Fedez, Toti, la bella vita: in Italia è “back to the roots”, ed è la trap a presentarci il conto | Rolling Stone Italia
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Fedez, Toti, la bella vita: in Italia è “back to the roots”, ed è la trap a presentarci il conto

Com'è che siamo finiti in una "beautiful dark twisted fantasy" di politici e macchinoni alla Dark Polo Gang, mentre al Salone del Libro arrivano i manganelli contro i manifestanti pro-Palestina?

Fedez, Toti, la bella vita: in Italia è “back to the roots”, ed è la trap a presentarci il conto

Fedez

Foto: Virginia Bettoja

Giovanni Robertini: “Sai cosa hanno in comune Fedez e Salvini? Un paio di ultras del Milan” La settimana è cominciata così, con una battuta stile Pera Toons – l’unica vera star del Salone del Libro di Torino, con code interminabili al suo firmacopie, altro che “lettori forti”! – sulla mia chat di tifosi interisti. Il riferimento è al bodyguard di Fedez Christian Rosiello, compagno di Curva di Luca Lucci, quello della famosa stretta di mano con Salvini. E ci sarebbe da approfondire su quel mondo di mezzo di discoteche, rapper, politici, personal trainer, tronisti, guardie del corpo, ultras delle stadio e ragazzette influencer: so che qualche sceneggiatore è già al lavoro su una Suburra milanese per Netflix. Ma da buon boomer spione delle telecamere di sorveglianza dei locali messe in rete un po’ ovunque, posso solo constatare il contagio inarrestabile del testosterone “maranza” e il declino del maschio bianco cisgender, per giunta manco più tifoso di calcio (Fedez ha sempre detto di fregarsene, mentre la Ferragni pare sia juventina, ma questo nel libro della Lucarelli non c’è scritto, peccato). Forse tra qualche giorno sapremo se Fedez ha partecipato davvero all’agguato sotto casa del personal trainer dei vip Cristiano Iovino, in un mash-up improbabile tra futuri e presenti format per le piattaforme di streaming (Iovino è “quello” del famoso caffè con Ilary, linea narrativa del doc Unica), ma per ora, con un brivido garantista, voglio prendere le sue difese riportando per intero la frase pronunciata dal rapper di Rozzano (e anche un po’ di Buccinasco) durante l’incontro a Torino sulla salute mentale. Già, perché quel «i giovani vogliono sapere di Gaza, non cosa faccio io di notte» riportato a mo’ di meme da tutti i quotidiani non era una frase paracula per distogliere l’attenzione dai suoi guai, ma rispondeva a un intervento dalla platea dell’influencer proPal @KaremfromHaifa ed era un po’ più densa del furbo riassunto a uso social: «Da un lato abbiamo dei ragazzi che hanno delle priorità, dall’altra la stampa che si occupa di quello che fa Fedez di notte e a cui a loro non frega nulla. A Gaza va in scena un genocidio e i giovani vogliono sapere cosa succede, vogliono una presa di posizione. Sarebbe il caso che la stampa italiana rivalutasse le priorità, deve smetterla di fare l’influencer». Tutto questo a meno di ventiquattr’ore di distanza dal tentativo di sfondamento al Salone del Libro di un corteo con bandiere palestinesi risolto dalla mediazione di Zerocalcare e a pochi giorni dal recente minuto di silenzio chiesto da Ghali per le vittime durante il concertone di Radio Italia in piazza Duomo a Milano. Un minuto di silenzio, come allo stadio, ma senza gli ultras per fortuna.

Alberto Piccinini: Anche perché gli ultras difficilmente sopportano il minuto di silenzio, in silenzio. Ti dirò: l’altra sera mi sono bevuto il servizio di Piazza Pulita a Montecarlo negli alberghi e nelle saune battuti a suo tempo da Spinelli, Toti e compagnia bella (ti piace l’espressione vintage?), nemmeno soli ma in compagnia di due, tre o anche più escort. Anelli con brillanti, champagne a colazione, servizi in camera e tutto il repertorio narrativo della riccanza tangentara: intercettazioni recitate dagli attori, telefoni sbattuti in faccia, tentativi di intervista a portieri e massaggiatori, panoramiche sul mare, coperture di macchinoni cromati. Un bel ritorno. Il genere è stato ampiamente formattato dal prode Formigli dieci anni fa ai tempi dei reportage dalla Costa Smeralda berlusconiana, mi pare di ricordare. Subito dopo venne la serie di MTV, poi le Kardashian, quindi i 5 Stelle e Salvini vinsero le elezioni, precisi come un algoritmo. Mezzo cabaret mezza controinformazione, invidia mischiata all’indignazione. Come dice Grillo? “Genova era governata da Rete 4”. In effetti Toti era il direttore del Tg4, ha esordito in politica mostrandosi in accappatoio bianco dal balcone della spa dove Silvio l’aveva portato a dimagrire (con risultati discutibili), veniva ancora intervistato come uno statista in uno dei freak show serali della rete. Tutto torna. Riconosci ora l’omogeneità di location? Senti il profumo della bella vita? Intuisci il flexar di buttafuori? Mettiamola così: Spinelli e Toti sono i boomer finiti dentro una vecchia fantasia della Dark Polo Gang, oppure direttamente in un porno con Rocco Siffredi. Ma potrebbe benissimo essere il contrario, il che accenderebbe una luce diversa sugli ultimi trent’anni di storia italiana. Ci penso.

GR: Scusa se torno su Fedez, ma è l’agenda politica a comandare. È una settimana che sui giornali lo manganellano di editoriali. Tra tutti ti segnalo quello di Candida Morvillo, l’altro giorno sul Corriere, che lo accusa di un pericoloso back to the roots, un ritorno alle legge della strada da cui proviene (il blocco di Rozzano e le piazze di Buccinasco, capitali del Nord della mitologia maranza), a quella “omologazione di periferia” da lui stesso citata nell’intervista a Belve. Il tormentone è “Puoi togliere Fedez da Rozzano, non Rozzano da Fedez”, roba da stand up di Vannacci, razzismo classista da bar dello sport: l’indignazione per l’attico a City Life o il macchinone che si è regalato come premio di consolazione dopo la separazione è solo la versione pimpata di quella per i migranti con il telefonino di salviniana memoria. A nulla è servita la lezione di American Fiction, film premio Oscar che ci mostra quanto siamo scorretti a pensare che ognuno debba stare al suo posto per non turbare i nostri sensi di colpa: Geolier a Secondigliano, Fedez a Rozzano e Baby Gang e Ilaria Salis in galera. Eppure non è passato troppo tempo da quando Federico veniva additato a bandiera della sinistra: la foto strappata di Bignami in divisa nazista, il discorso il difesa del DDL Zan, il bacio a Rosa Chemical, la beneficenza in pandemia, i like di Saviano e l’Ambrogino di Beppe Sala. Ma dal peccato originale “Born in Rozzano” non c’è scampo: il nuovo/vecchio Fedez, padre separato in giro per locali come in un film di Muccino, che riscopre la wilderness di cattive amicizie e serate nei peggiori bar di Caracas, ecco, è lo stesso Federico Lucia che qualcuno avrebbe voluto candidare alla segreteria del PD? Il moralismo bigotto che unisce i talk di Rete 4 al Salone di Torino è subito pronto a scaricarlo, dandolo per finito, senza neanche l’attenuante numero uno, ovvero che l’incoerenza del rapper è la stessa nostra, umanamente parlando. Come sempre è la trap a presentarci il conto. A proposito, l’hai sentito l’ultimo singolo di Simba LaRue? Si intitola Triste ed è una sorta di pentimento per tutte le malefatte («Ho voltato la pagina/ Non faccio più soldi facili/ Sto firmando vari contratti»). Forse è in cerca dell’Ambrogino, chissà. Più probabile che un suo pezzo di pochi mesi fa finisca nella colonna sonora di questa storia, si intitola Spedizione Punitiva: «Spedizione punitiva (bang) sopra un TMAX/ L’ultima cosa che vedi sarà la mia faccia da cazzo/ Passamontagna non serve».

AP: Povero Simba. E povero Fedez. Ho visto anche una lettera di Baby Gang letta integralmente alle Iene, cioè spedita a uno delle Iene per chiedere clemenza, che mi fa tristezza soltanto l’idea. È in corso un attacco nel peggior stile qualunquista alla pretesa della trap di essere vera, veramente vera. Scene di lotta di classe in discoteca. Scansati ragazzino, lasciaci lavorare. Naturalmente la performance promozionale di Rovazzi che finge di farsi rubare il telefonino durante la live su Instagram è la pietra tombale su quasi tutto, a cominciare dal giornalismo in questo paese. Lo schema consolidato è quello della macchietta: Walter Chiari lo faceva con Marlon Brando, Alberto Sordi con i teddy boys, Verdone con i coatti e Corrado Guzzanti con Lorenzo il grunge. A Rovazzi toccano i maranza, che peccato avrebbero meritato una sorte migliore. «Maranza con la tuta del Barça/ che gira per Milano in 4 sopra l’Sh». E poi per non mitizzare troppo: «Se passa la Locale/ scappa come un Maranza». Adesso si arrabbiano tutti per l’onore violato della città ma la questione non è la notizia finta. No, è lo stile vero, verissimo di Rete 4/Il Giornale/Le Iene quando mandano in onda i servizi di cronaca con i dannati della terra, i maranza, gli spacciatori, gli occupanti di case, i clandestini islamici. A cominciare dal giornalismo in questo paese. Stessa regia, immagine, audio. Difatti la notizia stava altissima nella homepage di Repubblica praticamente subito, quindi non abbiamo scampo. Basta, ho bisogno di respirare, vado a sentire il nuovo album di Beth Gibbons Live Outgrows, di intensa maturità ho letto. Ah, è uscito anche il nuovo di Billie Eilish Hit Me Hard and Soft, leggerino ma per lei ho un debole. Sai che faccio? Li metto su insieme sull’impianto di casa e vado a fare due passi. Che si parlino loro intanto, qualcosa verrà fuori.

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