Vi racconto la bellezza della Banda Maestrelli, la grande Lazio che 50 anni fa fece la storia
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Redazione

Vi racconto la bellezza della Banda Maestrelli, la grande Lazio che 50 anni fa fece la storia

La prima volta, si sa, non si scorda mai. Ma ci sono prime volte e prime volte. E quella della Lazio con lo scudetto fu davvero speciale. Provate a chiedere a un tifoso biancoazzurro di vecchia data della mitica formazione di Chinaglia e Maestrelli: riuscirà a stento a trattenere le lacrime. Perché, al di là di ogni retorica, a distanza di 50 anni dalla storica impresa, quella squadra fu davvero unica e irripetibile.

Di Giorgione e compagni si disse (e si continua a dire) un po’ di tutto: che erano degli irresponsabili (numerosi gli aneddoti sciorinati al proposito, dalle pistole portate in ritiro ai cazzotti in allenamento) o, esercitando un po’ più di indulgenza, una banda di mattacchioni divisa in clan (quello di Chinaglia, il bomber e il condottiero in campo e fuori, e Wilson da una parte e quello di Martini e Re Cecconi dall’altra). Ma quando andavano in campo, con una moderna disposizione tattica all’olandese in cui la mobilità di tutti permetteva di coprire il campo in maniera perfetta, non c’era per nessuno.

Specie nella magica stagione 1973-74, quella in cui, ad appena due anni dalla promozione in Serie A, agguantarono finalmente il tricolore, mancato di un soffio nel campionato precedente. Questo trionfo, tuttavia, non si esaurisce nella mera vittoria sul terreno di gioco, bensì evoca l'archetipo stesso di una leggenda calcistica unica, forgiata con sapienza sotto la guida illuminata del tecnico Tommaso Maestrelli. La sfida epica contro il Foggia, che si concluse con la sublime rete di Giorgio Chinaglia sigillando il successo 1-0, marcò l'inizio di un mito destinato a sfidare impavido l'incessante fluire del tempo.

La campagna acquisti, che aveva rivoluzionato la fisionomia della squadra, non concedeva troppo ai sogni dei tifosi: soltanto l’allenatore era convinto di poter mietere successi con quei giovani sconosciuti e affamati di gloria. La bomba-Lazio deflagrò fin dalle prime battute: i neopromossi biancocelesti, snobbati dai pronostici, tennero il passo delle grandi apparentemente senza il minimo sforzo, trovandosi in corsa per il titolo fino all’ultima domenica.

La superiorità sul campo era garantita da un controllo di palla a tratti addirittura ossessivo per gli avversari. Era la Lazio a decidere di “uccidere” la partita, mandando all’attacco persino il libero, capitan Wilson. Formidabili, quei giorni. Alla vigilia dell’ultimo match a Napoli, la Lazio assieme alla Juventus era seconda a 43 punti a una sola lunghezza dal Milan. I rossoneri caddero nella fatal Verona, i bianconeri ribaltarono il risultato nella ripresa e il Napoli vinse allo scadere.

Juve tricolore, dunque, ma i ragazzi di Maestrelli avevano sfiorato lo scudetto da neopromossi. Il segreto di tanta forza va ricercato nello spogliatoio o, meglio, negli spogliatoi. Eh sì, perché gli attriti sfociavano in guerra aperta a ogni seduta di allenamento. Troppe personalità elettriche, troppi umori contrapposti, nel gruppo biancoceleste: da una parte il clan Chinaglia-Wilson, che poteva contare sull’appoggio di Pulici e Oddi; dall’altra quello della pazza coppia Re Cecconi-Martini, spalleggiati da Petrelli. In mezzo a questa lotta fratricida si trovò il povero Frustalupi, che spesso si schierò dalla parte del Cecco, pur non condividendone certe passioni.

L’Angelo Biondo e l’inseparabile Martini erano mossi da spiriti ribollenti: amanti dell’adrenalina, praticavano paracadutismo sportivo e nutrivano una viscerale passione per le armi, con le quali si esercitavano in aperta campagna. Ecco la Lazio di Maestrelli: undici giocatori nemici giurati sei giorni la settimana, ma fratelli la domenica. Una volta il tecnico decise addirittura di creare fisicamente due spogliatoi, per accentuare questa sensazione di divisione fra i due gruppi.

L’anno seguente i ragazzi erano ormai consapevoli della propria forza, maturati nelle mani di Tommaso. La difesa a quattro si erse a baluardo del grande Pulici, con solo Oddi in marcatura, mentre Petrelli, Wilson e Martini erano liberi di sganciarsi e rilanciare l’azione d’attacco. A centrocampo correvano Nanni e l’infaticabile pistone Re Cecconi, il regista Frustalupi dettava i tempi, D’Amico inventava. In avanti, a fare da spalla a Chinaglia, l’agile ala Garlaschelli. Alla nona giornata, la Lazio guadagnò la vetta della classifica e non la mollò più fino al definitivo passaggio di testimone. L’avversario da battere fu come sempre una mai doma Juve. Solo alla penultima giornata i ragazzi di Tommaso ebbero la certezza del trionfo, abbattendo con un rigore di Chinaglia il fortino del Foggia, costretto alla retrocessione. Ottantamila persone applaudirono per quindici minuti, commosse, mentre Maestrelli veniva portato in trionfo attorno al rettangolo di gioco. Con 24 reti, Chinaglia fu capocannoniere, la Lazio aveva il primato dei punti in casa e in trasferta e quello delle vittorie, oltre alla miglior difesa. Il futuro appariva roseo, ma nubi cariche di lacrime stavano già addensandosi all’orizzonte.
 

Tuttavia, l'oscuro fato sembrò celarsi dietro le quinte di quella squadra trionfante, costringendola a confrontarsi con una serie di tragiche avversità. Numerose e improvvise morti violente colpirono i protagonisti di quel miracolo calcistico, gettando un'ombra indelebile sulla storia immortale della Lazio. L'ultimo a scomparire è stato Vincenzo D'Amico, sconfitto nella sua struggente battaglia contro il cancro, divenendo così il tragico epilogo di un racconto epico. Maestrelli fu colpito da un tumore al fegato nel 1975 e, nonostante un ritorno temporaneo alla panchina, morì nel dicembre del 1976.

Nel gennaio del 1977, Luciano Re Cecconi, un membro chiave della squadra, fu ucciso accidentalmente da un amico. Nel 1990, Mario Frustalupi, la mente della Lazio campione, morì in un incidente stradale. Nel 2011, Luigi Polentes morì a causa di una malattia incurabile, seguito nel 2012 da Giorgio Chinaglia, un'icona della squadra. Altre perdite includono Umberto Lenzini nel 1987, il presidente della Lazio, Felice Pulici, malato da tempo, nel 2018, e Pino Wilson nel 2022, il capitano, morto a 76 anni. Queste tragedie hanno segnato profondamente la storia della Lazio, ma i ricordi di quei giocatori rimangono nel cuore dei tifosi anche a 50 anni di distanza.

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