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La rivoluzione gentile di Cosmo

Fanculo i feat che da qualche anno fanno somigliare i dischi a compilation di artisti vari
La rivoluzione gentile di Cosmo

A un certo punto, il 21 maggio 2021, tre anni orsono, Cosmo (Marco Jacopo Bianchi) pubblicò il suo quarto album, "La terza estate dell'amore". In una intervista ce lo presentò utilizzando queste parole: "Ho capito che in questa fase della mia carriera voglio trascinare le persone senza per forza seguire lo schemino criptofascista della canzone pop: 'Devi farla così, questa canzone'. Mi sono stufato, capito? Quella roba è una catena." Questa che potete leggere nelle righe a seguire è la nostra recensione di quel disco.

Statement potentissimi: "È scienza della merce, ma senza l'incoscienza sei morto per prudenza: tu fai la hit, io torno vergine". Canzoni che se ne infischiano della forma canzone tradizionale: superano i 5, i 6, a volte anche gli 8 minuti. Suoni e arrangiamenti che guardano alla libertà espressiva degli Anni '90, italiana (i Bluvertigo della trilogia "Acidi e basi", "Metallo non metallo", "Zero") e non solo (Prodigy, Chemical Brothers, Daft Punk). Chiamatelo, se volete, ma con le dovute proporzioni, il suo "La fabbrica di plastica" o il suo "Don Giovanni": una reazione al successo conquistato con gli ultimi due album, "L'ultima festa" e "Cosmotronic", tra Dischi d'oro e di platino, canzoni in radio e concerti nei palasport. Il suo dissenso Cosmo lo racconta con un disco di dodici pezzi, più di un'ora di musica, che suona come un manifesto programmatico, artistico e politico al tempo stesso e guarda tanto allo spirito fricchettone della cultura hippy di fine Anni '60 (la vera Summer of Love è quella del '67) quanto all'anarchia del movimento rave di fine Anni '80.

Ne "La terza estate dell'amore", concepito l'anno scorso nel suo Cosmic Studio a Ivrea anche come reazione alle chiusure e all'impatto che la pandemia ha avuto sui live (non a caso lo ha fatto ascoltare in anteprima piazzando delle casse fuori da locali come il Monk di Roma e il Circolo Magnolia di Milano, trasmettendo tutto in diretta streaming su YouTube), l'ex Drink To Me fa un po' quello che gli pare, libero da qualsiasi forma di condizionamento. Certo, non è Stockhausen, perché in fin dei conti restiamo sempre nell'ambito del pop, anche se Cosmo fa di tutto per non seguire quelli che lui stesso nella nostra intervista ha definito gli schemini criptofascisti del genere (e ci riesce, soprattutto nella parte conclusiva del disco, da "Gundala" a "Noi", passando per "Io ballo" e "Vele al vento", quattro pezzi che insieme rappresentano praticamente più di un terzo della durata complessiva del disco). E non è neppure Iosonouncane, che rispetto al Cosmo de "La terza estate dell'amore" con "IRA" ha fatto un lavoro di ricerca più radicale, e un filino disturbante.

È più il Battisti degli album bianchi con Panella, quello che tra schemi informali e testi anticonvenzionali fuggì dal successo - un successo chiaramente più grande, molto più grande di quello di Cosmo - pur continuando a rivolgersi al pubblico mainstream. E poi è lui stesso a dire che in certi passaggi dei testi, su tutti il "torniamo a caso" di "Fresca", la sua mente è andata proprio a Panella. "La terza estate dell'amore" è un perfetto cavallo di Troia. Nelle canzoni del nuovo disco del musicista piemontese ci sono intro e code lunghissime, abbondantissimi strumentali, ma anche hook irresistibili (le tastiere e i synth di "Antipop" fanno suonare il pezzo come una versione lisergica di "Video killed the radio star") e ritornelli-slogan che ti si ficcano prepotentemente in testa ("La musica illegale", "Dum dum", "Puccy bom", "Mango"). Pop sovversivo, riottoso.

È una rivoluzione gentile, quella di Cosmo. Che ha l'ambizione di smuovere un po' le acque. Fanculo le formule magiche, i feat che da ormai qualche anno a questa parte fanno somigliare i dischi più a compilation di artisti vari che ad album veri e propri (qui gli ospiti sono pochissimi: Silvia Konstance canta in "Fuori", Maurizio Brunod suona la chitarra classica ne "La cattedrale", il figlio Carlo Adriano canta in "Mango", con lo zampino del dj Bawrut, mentre Giacono Laser "ha cosparso 'Puccy bom' di risate e idee brillanti"), le canzoni scritte a dieci mani: "È musica, no fabbrica", ripete lui in "Antipop". La speranza è che rappresenti davvero l'inizio di una nuova, grande stagione.

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