Interessi legali: chiarimenti dalla Cassazione sul tasso da applicare - CF News

INTERESSI MONETARI: LA CASSAZIONE FA CHIAREZZA

di Alessandro Graziani

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Da sempre, la determinazione del tasso di interesse ha alimentato un intenso dibattito giurisprudenziale. 

È noto che, nel codice civile, l’attuale comma 1 dell’art. 1284 rimanda al saggio di interesse che viene determinato annualmente con decreto del Ministro del Tesoro; poi, ai commi 4 e 5, il medesimo articolo  prevede l’eventualità di un saggio di più grande entità, evocando anche la misura “pari a quello previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali”. 

Ma che tasso applicare laddove, in caso di pronunzia giudiziale, il giudice abbia solo genericamente condannato il debitore al pagamento di "interessi legali" oppure di "interessi di legge"? 

Nella casistica, la questione è costituita essenzialmente dall’incertezza circa il fatto che il giudice dell'esecuzione abbia o meno il potere di interpretare il titolo esecutivo giudiziale, semmai integrandolo lui stesso per quanto attiene la determinazione del saggio degli interessi nel caso in cui essi siano stati solo genericamente determinati dal giudice della cognizione. 

Grazie al “rinvio pregiudiziale” al giudice di legittimità recentemente consentito dall’art. 363 bis c.p.c., la Corte Suprema ha avuto l’opportunità di fare chiarezza con adeguata rapidità.   

Con la recente sentenza n. 12449 del 7 maggio 2024, gli Ermellini hanno enunciato il principio di diritto secondo cui: "Quando il giudice ordina il pagamento degli «interessi legali» senza specificazioni, si presume che la misura degli interessi, a partire dalla proposizione della domanda giudiziale, corrisponda al tasso previsto dall'articolo 1284, comma 1, del codice civile, se manca nel titolo esecutivo giudiziale, anche sulla base della sola motivazione, una specifica valutazione della spettanza degli interessi, per il periodo successivo alla proposizione della domanda, secondo il tasso previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali". 

Tuttavia, non è stato agevole il percorso per giungere a questo traguardo. 

In effetti, l'interpretazione sinora prevalente riconosceva che, ove il Giudice non avesse reso specificazioni in ordine alla tipologia di interessi, la liquidazione di essi avrebbe dovuto essere operata con riferimento al saggio “ministeriale” previsto dal comma 1 dell'art. 1284 c.c.. Ciò in quanto si riteneva che tale liquidazione costituisse l’ipotesi generale, nel mentre il riconoscimento di altre tipologie di interessi richiedeva una valutazione giudiziale ben determinata, espressa in dispositivo o anche in motivazione della pronunzia suscettibile di incarnare il titolo esecutivo: motivazione che, ove omessa dal Giudice della cognizione, non sarebbe stata legittimamente surrogabile da pronunciamenti del giudice dell'esecuzione (così Cass. 23 aprile 2020, n. 8128; 25 luglio 2022, n. 23125; 14 luglio 2023, n. 20273; 4 agosto 2023, n. 23846). 

Tuttavia, un'altra interpretazione, espressa soprattutto nelle decisioni della Sezione Lavoro della Corte Suprema (Cass. 20 gennaio 2021, n. 943; 23 settembre 2020, n. 19906; 12 novembre 2019, n. 9212; 25 marzo 2019, n. 8289; 7 novembre 2018, n. 28409), orientava a ritenere che i commi 4 e 5 dell'articolo 1284 c.c. già determinassero essi stessi la misura degli interessi legali di riferimento, senza bisogno di ulteriori specifiche di dettaglio da parte del giudice della cognizione. Pertanto, anche ove la pronunzia di cognizione non menzionasse specificamente la tipologia od il tasso applicabile, si dovesse fare riferimento al saggio stabilito dalla legge speciale sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali. 

Serviva, dunque, mettere ordine e trovare una soluzione giurisprudenziale unitaria. 

Intervenendo sulla questione le Sezioni Unite riaffermano che, al cospetto del titolo esecutivo giudiziale, il giudice dell'esecuzione non ha poteri di cognizione ma deve limitarsi a dare attuazione al comando contenuto nel titolo esecutivo, svolgendo così un’attività di interpretazione e non di integrazione, in quanto volta ad estrarre il contenuto precettivo già incluso nel titolo esecutivo ed in funzione non di risoluzione di controversia ma di esecuzione del comando disposto dal titolo azionato.  

Di conseguenza, è il processo di cognizione la sede per definire, in tutti i suoi aspetti, l'obbligazione prevista dal titolo esecutivo giudiziale, anche in ordine alla determinazione degli interessi -che siano al saggio generale (art. 1284 comma 1 c.c.) od a quello maggiorato (successivi commi 4 e 5)-  a seguito di uno specifico accertamento giudiziale riconducibile ad una compiuta qualificazione giuridica del rapporto sostanziale dedotto in giudizio. 

Per questo, afferma la Cassazione “se il titolo esecutivo è silente, il creditore non può conseguire in sede di esecuzione forzata il pagamento degli interessi maggiorati, stante il divieto per il giudice dell'esecuzione di integrare il titolo, ma deve affidarsi al rimedio impugnatorio. Il titolo esecutivo giudiziale, nel dispositivo e/o nella motivazione, alla luce del principio di necessaria integrazione di dispositivo e motivazione ai fini dell'interpretazione della portata del titolo, deve così contenere la previsione della spettanza degli interessi maggiorati”. 

E così sia. 

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