Quel tifo stonato attorno alla guerra - Ordine, Como

Quel tifo stonato attorno alla guerra

Il caro bollette unito alla campagna elettorale favorisce posizioni banalizzanti su temi complessi. I parametri del passato non sono più validi e da entrambe le parti spuntano “amici” di Putin

Quando c’era la Guerra Fredda era tutto più semplice, il buono di qua e il cattivo di là, secondo i gusti personali di ciascuno. Quarant’anni fa, per dire, le piazze dell’Europa occidentale erano affollate di manifestanti convinti che l’Armageddon nucleare fosse imminente e che pretendevano di aver salva la vita per mezzo del disarmo unilaterale (il nostro): meglio rossi che morti, ripetevano in molti, perché almeno quello ce l’avevano chiaro, lo sapevano tutti che se il ricatto di Yuri Andropov - il leader sovietico che aveva puntato sulle città europee i missili SS-20 con testata atomica - avesse funzionato l’Europa occidentale sarebbe diventata come quella orientale, una provincia di un impero senza libertà.

A qualcuno quell’impero piaceva pure, lo preferivano a quello americano che consideravano ancor più detestabile e liberticida. Questione di gusti, appunto. Di scelte tra campi, che allora erano netti e separati, bastava fare un salto a Berlino per toccare con mano l’esistenza di due mondi diseguali e contrari.

Cambio di scenario

Oggi le minacce alla pace e alla libertà sono simili, ma lo scenario è più complicato. In Italia, soprattutto, a giudicare dalla postura dei politici e degli intellettuali, sembra che la pace nel mondo dipenda solo dalle scelte del nostro volubile Paese. Da due anni e tre mesi c’è una guerra in Europa, la Russia ha invaso l’Ucraina, se n’è mangiata un pezzo e fa chiaramente capire a chi lo vuol capire che pretende per sé anche tutto il resto. Centinaia di migliaia di morti, distruzioni immani, crimini di guerra di ogni genere, una resistenza degli aggrediti che appare - anche qui secondo i punti di vista - eroica o disperatamente vana. All’inizio, in Italia, solo certi nostalgici del vecchio mondo (Russia di qua, America di là) giustificavano Putin in nome di una lettura tutta loro del termine “imperialismo”. Gli altri, solitamente distratti e poco interessati dalle vicende belliche, simpatizzavano d’istinto per gli ucraini aggrediti. Poi sono cominciati i problemi: gas e luce più cari, inflazione alle stelle, studiate minacce russe di una ritorsione militare contro noi occidentali se non ci fossimo fatti gli affaracci nostri. E così è subentrata l’incredibile “stanchezza della guerra”.

La “stanchezza” italiana

Incredibile non solo perché, semmai, a essere stanchi della guerra dovrebbero essere coloro che la subiscono in casa propria e non noi che la guardiamo alla televisione, ed eventualmente familiari e connazionali di coloro che la portano in casa d’altri per ordine del dittatore megalomane di turno. Ma incredibile anche per il pensiero che sta dietro a questa stanchezza molto italiana: cosa c’entriamo noi con questa guerra lontana e perché mai dovremmo pagarne qualsiasi prezzo, diamo a chi l’ha scatenata quello che vuole per farla finita e riprendiamo la nostra vita spensierata là dove l’avevamo interrotta.

È su questo assai malinteso desiderio di normalità che si basa il cosiddetto dibattito tra guerra e pace. Malinteso anche perché una classe politica e intellettuale mediocrissima - invece di spiegare agli italiani, abituati da generazioni a considerare l’assenza di conflitti in Europa un dato di fatto immodificabile, che il 24 febbraio 2022 la Storia è cambiata - preferisce cavalcare quel desiderio e vendere un’illusione: che basti volere la pace per averla gratis. Da qui il fiorire di liste “pacifiste” per le prossime elezioni europee. Tornano alla memoria quei primi anni Ottanta di contrapposizione tra i “meglio rossi che morti” e le “guerre stellari” di Ronald Reagan, ma – come dicevamo poco sopra - non è più tutto semplice e chiaro come quarant’anni fa.

Chi strizza l’occhio a Mosca non è più, infatti, solo il simpatizzante più o meno mascherato del regime sovietico, che nel frattempo è stato rimpiazzato da quello putiniano. La base “ideologica” di una scelta filorussa oggi rimane certamente l’anti americanismo di fondo. E c’è ancora quello un po’ pavloviano dei Santoro (che in Europa è poi quello dei Melenchon e dei Corbyn). Ma poi c’è quello furbetto dei Travaglio ben collegato a una delle famose liste elettorali “pacifiste”. E c’è tutto un campo di destra fin troppo pragmatico e confusamente anti atlantista che quarant’anni fa non si vedeva proprio. Un campo rappresentato in politica da Salvini (in Europa dalla Le Pen e dall’ultradestra tedesca), con tutte le sue ambigue contorsioni, e sui giornali da alcuni direttori post berlusconiani. Costoro sottoscrivono, forse senza nemmeno accorgersene, tutti i luoghi comuni della propaganda del Cremlino: i veri guerrafondai stanno a Bruxelles e non a Mosca, Putin voleva solo giustizia per i russofoni oppressi del Donbass e se non ci fossero stati gli estremisti come Boris Johnson avremmo pace e benessere, la Russia non ha mai perso una guerra (sicuri?) e - soprattutto - siamo a un passo dalla catastrofe nucleare solo per difendere la poltrona di Zelensky.

Come nel libro di Orwell

Questo mondo mediatico di destra non si fa problemi a cantare in coro con i già citati Travaglio, Santoro o con l’illustre professor Orsini. È la destra del “Franza o Spagna purché se magna”, che strizza l’occhio a chi ha come orizzonte geopolitico le sue vacanze a Sharm el Sheikh. Invita gli ucraini ad alzare bandiera bianca e sbeffeggia chi - come Vittorio Emanuele Parsi o Paolo Mieli o Angelo Panebianco - invita a capire che una certa festa è finita e che armarsi non significa volere la guerra, ma semmai il contrario. Tutto molto simile all’orwelliano 1984, in cui chi inneggiava alla pace preparava la strada al disastro.

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