Paradise Lost: “The Longest Winter” – Intervista a Nick Holmes

Paradise Lost: “The Longest Winter” – Intervista a Nick Holmes

Nuovo capitolo per i Paradise Lost, chiamato “Medusa”, e Metallus.it accorre prontamente ad intervistare Nick Holmes in una assolata giornata pre-estiva (che poco si addice al mood della musica del gruppo!): una carriera costellata di successi per un gruppo che è un vero e proprio caposaldo di un genere quindi niente di meglio che parlare di qualche brano del nuovo CD che si rivela essere come uno dei più attesi per l’anno in corso.

Ciao Nick e benvenuto su Metallus.it! Come va?

Grazie mille! E’ un piacere per me! Tutto bene e ciao a tutti!

Il nuovo CD “Medusa” sta per uscire e innanzitutto vorremmo chiederti perché questo titolo e cosa è successo nei due anni dalla precedente prova in studio “The Plague Within”

Partiamo dal titolo… Quando Greg (Mackintosh, chitarra) scrive nuova musica pensa ad un nome immediato per catalogare il tutto e il giorno in cui cominciò a comporre il brano aveva guardato il film “Scontro Di Titani” dove compare appunto Medusa: all’inizio ero scettico ma poi guardando bene il significato della figura mitologica mi sono ravveduto perché è come un approccio nichilista, non guardare Medusa negli occhi è non accettare il mondo che sta intorno e lo ho trovato molto aderente alla visione dei Paradise Lost. Lo abbiamo tenuto buono fino alla fine perché il titolo di un nuovo CD è l’ultima cosa che si guarda.

Come e quando è stato composto e registrato questo nuovo CD?

Lo abbiamo registrato in tre settimane e mezzo e la composizione ha richiesto circa sette mesi: è andato tutto più in fretta rispetto al nostro solito modus operandi! Non sono tante canzoni ma sono articolate, anche in termini di durata: per noi è più veloce scrivere brani del genere, alla fine.

La prima traccia, “Fearless Sky”: comincia con una parte strumentale, si arricchisce di melodia e in velocità e torna alla parte iniziale. E’ una canzone che parla di come l’uomo più ricco del mondo non ha bisogno di tutto ciò che ha e la parte musicale del brano sembra rappresentare il ciclo vitale che comincia, si evolve, si arricchisce e torna al punto d’inizio: cosa puoi dirci a riguardo?

Beh, la tua lettura è al 100% corretta e mi fa piacere che le immagini costruite con le note evochino ciò che si voleva dire anche negli ascoltatori! Ci sono diversi tipi di cantato che accompagnano la parte strumentale, forse un po’ atipico per i Paradise Lost, è nato quasi come una jam e il testo è venuto dopo, forse dettato dall’immaginario evocato dalle note. La canzone parla anche del paganesimo, di quando gli umani facevano offerte per il raccolto e in base agli eventi naturali che non erano ancora capiti scientificamente e visti come segni di qualcosa di superiore: una forma di religione primitiva, di certo non peggio di chi ti dice che devi andare a uccidere per la tua divinità e di certo più tangibile nell’immediato, nel senso che fai qualcosa e succede qualcos’altro che la mente collega all’offerta che hai fatto. Vedi, scrivevo queste cose come critica alle grandi religioni quando avevo diciotto anni e penso non sia cambiato niente… Finchè vivi ci sono problemi e cercare un riscatto in un aldilà lo trovo quantomeno bizzarro, come un voler rimandare che non ha alcun senso…

La title track è la descrizione di un mondo impazzito e la riflessione di quanto tutto sia vacuo, giusto? Pensi che l’arte possa salvare dalla morte? Vorrei anche un tuo commento riguardo alla frase “Pretenders to the throne, their willing turns to stone” contenuto nel brano stesso.

La frase logicamente è un richiamo alla figura di Medusa… Ho scritto questo testo sei mesi fa nella mia stanza buia e mi sono dimenticato del significato (ride)… Scherzi a parte, penso che siano tutte metafore interpretabili secondo il proprio sentire personale: principalmente facciamo parlare la musica e il testo segue secondo un approccio nichilista, cinico e qui invece tutto segue la figura mitologica che penso rispecchi ciò che succede.

“The Longest Winter” prende spunto dall’incidente di Chernobyl e parla dell’eterno ciclo fra la scelleratezza dell’azione umana sulla Natura e quest’ultima che riesce sempre a vincere ed essere più forte: cosa puoi dirci di questo brano e del mood, molto dark/wave per via delle chitarre e delle tastiere?

Penso che questo sia uno dei temi ricorrenti in tutti i nostri testi… Siamo sempre stati affascinati dalle cose orribili che succedono… L’essere umano è fondamentalmente stupido ma è di passaggio, la Natura c’è sempre stata e non cerca di distruggere l’uomo quanto invece l’uomo fa nei confronti della Natura stessa. Alla fine noi siamo arrivati da chissà dove su questo pianeta ma la Natura era già presente. Siamo ospiti. Magari in un altro tempo e in un altro mondo riusciremo a non fare troppi danni e ad essere gentili l’uno con l’altro e con ciò che ci circonda. La parte musicale trovo che sia ben riuscita e in grado di essere molto suggestiva.

Come puoi descrivere il nuovo CD “Medusa” e che cambi ci sono rispetto al precedente “The Plague Within”?

E’ un album registrato in maniera diretta, senza sovraincisioni, fatto in maniera molto rock, come veniva inteso il termine negli anni ’70: non volevamo trigger, campionamenti o cose simili perché hanno fatto quasi tutti così negli ultimi dieci anni facendo suonare tutto alla stessa maniera…

Il vostro batterista Waltteri Väyrynen ha descritto “Blood & Chaos” come “un brano permeato di epico umore norvegese fin dal titolo” e parla dell’uomo, potenzialmente buono ma che diventa cattivo a causa della società. Insieme alla traccia finale “Until The Grave” sembra un’accusa all’uomo moderno. C’è qualcosa in particolare che ha influenzato i testi del CD questa volta?

Mah… Che dire… Alla fine scrivo poi sempre le stesse cose, i stessi concetti ma in maniera diversa per ogni canzone ed è stato così per trent’anni. Quando Waltteri se ne è uscito col titolo per il brano, atipico per noi, mi è piaciuto subito perché poi ci sguazzo in mezzo a queste cose guerreggianti ed epiche! Se hai il fuoco nel titolo allora tutto va bene: la canzone è diversa dal resto delle tracce, ha più richiami agli anni ’90 e mi piace un sacco. Il testo della strofa è venuto fuori durante una jam e abbiamo visto che ci stava bene fin da subito: è stata una “one take lyrics”…

“From The Gallows” e “No Passage For The Dead” parlano di morte da diversi punti di vista, di gente che ti vende ciò che viene dopo (il caso della seconda) o del senso di calma che ti prende nonostante tu sappia che tutta finirà presto (la prima)…

L’idea per il testo di “From The Gallows” mi è venuta in mente guardando alcuni film in cui i condannati, prima del momento finale, cantavano (mi viene in mente “Il Nome della Rosa”, per esempio): non è divertente ma è strano, atipico… E ho pensato cosa farei? Danzerei, canterei? Mmmhhh, strano: e allora ho immaginato la cosa peggiore che potesse succedere, quindi una morte violenta, ineluttabile e quindi questa sarebbe inevitabile perciò meglio “godersi” serenamente quegli ultimi momenti, no? Pensa che l’idea principale di questa canzone è stata scritta nel 1998… “No Passage For The Dead” parla sempre del riscatto i un’altra vita che puoi ottenere pagando: ma anche di ciò che compri come alcuni prodotti estetici che alla fine a cosa servono se non a truffarti? La stessa storia che si ripete dopo anni, arricchirsi sull’insicurezza della gente.

Quali sono le canzoni che ti piacciono di più in “Medusa”?

Guarda, non ti dico che è come scegliere fra i propri figli (lo ho detto in passato ma non lo dirò), però è un album che mi soddisfa appieno: è come se fosse diviso in due, come i vinili, che puoi ascoltare in ordine inverso e ti soddisfa sempre!

Grazie mille Nick e speriamo di vederci presto dal vivo in Italia!

Grazie a voi, a tutti i fan italiani, a te e a Metallus.it! Speriamo di vederci presto per tanti live in Italia e spero che “Medusa” vi piaccia!

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