Lo stoccafisso consacra uno storico ponte culturale tra Italia e Norvegia, nato un giorno del 1432 quando l’aristocratico veneto Pietro Querini portò nei suoi bagagli dalle isole Lofoten dove – scrisse - era naufragato in “culo mundi”, ben 60 pesci. Pesci «che diventano duri come il legno e seccano al sole e al vento senza sale» e provenivano dalla città di Stokke. Era il merluzzo “Ghadus morhua” che prese il nome italiano di "Stoccafisso" e conquistò tramite la marineria veneta tutti i porti dell’Adriatico e del Mediterraneo, forte delle sue tre grandi virtù.
La pietra miliare
Quella di essere buono, conservabile e di far rispettare il principio imposto nel 1545 dal Concilio di Trento del mangiar “di magro” in vigilie e quaresima. «Ed è così che questo pesce – racconta Angelo Serri, direttore di Tipicità – divenne una pietra miliare di tutte le cucine regionali. Da Genova a Venezia, da Napoli a Messina, dall’Istria a Reggio Calabria e ovviamente nelle Marche, dove storici sono piatti tipici come l’iconico stoccafisso all’anconitana ed “in salsa” di Ripatransone, ma anche quelli all’elpidiense, alla fermana e tante altre interpretazioni sparse nei paesi dell’entroterra».
Serri è il cicerone ideale per viaggiare nel mondo dedicato a questo pesce nordico considerato il migliore merluzzo artico stagionale ed essiccato fin dall’epoca dei vichinghi con lo stesso metodo. Ci si dedica per passione e ha coinvolto la sua organizzazione, think tank dell’enogastronomia marchigiana, coinvolgendo le Accademie che, in tutt’Italia, promuovono la valorizzazione dello stoccafisso e ne tutelano le ricette. E’ riuscito a creare un festival all’interno del Festival Tipicità di Fermo.
Il sapore straordinario
«Lo stoccafisso – precisa Serri – è un prodotto genuino, dal straordinario sapore e dalla consistenza unica, frutto di un secolare metodo di lavorazione artigianale, dalla quale si ottiene un prodotto scaturito dalla stretta collaborazione tra l’uomo e la natura». Spiega che il merluzzo subito dopo la cattura è pulito, appeso su apposite rastrelliere e lasciato esposto da febbraio a maggio ai venti freddi e secchi. Poi, una volta terminata la procedura di essiccazione all’aperto, è conservato per un altro paio di mesi in un ambiente secco, chiuso ma ben ventilato. Il che gli consente di mantenere inalterate le vitamine e le sue proprietà nutrizionali. Nelle Marche, ci sono diversi piatti che lo consacrano ma vessillo in assoluto della nostra cucina regionale è lo stoccafisso all’anconetano.
La scelta del prodotto
Per Roberta Caroti della Trattoria Carotti «è fondamentale la scelta oculata del prodotto, ingredienti di prima qualità come l’olio evo e il vino - verdicchio ovviamente - e una cottura attenta che alterna il fuoco vivace e il fuoco lento perché si tratta di un piatto in umido che non vuole la cottura uniforme del forno». Ma il suo vero segreto è l’occhio esperto: «Il pesce deve essere bianco, non troppo morbido e si deve fare attenzione allo spessore. Troppo alto, c’è il rischio che rimane troppo bagnato».