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Questione di tempo: Recensione in Anteprima

Come vivere il passato imparando dal presente. Questione di tempo, ossia una commedia per niente ordinaria che esalta l’ordinario, tra sorrisi e qualche riflessione leggera ma non troppo

pubblicato 10 Ottobre 2013 aggiornato 31 Luglio 2020 08:41

Immaginatevi in una situazione, qualunque essa sia. Calatevi in quel momento esatto in cui avete detto o non detto, fatto o non fatto qualcosa per voi dirvi un istante dopo «se solo avessi…». Boom. Eccovi di colpo catapultati in una realtà parallela in cui tutto ciò accade davvero; viaggiare nel tempo, intendiamo. Eccovi lì allora a non più scervellarvi nel valutare mossa alcuna, tanto alla schermata del game over segue immancabilmente quella del continue. E via che si ritenta.

Questione di tempo (una volta tanto un titolo tradotto in maniera efficace, e sì che qui c’era poco da prendere visto che quello originale è About Time) parla anche di quanto appena descritto. Non soltanto, eh. Anzi, a dire il vero si è tentati, non a torto, di catalogarlo tra le commedie romantiche, ossia quelle che ti prendono il cuore per spolverarci sopra più o meno zucchero, salvo poi compensare il troppo dolce con qualche bella risata. Identikit un po’ frettoloso questo, che in fondo non rende giustizia ad una pellicola intelligente senza essere affatto pretenziosa.

Dopo un deludente capodanno, Tim (Domhnall Gleeson) viene messo a parte del segreto più sconvolgente: suo padre gli rivela infatti che la sua famiglia possiede un dono per via ereditaria, cioè viaggiare nel tempo. Nulla a che vedere con «l’uccidere Hitler o scoparsi Elena di Troia», avverte subito il contenuto ma nondimeno irresistibile papà (Bill Nighy). Tali viaggi restano confinati ai ricordi, sicché si può tornare avanti e indietro solo nell’ambito di ciò che è già accaduto nel proprio passato, niente futuro, niente stravolgimenti epocali. Forse.

Richard Curtis, qui regista e sceneggiatore, si sofferma sull’ordinario, che in fondo, ci dice, è l’essenziale. L’unica cosa che conta. Ergo il pericolo di una catastrofe è sempre dietro l’angolo, sebbene a tale termine così estremo segua l’aggettivo personale. Perché ciascuno di noi avverte la drammaticità di una determinata situazione solo nella misura in cui ne è più o meno coinvolto. Per quanto banale possa sembrare evidenziarlo, beh, è così: il male è di chi ce l’ha. Stesso dicasi per quei momenti cosiddetti felici, s’intenda.

A questo punto ci si aspetterebbe uno scenario all’insegna del paradosso temporale, in bilico sopra quell’effetto farfalla sul quale è facile costruire tutta una serie di siparietti equivoci. Ed invece no. Perché le commedie britanniche, i dati parlano chiaro (i più scrupolosi, nonché increduli, recuperino una lista di questo filone e poi sappiano dirci), hanno sempre quel quid in più che li pone su un livello altro. Non servono capolavori, basta quel lavoro onesto, quella verve specifica e tam… il gioco è fatto. Perché si può intrattenere un audience pure con uno schermo nero, mentre quattro personaggi si danno ad un incontro al buio (letteralmente) rimbalzandosi linee di dialogo che in qualunque altro modo non avrebbero avuto lo stesso effetto. Si può, dicevamo, mica si deve. Ma soprattuto non è nemmeno facile. Necessita una certa padronanza, una sorta di propensione al grottesco ma elegante, quello che certi autori e attori di Albione si trascinano in dotazione.

Non a caso, per quanto Questione di tempo bene sia scritto, tante grazie deve farle pervenire al proprio cast. Un film baciato da interpretazioni così azzeccate non è un diritto, ed infatti sono in pochi ad avvertilo come tale e quindi a preoccuparsene, men che meno ad esercitarlo. Qui invece lavorano tutti bene, stando ognuno al proprio posto e facendosi guidare con una discreta armonia. A patto, sia chiaro, che il film lo si veda in lingua originale. Sennò tanto resta, ma un altro tanto inevitabilmente va perduto.

Lo stesso Bill Nighy, comprimario di lusso, si spende col contagocce, impreziosendo l’ennesima delle tante prove per cui lo conosciamo come il grande interprete che è. Lui che ti sbatte di fronte alla macchina da presa sempre la stessa faccia, sempre lo stesso aplomb: ma che con quelle due/tre note contate ti regge uno spartito vario, frizzante, dai toni molteplici. Accenna un sorriso e ti scappa una lacrima, fa il serio e tu sorridi. Come ce la fa lo sa lui, e noi non intendiamo insidiare il segreto d’attore.

Ma una commedia come questa non sarebbe intelligente, come l’abbiamo già liquidata, se venisse meno al corretto dosaggio delle parti. Di fatto sono più di uno gli episodi in cui si corre il rischio di sconfinare, di oltrepassare quella linea al di là della quale non sai più se parlare di un punto d’approdo scontato, di un intreccio banale. E quantunque per l’intera durata Curtis riesca ad evitare il salto nel vuoto, alla fine c’è quella lieve inflessione che denota un certo rilassamento, per via del fatto che simili contesti ricordano più certe pubblicità progresso. Deviazione, se così si può definire, accettabile, che arriva peraltro troppo tardi, quando oramai la vicenda del buon Tim è stata spremuta a dovere ed ha praticamente detto tutto. O probabilmente tutto quello che poteva dire, non sapremmo.

La verità, inoltre, è che per puntellare uno sfondo in cui si susseguono più varianti della medesima circostanza servono personaggi credibili. E se è poco dire credibili, diciamo allora che ne servono di vivi. Solo così le alternative assumono un senso. Solo così viene preservata quell’organicità da cui un’operazione di questo tipo non può prescindere, perché in fondo nella realtà le possibilità sono sempre meno di quelle che è possibile concepire. Ed il bello è che non di rado è proprio la realtà ad averla vinta, non il contrario.

Delicato, sottile quanto serve, intriso di quell’humor di matrice marcatamente britannica, Questione di tempo lascia che si venga attraversati da più sensazioni, trasportandoci con semplicità, a tratti forse addirittura con ingenuità, lungo un piccolo viaggio che non lascia indifferenti. Dove il «già detto» non stona, non irrita, e la più antica passeggiata è anche la più bella. Tra un innesto decisamente appropriato (lo zio Desmond) ed una passione atipica (Kate Moss), senza mai negare, anzi, quanto una certa comicità possa farti stringere il cuore, al pari di quelle situazioni drammatiche che invece ti strappano un sorriso. E ti viene pure voglia di finirlo quel libro di Dickens, quando a tessere le lodi del celebre scrittore è un padre che ha trasmesso l’unica lezione che non ha mai imparato, dimostrando al figlio quanto vacua possa essere la perfezione.

Voto di Antonio: 7,5

Questione di tempo (About Time, UK, 2013) di Richard Curtis. Con Domhnall Gleeson, Rachel McAdams, Bill Nighy, Tom Hollander, Margot Robbie, Rowena Diamond, Lindsay Duncan, Catherine Steadman, Vanessa Kirby, Matt Butcher, Lee Asquith-Coe, Lisa Eichhorn, Evie Wray, Joshua McGuire, Greg Bennett, Will Merrick, Glenn Webster, Lydia Wilson, Richard Cordery, Paul Blackwell, Haruka Abe, Lee Nicholas Harris, Katherine Denkinson e John Duggan. Nelle nostre sale dal 7 novembre.