L’artista latinoamericana che rende morbidi tutti i materiali - Linkiesta.it

Luciana LamotheL’artista latinoamericana che rende morbidi tutti i materiali

Protagonista del padiglione dell’Argentina alla Biennale di Venezia, è nata a Buenos Aires nel 1975 e da sempre mette a punto sculture partecipative e monumentali, così da creare una relazione tra oggetto e spettatore

Fricciones, 2022 Phenolic boards Ruth Benzacar Art Gallery, Buenos Aires, Argentina, photo by Ignacio Iasparra

Luciana Lamothe (Buenos Aires, 1975) è una tra le maggiori artiste argentine viventi. Il suo lavoro fa parte di importanti collezioni private e pubbliche come il Centro Galego de Arte Contemporánea (CGAC), Santiago de Compostela; la Fondazione Itaú Cultural, Buenos Aires e il Museo Arte Contemporáneo de la Provincia de Buenos Aires (MAR), Buenos Aires. Abbiamo avuto il piacere di intervistarla in occasione della sua partecipazione al Padiglione dell’Argentina alla Biennale di Venezia, dove è stata selezionata con il progetto Ojalá se derrumben las puertas, curato da Sofía Dourron. La Biennale ha offerto l’opportunità di approfondire il suo lavoro artistico monumentale e partecipativo.

Il concetto del suo lavoro si concentra sull’indagare la morbidezza dei materiali concepiti come duri. Esplora le relazioni dialettiche tra la loro durezza e morbidezza in rapporto alla loro resistenza, nonché tra i concetti di costruzione e distruzione. La sua ricerca si focalizza nel massimizzare le possibilità di determinati materiali da costruzione, sottoponendoli ai loro limiti per esaltarne il potenziale. Li concepisce come agenti con comportamenti relazionali propri, agenti fluidi in trasformazione permanente. Genera strutture dove lo stesso elemento può essere rigido e flessibile nello stesso sistema costruttivo.

Zona de Inicio, Luciana Lamothe

In questo senso, propone il concetto di transmaterialità, dal quale sostiene che tutti i materiali siano morbidi in diversi gradi percettivi, ossia la loro morbidezza non dipende solo dal punto di vista degli esseri umani – e dalle possibilità dei loro corpi – ma anche dai punti di vista degli strumenti, delle macchine e di qualsiasi altro materiale con cui interagiscono. Quest’idea riconsidera la condizione dei materiali e degli strumenti concependoli come entità sensibili e in tensione indefinita. Così, nel suo lavoro, esplora queste sensibilità attraverso cambiamenti di scala e radicalizzazione dei comportamenti.

Nelle sue sculture partecipative e site-specific, forma e funzione si mescolano con lo scopo di generare meccanismi attivabili dallo spettatore e in cui può instaurarsi una relazione tra i due. In esse, i corpi degli spettatori e i materiali sensibili trasformati dagli strumenti si fondono, generando una relazione empatica e una simbiosi sensoriale radicale tra loro: i loro protagonismi si equalizzano fino a diventare inseparabili, poiché tutti gli agenti che partecipano al contatto sono attraversati da un’interazione condivisa e sentono la stessa cosa dalle proprie prospettive.

Ensayos, Luciana Lamothe

Potresti condividere con noi il tuo percorso per diventare un’artista?
Durante la mia infanzia e adolescenza ho trascorso molto tempo a disegnare e, all’età di quattordici anni, ho iniziato un corso di scultura nella mia città natale. È stato allora che ho deciso di studiare arti visive e mi sono trasferita a Buenos Aires per frequentare l’università. Ho anche partecipato a vari laboratori e workshop di artisti di Buenos Aires e ho fatto diverse residenze in diversi paesi del mondo.

Potresti condividere con noi le tue principali influenze artistiche e come hanno plasmato il tuo lavoro nel corso degli anni?
Il mio ambiente è stata la mia principale influenza. Oltre a ciò, durante la mia formazione ho studiato molto il costruttivismo e l’arte concreta latino-americana. A un certo punto, il brutalismo mi ha colpito con la sua concezione di mettere in evidenza il materiale grezzo. Le idee spaziali e di scala del minimalismo e il trattamento dei materiali del post-minimalismo hanno anche definito il mio modo di concepire la scultura in relazione al corpo e allo spazio.

Fricciones, 2022 Phenolic boards Ruth Benzacar Art Gallery, Buenos Aires, Argentina, photo by Ignacio Iasparra

Da dove trai ispirazione per i tuoi progetti?
Non ho un unico modo per trovare ispirazione, le buone idee possono arrivare in modi diversi. Lavorare nel mio studio sperimentando cose è un buon modo per scoprire nuove idee. Altre volte capita che un’idea arrivi improvvisamente. Il processo è sempre un mistero.

Come descriveresti il tuo rapporto con i materiali che usi per le tue sculture? C’è un materiale con cui preferisci lavorare?
Ho una particolare fascinazione per i materiali industriali e da costruzione. Ad esempio, ponteggi, tavole o listelli di legno. Mi interessa confrontare la loro rusticità e robustezza con l’idea di morbidezza, flessibilità e malleabilità. Mi interessa generare domande sulle possibilità di trasformazione del materiale, mettendo in discussione l’architettura e gli spazi che ci circondano, cioè quegli spazi che progettiamo per vivere e configurarci come società.

Fricciones, 2022 Phenolic boards Ruth Benzacar Art Gallery, Buenos Aires, Argentina, photo by Ignacio Iasparra

Molte delle tue opere sembrano sfidare la gravità e l’equilibrio. Qual è il significato dietro questa scelta stilistica?
La mia intenzione è sempre quella di mettere alla prova il materiale. Testarne la resistenza e la sua potenza intrinseca. È qui che si generano forme e spazi. Quindi lo spazio e le forme sono il prodotto delle caratteristiche specifiche dei materiali. Il peso, ma anche lo spessore e, naturalmente, la gravità. Nelle mie opere è il peso del corpo che genera la flessione, la curvatura. I pesi e i contrappesi generano un sistema che definire di collaborazione tra le parti: se manca un elemento, il sistema fallisce.

Parliamo del tuo coinvolgimento nello spazio pubblico. Come affronti la creazione di opere che interagiscono con l’ambiente circostante?
Il mio lavoro è sempre stato incentrato sulle considerazioni su come un’azione influenzi un ambiente o una situazione. Quindi c’è sempre una causa per un effetto. Tutti i miei primi interventi artistici nello spazio pubblico hanno cercato di modificare un funzionamento stabilito. Influenzare quel funzionamento significa in qualche modo hackerare quel sistema. Negli ultimi anni, soprattutto a partire dalla pandemia, l’interesse per l’ambiente è più legato al luogo dell’interazione. Come ci influenziamo e come influenziamo l’ambiente. Quali sono le conseguenze di ogni azione esercitata sulle cose e come ci trasformiamo sia umani che non umani a causa di quelle interazioni.

Argentina Pavilion, Biennale 2024, press © Matteo Losurdo

Qual è il tuo rapporto con il coinvolgimento del pubblico?
Penso che il mio lavoro sia molto esperienziale e credo di riuscire a trasmettere il mio approccio all’arte. Naturalmente il pubblico va sempre oltre e porta il proprio punto di vista, ma è lì che diventa più interessante. Mi piace ascoltare le persone mentre interpretano il mio lavoro. Mi piace quando emergono idee che non avevo preso in considerazione.

Non si interrompe un’emozione, figuriamoci la Soncini!

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