‘Parthenope’ a Cannes, ecco cosa racconta Paolo Sorrentino: “Per me è tutto, come ogni ultimo film che faccio” - la Repubblica

‘Parthenope’ a Cannes, ecco cosa racconta Paolo Sorrentino: “Per me è tutto, come ogni ultimo film che faccio”

Celeste Dalla Porta, la protagonista di 'Parthenope' di Paolo Sorrentino
Celeste Dalla Porta, la protagonista di 'Parthenope' di Paolo Sorrentino 

Il film del regista è l’unico italiano in concorso. “Non è una lettera d’amore a Napoli, non sono capace di scriverle. Nasce col desiderio di misurarsi con due misteri: la donna e Napoli”

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La bellezza grande e crudele di una Napoli tra sacro e profano, il sentimento struggente del tempo che passa, una donna alla ricerca della libertà e la sua solitudine. “Cosa rappresenta per me Parthenope? Come ogni ultimo film che faccio, per me è tutto”, ci racconta Paolo Sorrentino, che al Festival di Cannes disvela il suo Parthenope, unico italiano in concorso.

Una carrozza antica e preziosa, una bimba partorita nel mare e che dal mare vediamo risorgere nell’abbagliante bellezza dei vent’anni. È lei, Parthenope, la protagonista di questa storia, la vita che scorre parallela agli snodi centrali della storia recente di Napoli, che prima di essere splendore e miseria era una colonia romana chiamata Partenope: gli anni Cinquanta, il colera, le contestazioni del Sessantotto, il terremoto, lo scudetto.

(di Gianni Fiorito)
(di Gianni Fiorito) 

Parthenope legata da un rapporto al limite del proibito con il fratello Raimondo (Daniele Rienzo), la dolcezza del primo amore verso il comune amico (Dario Aita). Una notte, l’incontro con lo scrittore americano John Cheever, interpretato da Gary Oldman, l’aprirsi alla passione e un dramma che segna la vita di tutti: “Era già tutto previsto”, ruggisce malinconico Riccardo Cocciante. La vita prosegue, ma lo sguardo si è spento. L’amore è già ricordo, i nuovi incontri lasciano il segno ma non regalano un sorriso.

(di Gianni Fiorito)
(di Gianni Fiorito) 

Quella bellezza da sirena viene notata, e si apre per Parthenope la deviazione del cinema, c’è l’agente di cinema Flora Malva, Isabella Ferrari, che la riceve per darle consiglio, il volto sempre coperto (“che sollievo non dovermi confrontare con lo specchio, il trucco, le rughe”), e Greta Cool (una quasi irriconoscibile Luisa Ranieri) attrice in declino che esteticamente ricorda Sophia Loren (ma Sorrentino nega ogni accostamento).

(di Gianni Fiorito)
(di Gianni Fiorito) 

C’è il vescovo, Peppe Lanzetta, che officia il miracolo di San Gennaro in un Duomo affollato. Il sangue non si scioglie in quel momento, ma solo quando Parthenope sedurrà e sarà sedotta dal prelato in una delle scene più forti del film, insieme a quella dell’unione di due famiglie della Camorra. Parthenope si iscrive all’università, cerca nella vita di avere, sempre, la battuta pronta, conosce il professore Silvio Orlando che diventa il suo punto di riferimento.

(di Gianni Fiorito)
(di Gianni Fiorito) 

Parthenope ha il volto pulito e il corpo conturbante della debuttante Celeste Dalla Porta: “La chiave che mi ha dato Paolo in questo viaggio? È stata quella, in ogni scena, di cercare la libertà. E così Parthenope fa scelte che la portano a sbagliare, riflettere, restare sola”, racconta l’attrice. Ne accompagna la giovinezza l’idea – lontana dalla verità, come lo sono i giovani - di un orizzonte in cui tutto è possibile: “Questo non è un film sul rimpianto, la malinconia, la nostalgia, ma sul passaggio dell’età – racconta Sorrentino – il fatto è che la verità non fa parte dei giovani, la loro caratteristica è l’insincerità. Si è spensierati, ci si abbandona, si ha a che fare con il sogno e il desiderio, si fa un racconto epico di sé, ci si guarda allo specchio e si balla, ci si immagina di esser qualcosa. Ma questo racconto si interrompe quando si passa dalla vita estetica a quella etica, si diventa responsabili, s’interrompe il racconto epico di sé. Diventi quel che sei, spesso non ti piaci, fai decine di tentativi di uscire da te stesso e non ci riesci. E poi diventi come Stefania (Sandrelli, che incarna Parthenope nell’età adulta ndr), accetti quel che sei, con la possibilità di stupirti ancora una volta”.

E se in È stata la mano di Dio, aggiunge il regista, “Napoli era solo sullo sfondo, raccontata nei luoghi della mia infanzia”, qui la città è protagonista, “triste, frivola, determinata, sola e viva”. Ma “non è una lettera d’amore a Napoli – precisa Sorrentino - non sono capace di scriverle. È un film che nasce col desiderio di misurarsi con due misteri, la donna e Napoli che nel film, fino a un certo punto, si sovrappongono. Ho rinunciato subito alla missione di raccontare una donna, non penso che fosse il compito di un uomo, ma ho pensato che fosse interessante mettere in sintonia il mio lato femminile con quello di un personaggio femminile. Quando parlo delle angosce e dolori relativi al tempo, gli uomini mettono in moto il proverbiale infantilismo, fingendo che non li riguardi; invece con le donne sento una corrispondenza: parliamo lo stesso linguaggio”.

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