Orfeo ed Euridice, un mito d'amore e morte

Orfeo ed Euridice, un mito d'amore e morte

Considerato il poeta per eccellenza, nell’antichità Orfeo è il vedovo affranto della ninfa Euridice, che non riesce a riportare in vita dal regno dei morti perché troppo impulsivo e innamorato. Secondo Ovidio il suo è un errore dovuto all’emotività, eppure pian piano tra gli artisti s’insinua il dubbio. Sarà stato davvero un errore? E cosa ne pensa Euridice?

«Che farò senza Euridice?» canta un Orfeo affranto alla scomparsa della sua amata, la driade – una ninfa dei boschi –, che ha perduto perché si è voltato troppo presto mentre la riportava dal regno dei morti a quello dei vivi. Orfeo sprofonda nella disperazione mentre intona la famosa aria musicale in Orfeo ed Euridice (1762) di Christoph Willibald Gluck e del librettista livornese Ranieri de’ Calzabigi, che proprio con questa creazione mirano a riformare dall’interno l’opera lirica. E, non a caso, più di un secolo e mezzo prima, nel 1607, un altro celebre compositore, il cremonese Claudio Monteverdi, aveva scelto lo stesso mito greco come soggetto del primo capolavoro nella storia del melodramma.

Orfeo ed Euridice dagli Inferi, di Jean-Baptiste Camille Corot (1861)

Orfeo ed Euridice dagli Inferi, di Jean-Baptiste Camille Corot (1861)

Foto: Pubblico dominio

Perché è Orfeo a segnare due momenti fondamentali della lirica? Perché il suo canto diviene immortale nelle interpretazioni di Gluck, Monteverdi e di innumerevoli altri musicisti, scrittori, poeti, pittori, che si sono ispirati alla sua vicenda? E perché le riscritture di questo mito sono infinite?

Un amore mitico

Nel mito greco Orfeo, figlio della musa Calliope e di Apollo – o del re della Tracia, Eagro, secondo altre versioni – è il poeta per eccellenza, la personificazione del canto. Con la sua lira e le sue parole riesce a sedurre uomini, animali di ogni specie e perfino alberi, pietre e mare. Con la forza dei suoi versi commuove, intenerisce, appassiona, tocca l’animo e le fibre di chi ha modo di ascoltarlo. Per questo sin dall’antichità ogni artista si è identificato con lui, ha voluto vestire i suoi panni e ha cercato di ravvivare il mito con una sua personale interpretazione.

Il mito di Orfeo è senza dubbio uno dei più famosi nella mitologia greca, ed è impossibile dar conto di tutte le riscritture che lo riguardano. Di sicuro, narra Apollonio Rodio, il cantore tracio compare già nell’equipaggio degli Argonauti, i naviganti che con Giasone si recano alla ricerca del vello d’oro. In una prima fase del mito Orfeo è il cantore, il poeta tra i poeti, e con la lira è rappresentato, per esempio, nei vasi attici fino al V secolo a.C. Ma finora è quasi sempre solo, colto molte volte nel momento in cui ammansisce le fiere con la sua musica. Piano piano, però, quest’affascinante figura inizia ad accompagnarsi a una donna, e quel canto che lo ha già reso celebre acquista nuove sfumature.

Orfeo ed Euridice, di Frederic Leighton (1864)

Orfeo ed Euridice, di Frederic Leighton (1864)

Foto: Pubblico dominio

Orfeo s’innamora, ricambiato, della ninfa Euridice, e la sposa. Eppure il destino dei due amanti nasce sotto una cattiva stella. Come racconta Virgilio nelle Georgiche, di Euridice s’invaghisce anche il pastore Aristeo, che l’insegue per farla sua e, mentre scappa, Euridice è morsa fatalmente da un serpente. Nelle Metamorfosi Ovidio sceglie di eliminare dalla scena Aristeo: Euridice è spensierata, in compagnia di una schiera di ninfe, quando viene morsa al tallone dal rettile. Appena Orfeo apprende la notizia, piange la sposa e con coraggio decide di recarsi negli inferi per riaverla. Scende fino allo Stige, vince ogni ostacolo grazie alla lira e si presenta a Persefone e a Ade, i signori dell’oltretomba. Canta il suo amore per Euridice e chiede che gli venga data la possibilità di continuare a vivere con lei.

Tale è la forza del suo amore e del suo canto che Persefone, Ade, il cane Cerbero e perfino le implacabili Furie si commuovono. Gli viene quindi accordato di portare con sé Euridice, ma a un patto: lui andrà avanti, lei lo seguirà, e Orfeo non potrà mai girarsi indietro, perché altrimenti Euridice tornerà per sempre tra le ombre dei defunti. In nome della passione il poeta ha quindi sfidato i limiti dell’essere umano, con i suoi versi ha sconfitto la morte e il conseguente oblio. La poesia sembra poter influire sul destino ultimo di ogni uomo.

'Lady Hamilton come Medea'. George Romney. Olio su tela. 1786

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Sembra. Nella risalita, infatti, mentre i due amanti sono quasi arrivati alla luce, Orfeo non resiste alla tentazione e si volta per controllare che la sua amata sia veramente con lui. Nel tempo di un attimo Euridice scompare per sempre nell’abisso. Distrutto e impietrito, Orfeo non trova più pace e vaga per la terra, sublimando nel canto un passato che non può più tornare. Continua a emozionare, sì, ma rifiuta la vita e l’amore delle altre donne; per questo le Menadi – o Baccanti – si vendicano di lui, che pure era legato a Dioniso, e lo fanno a pezzi gettandone i resti nel fiume Ebro. Tutti lo piangono, uccelli, alberi, sassi, ma Orfeo potrà tornare a riabbracciare la sua Euridice.

Nei secoli la tradizione ha raccontato in questo modo la triste fine di una delle vicende greche più romantiche, uno dei tanti amori che solo la poesia rende immortali. Pur tenendo sempre ben presenti le versioni classiche, soprattutto di Virgilio e di Ovidio, gli artisti iniziano man mano a giocare con la storia, a stravolgerla e anche ad attualizzarla. La portano persino nei nostri giorni: il regista francese Marcel Camus immagina un Orfeo tranviere e cantante durante il carnevale di Rio de Janeiro nel film premio Oscar Orfeo negro (1959); il drammaturgo Jean Anouilh intravede in Orfeo e in Euridice un violinista geloso e una seducente attrice in tournée per la Francia (Euridice, 1942) e Jean Cocteau, nei panni del regista del film Orfeo (1950), trasforma il cantore in un poeta francese del dopoguerra ossessionato dalla propria arte e sedotto dalla morte, ma insensibile all’amore della moglie incinta Euridice.

Le ninfe ritrovano la testa di Orfeo, di William Waterhouse (1900)

Le ninfe ritrovano la testa di Orfeo, di William Waterhouse (1900)

Foto: Pubblico dominio

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Un gesto istintivo o calcolato?

Oltre a dare nuove vesti ai due infelici protagonisti del mito, gli Orfeo del Novecento cominciano a chiedersi perché il cantore tracio si sia voltato, e cos’abbia provato Euridice in quell’attimo fatale. Se Ovidio nelle Metamorfosi assolve Orfeo, affermando che «già di nuovo morendo [Euridice, NdA] non ebbe parole di rimprovero per il marito (e di cosa avrebbe dovuto lamentarsi, se non di essere amata?)», nel Novecento non tutti sembrano pensarla sempre allo stesso modo e rivivere in egual maniera il distacco tra i due.

Uno dei primi a fornire una nuova versione è Rainer Maria Rilke nel suo splendido poema Orfeo. Euridice. Hermes (1904), che ricorda un bassorilievo romano in marmo del 410 a.C., in cui assieme ai due amanti già compare Hermes, il dio messaggero e psicopompo – guida delle anime. In Rilke Euridice non ha più pensieri per l’uomo che l’ha voluta indietro, perché ha smesso ormai di appartenere al marito. Avanza quindi «incerta, mite e senza impazienza»; quando Hermes le fa notare che il marito si è voltato, prima di svanire chiede con un soffio: «Chi?», giacché non può più riconoscere il suo grande amore.

La morte di Orfeo, di Émile Jean-Baptiste Philippe Bin (1874)

La morte di Orfeo, di Émile Jean-Baptiste Philippe Bin (1874)

Foto: Pubblico dominio

Con soluzioni diverse, anche Cesare Pavese dà al mito una lettura poetica e metafisica. In uno dei Dialoghi con Leucò (1947) è il cantore tracio a parlare per negare la tradizione classica: «Ridicolo che dopo quel viaggio, dopo aver visto in faccia il nulla, io mi voltassi per errore o per capriccio». L'uomo che ha incontrato la morte non può liberarsi dal suo pensiero, non riesce a dimenticarla. L'amore non è più la sua preoccupazione principale, né lo è Euridice: per Orfeo appartengono al passato, e per questo ha deciso di girarsi. Saranno quindi o Euridice o Orfeo a disinteressarsi l’una dell’altro per via di un destino più grande di loro, terribile e misterioso.

La scelta di Euridice

E se invece, dopo secoli di silenzi e di scomparse fulminee, anche Euridice volesse finalmente prendere la parola? Nell’ampia costellazione di riscritture, da Yourcenar a Magris, da Calvino a Vecchioni, da Kerouac a Rushdie, da Stravinskij agli Arcade Fire, ce ne sono alcune particolarmente interessanti, in cui sono spesso le artiste a riprendersi un punto di vista, quello femminile, molte volte negato dalla storia. Per questo scelgono che sia Euridice a cantare. La ninfa di due tra le più grandi poetesse della prima metà del Novecento – la statunitense Hilda Doolittle e la russa Marina Ivanovna Cvetaeva – sembra rinfacciare al marito una medesima colpa: l’arroganza. Ormai tutt’una con il mondo delle tenebre, la giovane donna non avrebbe ricordato la meraviglia della vita, i suoi colori, i suoi odori, se non si fosse intromesso Orfeo, che abusa del suo potere di uomo e di poeta. In Doolittle Orfeo ha fatto assaporare alla donna la rinascita e poi, egoista ancora una volta, si è girato, senza minimamente pensare al dolore della compagna che tanto sublima nel canto. Per questo l’Euridice di Cvetaeva chiede decisa a Orfeo: «Dimentica e abbandonami!». Come a dire, non cantare più di me, rispettami, lasciami stare nel mio nuovo mondo.

Orfeo e Euridice, di Gaetano Gandolfi (1734-1802)

Orfeo e Euridice, di Gaetano Gandolfi (1734-1802)

Foto: Fine Art Images / Heritage

Non sarà certo così! Perché, in fin dei conti, Orfeo potrebbe tenere più a sé stesso e alla sua lira, al suo esser bardo, che all’amore di Euridice. Ce lo ricorda pure Gesualdo Bufalino in Il ritorno di Euridice (1986). Mentre nella folla in fila aspetta la barca che la riporti nell’Ade, e con un sorriso si domanda se non abbia diritto a una precedenza visto che vi ritorna per la seconda volta, Euridice ripercorre gli ultimi istanti prima dell’addio. Indispettita, non riesce a spiegarsi perché, nonostante tutte le raccomandazioni, Orfeo non si sia trattenuto in quegli ultimi pochi metri. Solo alla fine Euridice capisce che s’è voltato apposta: come avrebbe fatto altrimenti a piangere sconsolato la sua perdita nell’eternità del mito e della riscrittura? Racconta quindi un divertito Bufalino: «L’aria non li aveva ancora divisi che già la sua voce baldamente intonava “Che farò senza Euridice?”, e non sembrava che improvvisasse, ma che a lungo avesse studiato davanti a uno specchio quei vocalizzi e filature, tutto già bell’e pronto, da esibire al pubblico, ai battimani, ai riflettori della ribalta».

Orfeo. Collezione privata. Attribuito a Paul Duqueylar

Orfeo. Collezione privata. Attribuito a Paul Duqueylar

Foto: Fine Art Images / Heritage

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