L'azzurro del cielo. Georges Bataille e il destino collettivo - BORDER LIBER

L’azzurro del cielo. Georges Bataille e il destino collettivo

L’azzurro del cielo. Georges Bataille e il destino collettivo

Recensione di Martino Ciano. In copertina: “L’azzurro del cielo” di Georges Bataille

Non si scrivono più romanzi così e, forse, sono pochi i lettori pronti a cimentarsi con opere del genere. Morto il nostro senso di appartenenza a una comunità, non abbiamo più percezione delle tragedie collettive che ci scuotono quotidianamente, pertanto, ognuno vive nel suo inferno, luogo in cui l’altro diventa solo una fastidiosa comparsa.

È anche vero che ormai abbiamo paura di dialogare con il nostro abisso; le interferenze dell’oscurità ci spaventano. Quando ci si accosta a romanzi così forti, però, ci si imbatte nell’uomo e nella sua essenza, in una crudeltà che non mente. Quindi, non ci resta che fare un passo indietro, riconoscendoci fottutamente uguali.

Di Georges Bataille non avevo letto nulla, eppure mi ha sempre incuriosito. Ho provato attrazione verso questo autore dalla vita strana, fatta di ripensamenti, di ricerche abissali, di tormenti. Elementi che hanno generato in me l’immagine di un prete mancato, apostata per eccesso di lucidità, maestro nell’uso del linguaggio misterioso, ma audace, della sessualità. Poi, durante una discussione sul web ho chiesto consiglio a un amico, ed ecco L’azzurro del cielo.

Scritto nel 1935, ma pubblicato per volontà dell’autore nel 1957, questo romanzo breve è un’orgia emozionale, un tuffo in un caos che solo l’istinto e l’intuizione possono dominare. Bataille aveva deciso di far sparire questo libro, perché non avrebbe avuto alcun senso pubblicare negli anni cinquanta un’opera che parlava dei segni preannunciatori della Seconda Guerra mondiale. Eppure, la forza del romanzo è proprio in quell’odore di catastrofe che invade cielo e terra e si infiltra nell’animo degli uomini. È come se questa forza malvagia, tempestosa e irosa, si impadronisse delle anime con lo scopo di guidarle verso l’abisso. Non esiste più il destino soggettivo, ma solo quello collettivo.

Henry è perdutamente innamorato di Dirty; per lei sarebbe disposto a tutto, eppure, questa donna è alcolizzata, perversa, ambigua in ogni suo gesto. Ma per lui, uomo dell’abisso che, paradossalmente, trova con Dirty un equilibrio, non esiste altra compagna di vita. Il suo legame è malato, come malata è l’Europa del 1934; anno in cui Hitler sale al potere, il cancelliere austriaco Dollfuss viene assassinato e a Barcellona scoppia la guerra civile. Tutto è infettato… come Henry, che vede la malattia in Lazare e in Xénie, altre due donne che incontra durante il suo vagabondaggio.

Solo Dirty è un morbo che si può accettare, che può continuare a crescere nel cuore di Henry. Non importa cosa accadrà, basta solo che tutto termini con Dirty accanto.

In questo amore tormentato, che sa di morte, di necrofilia, di suicidio e di tragedia, Henry ritrova anche quello che sta avvenendo in Europa. I totalitarismi amano la carne putrefatta, sono pronti a fare del mondo un mattatoio e a trasformare il sangue in vino. Queste sensazioni guidano il protagonista nella sua ricerca di una morte romantica e spingono Dirty alla perversione. Entrambi aspettano che gli eventi facciano il loro corso. In questi casi, l’uomo non può intervenire, non può mettersi contro la Provvidenza, ma può solo adeguarsi; deve farlo in nome della propria bestialità.

Così L’azzurro del cielo non è una resa incondizionata al destino, bensì la prova dell’esistenza di un unicum88, in cui si mescolano cielo, terra e uomini.

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