Rivedere Scarface di De Palma oggi, dalla genesi al lascito
scarface copertina

I primi 40 anni di Scarface di Brian De Palma

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7 minuti di lettura

Alcuni film rimangono più di altri nell’immaginario collettivo e oggi, a quarant’anni dalla sua uscita il 9 dicembre del 1983, si può dire che abbia avuto questo destino anche Scarface, di Brian De Palma, rifacimento dell’omonimo capolavoro del 1931 di Howard Hawks. Con la cicatrice sul volto e l’arroganza di chi pensa di poter conquistare tutto (“The world is yours“), il gangster Tony Montana è una delle immagini più vivide tra le icone del cinema.

scarface scena iconica al pacino tramonto

Oltre al citato Hawks col suo impassibile Paul Muni, tra gli antenati dello Scarface depalmiano troviamo tutta quella schiera di gangster movie che hanno fatto scuola dopo l’avvento del sonoro, in particolare Piccolo Cesare (Little Caesar, Mervyn LeRoy, 1931) e Nemico pubblico (Public Enemy, William A. Wellman, 1931). Per dare vita al suo Scarface, De Palma – e ciò vale un po’ per tutto il suo cinema – riparte proprio dal cinema stesso e dalla tradizione, attualizzando il gangster movie urbano classico nella Miami degli anni ’80 e, allo stesso tempo, rispettando e tradendo il passato.

Scarface è diventato celebre ovviamente anche grazie al grandissimo Al Pacino che domina ogni inquadratura, insieme ai giovanissimi Steven Bauer e Michelle Pfeiffer.

Scarface e i suoi antenati

SCARFACE  confronto tra le notti di chicago, scarface 1932 e 1983
Rispettivamente Le notti di Chicago (1927), Scarface (1932) e Scarface (1983)

Ricontestualizzazioni a parte, a ben vedere, quello di De Palma è un racconto abbastanza fedele al suo originale omonimo, con una suddivisione in atti che segue il classico schema di rise and fall e i cui cambiamenti sostanziali della storia non vanno a intaccarne più di tanto il significato. La sceneggiatura di Oliver Stone saccheggia con fare citazionista il passato per ridargli linfa meta-cinematografica attraverso una riproposizione che è attaccata alla regola per poi, come vedremo dopo, cambiarne il senso ultimo.

La regia di De Palma, analogamente, si nasconde un po’ tra le pieghe del classico. Di solito preziosamente ricca di virtuosismi e invenzioni visive, la messa in scena qui è più vicina alla grammatica di quel cinema gangster: seppur i crismi della regia depalmiana siano assolutamente riscontrabili (con le sue iterazioni, con i crane shots che partono dal mondo e arrivano al particolare, con la macchina a mano che segna i momenti più convulsi), c’è una riduzione che smorza il virtuosismo in favore di una china più classicheggiante.

Divergenze dal cinema gangster degli anni Trenta

scarface al pacino spara

Se, come si è detto, Scarface si attiene in larga parte alla regola, lo fa per attuare una riflessione che, oltre al gusto metacinematografico e citazionista, ha l’intenzione di tradire la figura del gangster passando per i suoi codici più lontani. Il Tony Montana di De Palma non è più un gangster as a tragic hero (per dirla con Robert Warshow), e seppur il suo arco narrativo rispecchi quasi con ironica esattezza la tradizione, il personaggio è scevro di ogni eroismo epico, è un mediocre, è uno sconfitto; è un personaggio respingente e deplorevole in molti sensi, possessivo in maniera lasciva e allusoria nei confronti della sorella, costantemente schiavo del vizio e superficiale in molti sensi.

L’epicità del mito e dell’antieroe temerario si fa da parte per lasciare spazio a una mediocrità che, al contrario, si nasconde nella paranoia e nella nevrosi. La proliferazione delle telecamere e l’attenzione alla sicurezza sono il segno proprio di un abbandono dell’eroismo. La sua ascesa non è altro che una versione deformata e diabolica del sogno americano raggiunto con mezzi illeciti. L’eroe nero degli anni Trenta lascia spazio a una spirale viziosa di solitudine, dissoluzione e paranoia in cui il protagonista viene risucchiato e che lo rende inconciliabile con l’empatia dello spettatore.

Scarface è un gangster movie senza morale

scarface michelle pfeiffer che fuma una sigaretta

Un’altra questione cruciale in Scarface è l’assenza della morale tipicamente classica. La costruzione del film, eliminando di fatto una solida controparte dal lato della legge e quindi rimuovendo un gioco di rimbalzi tra punti di vista morali opposti, va a intaccare consapevolmente quel meccanismo di condanna. Ciò emerge anche da uno sproloquio dello stesso Tony che urla davanti a tutti: “You need people like me, so you can point your fuckin’ fingers and ‘say that’s the bad guy’”.

La purificazione della società arriva quando si punta il dito contro un caprio espiatorio pronto a portare il fardello di tutti i peccati, ma il male da emendare non è altro che una versione distorta del sogno americano e dei valori vigenti (soprattutto se si pensa che il film esce in pieno clima reaganiano). Non c’è quindi morale, perché l’ascesa e la caduta di Tony Montana formano la parabola schizofrenica del selfmade man: la mancanza di un eroismo tragico lo rende un everyday man, l’eliminazione della legge dallo schema del racconto rimuove l’identificazione positiva e non può esserci catarsi.

Tony Montana, il cui corpo senza vita nella piscina è sovrastato dalla scritta che ricorda “The world is yours”, non è altro che l’ennesima vittima di un gioco sociale spietato.


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Classe 1998, nato a La Spezia. Laureato in Discipline dello Spettacolo e della Comunicazione a Pisa e attualmente studente di Cinema, Televisione e Produzione Multimediale a Bologna. Sono appassionato di cinema sin da piccolo e scrivere mi aiuta a fare chiarezza su ció che guardo (quasi sempre).

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