Un intero caricatore di una pistola calibro 7,65 scaricato contro la sua vittima che la vittima era a terra, era stata colpita anche con il calcio dell’arma. Questo perché Salvatore Vassalli, 59 anni, secondo gli inquirenti pugliesi, si riteneva vittima di una ingiustizia e non aveva voluto aspettare l’esito della causa civile. In preda alla rabbia e al risentimento per le presunte lesioni permanenti subite dalla figlia durante un trattamento, il 18 dicembre scorso avrebbe deciso di agire uccidendo Mauro Di Giacomo, 63 anni (a centro nella foto), medico fisioterapista di Bari con attività nel pubblico al Policlinico e in uno studio privato.

“Vassalli all’apice di una breve quanto intensa discussione di Di Giacomo, impugnando una pistola neppure rinvenuta, ha esploso l’intero caricatore composto da sette proiettili, cinque dei quali da distanza ravvicinata” hanno attinto il fisioterapista “causandone la caduta al suolo. Ma “l’aggressione non ha avuto termine, anzi è proseguita con inaudita ferocia con l’accanimento” scrive il gip nell’ordine di arresto chiesto dalla procura. Secondo quanto ricostruito gli inquirenti della Squadra Mobile della questura barese, coordinati dal procuratore aggiunto Ciro Angelillis e il procuratore capo Roberto Rossi, il presunto assassino avrebbe agito con premeditazione e crudeltà.

L’indagato è stato incastrato da un’auto, una Hyndai i10 di colore nero, ripresa dalle telecamere del sistema di videosorveglianza in via Tauro, parcheggiata in doppia fila, vicino a una scuola. La Squadra mobile ha individuato tutte le auto di quel tipo immatricolare a Bari e nella provincia della Bat, arrivando ad avere un elenco di 145 vetture. “Solo due auto sono perfettamente compatibili con quella usata dall’omicida”. Una però, intestata a una donna, la sera del delitto è risultata “parcheggiata a Valenzano”, comune del Barese, stando al Gps. “Al netto di ogni eventuale suggestione, il dato significativo è che, oggettività”, la “presenza dell’auto” in quella strada “prima e subito dopo l’omicidio. Auto di cui Vassalli “aveva disponibilità” essendone “il proprietario”. Gli spostamenti dell’auto sono stati ricostruiti anche interrogando il sistema centralizzato nazionale Targhe e transiti del ministero dell’Interno dall’11 dicembre 2023. Sono stati acquisiti, inoltre, i tabulati telefonici da cui è emerso che la sera dell’omicidio Vassalli era a Bari.

Sette testimoni nell’inchiesta. Alcuni, ascoltati dagli agenti della questura di Bari, inizialmente pensavano a “botti di Natale”. Uno dei testimoni era affacciato al balcone e vide l’aggressione urlando a un uomo di fermarsi. Tra i testi, anche un minorenne, ascoltato con l’ausilio di una psicologa. Riferì di aver sentito degli spari, di aver visto che un uomo si era accasciato sull’asfalto e chi aveva sparato si mise a correre dopo aver colpito l’altro alla testa, raggiungendo un’auto che aveva gli sportelli anteriori aperti e le luci accese. La vittima, la sera del 18 dicembre, non ha avuto modo di difendersi: dopo aver parcheggiato l’automobile Di Giacomo era sceso dall’abitacolo e stava facendo rientro a casa con entrambe le mani occupate dalle buste della spesa e in più uno zaino.

Da quanto accertato grazie alle celle telefoniche il 59enne avrebbe effettuato due sopralluoghi nei mesi precedenti. Uno addirittura sarebbe avvenuto nel febbraio 2023, di domenica, dalle parti di in via Tauro al quartiere Poggiofranco, dove la vittima abitava e dove poi è avvenuto effettivamente l’omicidio, e un altro vicino allo studio professionale privato in via Amendola. L’uomo accusava Di Giacomo di presunti danni permanenti causati alla figlia durante una manipolazione del rachide il 5 settembre del 2019. Ne era sorta una causa civile, avviata nel 2020 per responsabilità professionale, peraltro ancora in corso.

“Placata la sua brama di vendetta, Vassalli, ritenuto il suo obiettivo portato a termine, si è allontanato dal parcheggio”. L’arma è una “calibro 7,65 clandestina, non ancora rinvenuta. Si reputa che una simile rappresentazione mentale, sia pur non avvicinandosi nemmeno lontanamente a una valida giustificazione per un’azione criminosa di tale dirompenza e gravità, non può assurgere al rango di mero pretesto connotato dalla banalità e dalla sproporzionalità rispetto al reato commesso, anzi ne assume esattamente i contorni della causa determinante alla realizzazione e per questo motivo, induce a escludere la sussistenza della circostanza aggravante – scrive – Il movente – prosegue il gip – è rinvenibile nella convinzione albergante in Vassalli che Di Giacomo fosse il responsabile della condizione invalidante nella quale versava ormai da quattro anni la figlia e delle conseguenze psicologiche, lavorative, sociali ed economiche, causalmente connesse alle errate manipolazioni di cui il medico, secondo la versione dei fatti sostenuta dalla famiglia Vassalli, e portata all’attenzione del giudice civile, era era colpevolmente incorso in quella seduta di fisioterapia”. Il gip ha fatto riferimento “all’esasperazione raggiunta, al rancore serbato e alla valutata possibilità di impedire qualsiasi rischio di nuovo incontro dal vivo tra la figlia e il fisioterapista, stante il timore delle ripercussioni che si sarebbero potuto riverberare nella sfera emotiva di lei, Salvatore Vassalli si è determinato, deliberando l’assassinio di Di Giacomo”.

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