Può un giovane uomo dei nostri anni essere davvero "pronto" alla paternità? - ilLibraio.it

L’imminenza della nascita del primo figlio induce il giovane narratore di “Sono quasi pronto”, romanzo di formazione di Giorgio Biferali, a ripensare la propria esistenza, rivisitando l’infanzia e la vita sentimentale – Su ilLibraio.it un capitolo da un libro che porta a chiedersi se un giovane uomo dei nostri anni può essere davvero “pronto” al passaggio di stato della paternità?

Può un giovane uomo dei nostri anni essere davvero “pronto” al passaggio di stato della paternità? Soprattutto se il cammino dei suoi genitori sembra segnato e la società intera cede sotto i colpi di una Storia imprevedibile?

Le incertezze di un genere, di una generazione, di un’epoca nel romanzo di formazione di Giorgio Biferali (qui i suoi articoli per ilLibraio.it, ndr), Sono quasi pronto (Ponte alle Grazie).

Un libro che parte da domande come: che bambini siamo stati? Chi eravamo, prima di divenire “adulti consapevoli”? E i nostri genitori, prima che nascessimo? Possibile che fossero come noi, “quasi pronti” ma mai del tutto, titubanti di fronte alle soglie che la vita, con i suoi tanti cicli, ci mette davanti?

L’imminenza della nascita del primo figlio induce il narratore di questo romanzo, un uomo ancora giovane, a ripensare la propria esistenza, rivisitando l’infanzia, la vita sentimentale e il rapporto con la compagna Bianca, quello con i genitori – che in modi diversi vanno incontro al temuto declino – e soprattutto esplorando il senso sfuggente del cambiamento.

Nato a Roma nel 1988, Biferali, docente dell’Accademia Molly Bloom, ha pubblicato i romanzi L’amore a vent’anni (Tunué, 2018), presentato al Premio Strega, e Il romanzo dell’anno (La Nave di Teseo, 2019). Ha scritto anche il diario di viaggio A Roma con Nanni Moretti (Bompiani, 2016), Lo scoiattolo della penna (La Nuova Frontiera, 2017), un racconto illustrato per ragazzi su Italo Calvino, e la Guida tascabile per maniaci delle serie tv (Clichy, 2020).

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Sono quasi pronto giorgio biferali libri da leggere estate 2024

Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, proponiamo un estratto:

Se esistesse una guida per gli aspiranti padri, e l’avesse scritta il mio, di padre, dentro ci sarebbe scritto che i primi cinque giorni della settimana appartengono alla madre, il weekend, invece, ai padri, che i padri comprano i regali, tornano a casa tardi con le mani nascoste dietro la schiena, perché nascondono quasi sempre una sorpresa. Che quando un bambino cresce, abbastanza da non essere considerato più un bambino ma non così tanto da essere considerato grande, quando comincia a rispondere, a capire quello che succede intorno a lui, a farsi delle domande, a farle agli altri, tocca alla madre rispondere, e quando il padre è assente, tocca sempre alla madre giustificarlo. Che più un figlio cresce più ci si allontana, ci si imbarazza, ci si comporta come se padre e figlio fossero due estranei che hanno paura a fare la prima mossa e quando la fanno è quasi sempre sbagliata. Che quando il figlio ormai è diventato grande, fa parte, a detta di tutti, del mondo degli adulti, il padre non sa bene di cosa si occupi, sembra quasi che sottovaluti il suo tempo, anche perché il figlio ha smesso di raccontargli, da diversi anni, quello che gli interessa, quello che gli piace, quello che fa, quello che vorrebbe diventare. E quando il padre è ormai grande grande, non è vecchio, anche se un po’ ci si sente, che si è ammorbidito, non alza più la voce, trascina i piedi quando cammina, gli tremano le mani, ogni tanto, il figlio se ne accorge una mattina che sono insieme in macchina, come quando lui era piccolo, osserva la mano che tiene il cambio, si accorge che non riesce a stare ferma, allora il figlio in quel momento si sente in colpa, sente dentro di sé di aver perso del tempo, che quel tempo non tornerà più, prova pietà, si chiede se sia giusto provare pietà per una persona cui si vuole bene, è lì che ricominciano a parlare, un po’ a rilento, in maniera meccanica, però sembra proprio che si stiano riavvicinando, che possano finalmente ritrovare il loro rapporto.

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Ma visto che i tempi erano cambiati, i padri oggi sembravano diversi, anche se non capivo come, più presenti, forse, meno autorevoli, non so, ho capito che quella guida immaginaria scritta da mio padre non mi sarebbe bastata, e neanche i romanzi che avevo letto o i film che avevo visto, dove i padri facevano un po’ di tutto, men- tivano per riconquistare la loro famiglia, facevano viaggi interstellari per sentirsi più vicini ai figli, cambiavano gusti sessuali, morivano lasciando indizi, esempi, tracce, percorsi da seguire. E non mi bastava neanche l’incontro con Paolo, anche se era stato illuminante, ed era riuscito a consigliarci un paio di libri. In uno di questi, scritto da un ginecologo francese, veniva raccontato il parto dalla prospettiva del neonato. C’era scritto che per i neonati venire al mondo era una sorta di esplosione di suoni, che ci sentono bene, sì, solo che quando sono nella pancia i suoni vengono smorzati dalle acque, quindi venire fuori per loro è scioccante. I neonati, quando vengono fuori, sono ricoperti da un grasso spesso e biancastro, e visto che potrebbero scivolare o cadere, si afferrano per i piedi. Che se piangono, quando escono, è un bene, e che il padre, quando assiste alla scena, si sente come non si era mai sentito prima, visto che probabilmente nella sua vita non ha mai fatto nulla di straordinario. Era tutto molto bello, solo che neanche quello mi sarebbe bastato per affrontare quello che sarebbe successo dopo. Sono andato in libreria e ho comprato tutti i libri sull’essere padri scritti da padri. Uno l’ho chiuso dopo le prime righe, dopo aver letto che una donna incinta è più incinta che donna, anche perché non capivo davvero cosa volesse dire e c’erano scritte una marea di cose tipo che la donna quando è incinta è intrattabile, che i futuri padri per nove mesi e oltre devono solo essere pazienti, contare fino a mille, assecondare tutti i desideri, le voglie, le follie delle future mamme. Gli altri, invece, avevano tutti un tono umoristico, da stand up comedy, e oltre al fatto che non capivo perché scherzassero così, visto che per me non c’era nulla da ridere, mi facevano solo sentire più in ansia, mi dicevano di prepararmi a estinguere il conto corrente, che sarei stato sommerso dalla merda e dal vomito, che non avrei più dormito per mesi, forse per anni, e arrivando al momento del parto, che avrei dovuto controllare le mie quattro paure più grandi: svenire, vomitare, sbagliare il taglio del cordone, la placenta. Io non so neanche quali siano, le mie paure più grandi, però non sono mai svenuto, ho vomitato po- che volte, quando andavo ai festini all’università, e non mi sono mai sognato di tagliare il cordone o di pensare alla placenta. Un pomeriggio, che eravamo quasi tutti a casa, mentre mia madre stava in ospedale, Lavinia mi ha detto che aveva paura del buio, poi mi ha chiesto di che cosa avessi paura io quando ero piccolo, e io le ho risposto che avevo paura di tutto quando ero piccolo, e lei mi ha detto una frase che mi ha fatto sentire meglio, inventandosi i tempi verbali: Ma quando eri piccolo ti proteggo io. E quando ero grande?

(continua in libreria…)

 

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