourmet” di Marcel Rouff). La passione verso la cucina che lascia progressivamente campo ad una Passione con accezione religiosa, con il ciclo delle stagioni che ritorna metaforicamente con il dramma della morte. Un ciclo che torna poi alla primavera della piccola Pauline (Bonnie Chagneau-Ravoire), nipote adolescente della governante Violette (Galatea Bellugi), con un talento innato nell’arte culinaria.

La serenità delle inquadrature si dipana per tutto il corso del film (meno per le abili sequenze culinarie), in una “medietà” che non sembra lasciare molto del racconto che non sia già pronosticabile dall’inizio, con qualche sbavatura di regia che lascia qualche dubbio, come l’utilizzo delle forme di una pera esplicitamente riferite a parti anatomiche della donna. Nessun picco emotivo, ed anche i lievi riferimenti ai lavoratori all’esterno non trovano il giusto spazio, perché anche l’esterno è invaso dalla luce calda e serena che appartiene a tutto il film. Una pellicola che si perde forse in elementi un po’ troppo didascalici, ma che riesce bene a rappresentare la cucina come gesto di attenzione e di cura verso l’altro.

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