Pronti alle retrospettive in onore di Roger Corman, un regista che ai festival non l’hanno voluto mai – Il Foglio

Pronti alle retrospettive in onore di Roger Corman, un regista che ai festival non l’hanno voluto mai

Capita che il calendario dei festival cinematografici si intrecci con altre ricorrenze. Con effetti curiosi. La morte di Roger Corman, per esempio, mentre siamo in viaggio per Cannes, fa pensare a quel che vedremo nel programma 2024. Alle feste riservate l’anno scorso a Roger Corman, officiante Quentin Tarantino. Alle retrospettive che già si stanno organizzando. In onore di un regista che ai festival non l’hanno voluto mai. Troppi film di genere, troppa velocità nell’esecuzione, troppa generosità verso i colleghi. Troppa serie B, per sintetizzare.

Nel caso di Roger Corman c’erano anche le serie più infime, non si è mai fermato davanti a niente. La leggenda racconta che era capace di far combaciare tutto con tutto, scavalcando i turbamenti e rompicapo dei montatori. Il passato è passato, le retrospettive ai festival nessuno riesce mai davvero a vederle. Stupirebbe trovare nel programma di Cannes 2024 un film paragonabile a quelli diretti da Roger Corman. Son titoli che ai festival non si invitano. Vari decenni dopo, se diventati di culto, ci sarà la retrospettiva e il premio alla carriera. Ci si chiede a cosa servano i critici, se non a vedere la forza e la bellezza di certi film. In anticipo, non quando se ne sono accorti anche i ragazzini che guardavano i doppi spettacoli. Morto a 98 anni, ha diretto 60 film e ne ha prodotti 400. Oltre a tenere a battesimo molti attori e registi che gli chiedevano consiglio, e Corman generosamente si prestava. Gli devono qualcosa, e lo riconoscono volentieri, Francis Ford Coppola, Martin Scorsese, Jack Nicholson che scrisse “The Trip”: nel 1967, racconta il viaggio di Peter Fonda con una pasticca di Lsd. (Del resto, il dottore aveva curato con l’acido lisergico Cary Grant: mandò giù un centinaio di pastiglie senza lamentare affetti collaterali, molto soddisfatto della cura). 

Si dice che Roger Corman avesse bisogno solo di una cabina telefonica, per produrre un film: qualche telefonata, i soldi per le monetine, e poteva cominciare  a girare subito – magari la scena che poi è diventata un piccolo classico: la cornetta è staccata e ancora ondeggia, nella cabina non c’è più nessuno, dall’altra parte del filo l’interlocutore mollato all’improvviso chiede “dove sei?”, “mi senti?”. Con i cellulari non si può più fare. Ma con le carrozze non si potevano neanche girare gli inserimenti in macchina, sotto i binari sopraelevati della metropolitana. Pensino i registi giovanetti a inventarsi qualcos’altro, invece di scopiazzare l’atroce sperimentalismo anni 70. Il record di velocità è saldamente stabilito con “La piccola bottega degli orrori”, finito in due giorni e una notte. A volte girava un paio di film contemporaneamente, per ammortizzare le spese. I titoli, che non costavano nulla, erano nel più puro stile da drive-in, o da doppio spettacolo con un solo biglietto: “L’uomo dagli occhi a raggi X”, “L’orribile caso del dottor X”, “Naked Paradise”. Poi ci fu l’incontro – in otto film – con i racconti di Edgar Allan Poe, riuscito così così perché lo scrittore della crollo della Casa Husher è affascinato dalla mente che combatte contro se stessa, non contro il mondo.

Nato a Detroit nel 1926, Roger Corman era avviato a una carriera di ingegnere quando il fratello gli procurò un impiego allo smistamento posta della Twentieth Century Fox. Poi fu promosso alla lettura delle sceneggiature, ma trovava tutto scadente, e glielo fecero notare. Rispose: “Qui sono il più giovane, mi mandate solo schifezze”. Fece il giro lungo: studiò letteratura a Oxford, e da indipendente, con 12 mila dollari, produsse il suo primo film: un’ameba gigante che terrorizza i bagnanti.

Leave a comment

Your email address will not be published.