CISTERNA, Emanuele Dal Pozzo principe della in "Dizionario Biografico" - Treccani - Treccani

CISTERNA, Emanuele Dal Pozzo principe della

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 26 (1982)

CISTERNA, Emanuele Dal Pozzo principe della

Vladimiro Sperber

Primogenito del principe Alfonso e di Anna Teresa Teodora del conte Carlo Emanuele Balbo Bertone di Sambuy, nacque a Torino il 7 genn. 1789. Il padre, deportato in Francia nel 1799, era tornato in Piemonte dopo la battaglia di Marengo; morì nel 1819. Durante il dominio francese il C. fu ciambellano del principe Borghese, e nel 1810 fu nominato barone dell'Impero.

Con la Restaurazione il C., di antico e nobile lignaggio e tra i più ricchi del Piemonte, rifiutò qualsiasi profferta di pubblico impiego (nella diplomazia) e si atteggiò a leader dell'opposizione liberale moderata, soprattutto moderata e prevalentemente nobiliare. È difficile stabilire le premesse e i fattori costitutivi di questo ruolo piuttosto inedito e, tutto sommato, essenzialmente di facciata. Insofferente della gretta vita torinese, soggiornò prevalentemente a Parigi, ma fu viaggiatore - e messaggero - instancabile tra Francia, Svizzera, Piemonte e Lombardia, coltivando preesistenti rapporti di amicizia, e intrecciandone nuovi, coi liberali più in vista, e partecipando ai più noti movimenti di rinnovamento culturali, sociali e politici dell'epoca.

Partecipò, tra l'altro, col cugino Ludovico di Breme, al tentativo di instaurare in Piemonte scuole lancasteriane, e appoggiò a Milano il gruppo del Conciliatore. Sempre scettico e pessimista, il C. seguiva queste iniziative liberali pronto soprattutto a cogliere l'opportunità propagandistica offertagli dall'immancabile e da lui vaticinato atto repressivo del governo (probabilmente ebbe un ruolo preminente nella pubblicazione dell'opuscolo La censure autrichienne pour l'Italie: factum sur le Conciliateur de Milan).

Poco sappiamo della sua cultura: egli godette dell'amicizia e dell'ammirazione di molti rappresentanti insigni della cultura piemontese e francese, ma i loro elogi si riferiscono generalmente alle sue grandi qualità umane. Nulla, nella lunga vita del C., sembra indicare in lui particolare attitudine alla politica attiva. V. Cousin, in una famosa lettera del 1838 apparsa sulla Revue des Deux Mondes il 1º marzo 1840 - commosso ricordo e biografia del Santarosa pubblicata con intenti politici più immediati -, reputa il C., destinatario della lettera, piuttosto destinato, per "naissance", "fortune" e soprattutto "caractère" e "lumières", a rappresentare la sua patria. a Parigi o Londra. Il Santarosa al contrario riteneva, per le stesse ragioni ("Sa position sociale, son noble caractère, ses avantages personnels"), che il C. fosse designato a essere capo partito, aggiungendo che meritava la "confiance" dei liberali perché "il ne restait chez lui aucun vestige de cet esprit aristocratique dont on s'alarmait" (1822, pp. 61 s.). E qui il Santarosa toccava il nodo cruciale della biografia politica del Cisterna. In una città e in un'epoca in cui più violento era l'odio tra aristocraziae borghesia il C., che considerava tra le sue disgrazie quella di "essere nato in questa città e nella nostra nobilissima ma sporchissima casta", pose ogni cura nel tentativo di "snobilizzarsi" (a C. Balbo, 10 marzo 1817). Non tutti evidentemente ne furono persuasi ché S. Pellico, suo estimatore ("modello squisito di bello ideale morale e politico"), pure ammettendo che aveva pochi amici perché sdegnoso, che "il volgo lo chiama superbo" e che molti "buoni" ne sparlano, ne individuava la causa nei nobili natali del C., "taccia vivamente esecrata" dai non nobili (p. 227). D'altra parte fu proprio per la sua collocazione sociale, "e non perché il principe avesse le qualità che si richiedono per maneggiarsi con successo nelle faccende pubbliche, che in ciò, per vero dire, grandemente egli scapitava", che era stato prescelto da alcuni a rassicurante vessillo della futura rivoluzione (Saggio di storia contemp. italiana. Avvenimenti del Piemonte, ... dall'anno 1814 all'anno 1821 descritti da un ligure, Carpentras 1849, pp. 105 ss.).

Il governo sardo preferì fingere di "ignorer" la "espèce de profession publique de son oppsition" e disprezzo i "deraisonnernents impuissants" del C. e dei suoi amici, come notava, disapprovando, il ministro austriaco a Torino, Starhemberg (Le relazioni diplomatiche fra l'Austria e il Regno di Sardegna, s. 1, I, p. 453). Dopo la rivoluzione napoletana del 1820 il C. ed i suoi amici entrarono evidentemente in contatto col movimento settario in Piemonte, e fu, almeno per alcuni di essi, una rivelazione di vigore e risolutezza insospettati. Il contrasto fu vivamente rilevato da un amico del C., E. Perrone di San Martino: i primi, "rien que de mauvais bourdons", "jettent les hauts cris de ne pas galopper et on les voit palir comme des spectres au moindre faux pas", mentre soltanto i carbonari seguono una "conduite active, franche et loyale" (Lemmi, Processo, p. 45). Furono probabilmente questi pericolosi rapporti, o i rapporti col ministro spagnolo Bardaxi trasferito a Parigi da Torino (dove aveva alloggiato nel palazzo Cisterna) e con liberali francesi supposti membri del "comitato", a indurre il ministro degli Esteri francese Pasquier a premere sul governo sardo Perché ponesse fine alle mene del Cisterna. Il 28 febbr. 1821 venne arrestato, al Pont-de-Beauvoisin, un viaggiatore di commercio nella cui carrozza, ampiamente fornita di ripostigli segreti, furono scoperte numerose lettere altamente compromettenti, che portarono all'arresto, nella notte tra il 2 e 3 marzo, del marchese di Priero e del Perrone. Lo stesso C., non avvertito, venne fermato al Pont-de-Beauvoisin il 4 marzo e rinchiuso nel forte di Fenestrelle: il suo portafogli e i numerosi ripostigli segreti della sua carrozza contenevano anch'essi, oltre un'infinità di opuscoli, molte lettere compromettenti.

Purtuttavia è probabile che il C. fosse accorso su propria iniziativa o altrui consiglio o ambedue in Piemonte (e subito dopo intendeva recarsi in Lombardia) per calmare le acque troppo agitate, non certo per accendere la miccia rivoluzionaria. Egli riteneva che una simile impresa fosse attuabile solo a condizione che tutti i fattori, sulla scena europea e italiana, e in primo luogo gli sviluppi bellici nel Meridione, fossero favorevoli. "Credi che i giorni, i mesi e gli anni ancora vanno calcolati in una faccenda così importante. Quando la cosa sarà matura essa si manifesterà", scriveva al Priero, e non la si fa maturare "con parole, e meno ancora con azioni mal combinate"; e al Perrone raccomandava: "travaillez toujours, mais ne pressez rien" (Lemmi, pp. 41-44). "On crut avoir déjoué une conspiration, et il se trouvait qu'aucun des trois n'avait part à celle qui allait éclater" scrisse poi il Santarosa (pp. 60 s.), che negherà sempre recisamente qualsiasi partecipazione del C. alla rivoluzione.

È probabile che la scoperta delle carte e gli arresti stessi avessero sollecitato l'inizio della rivoluzione. Il C. venne liberato il 13 marzo, il 14 venne nominato membro della giunta. Nessun contributo diede al regime rivoluzionario, così lontano sotto ogni aspetto dai suoi ideali moderati e di sostenitore della Charte. Il 17marzo si ammalò; il 22, spaventato dalla fuga a Novara di Carlo Alberto, fuggì col Priero a Ginevra. Ritornò in Piemonte appena avvisato della situazione consolidata, e vi rimase fino alla sconfitta (la sua precedente fuga aveva suscitato non poche critiche). Esulò dapprima in Isvizzera passando per la Francia, ove venne fermato e interrogato, poi a Parigi ove, allorché venne arrestato il Santarosa, nel 1822, era ricercato dalla polizia. Viveva comunque a Parigi sotto falso nome, nell'autunno del 1823, allorché il 6 ottobre lo stesso ministro sardo a Parigi, C. E. Alfieri di Sostegno, chiese che le ricerche venissero sospese, e si rese garante per il C., che promise di "vivre paisiblement et sans se faire connaitre sous le nom de la Cisterna" (i docc. citati e tutta la documentazione relativa alla discretissima e cortese sorveglianza cui fu sottoposto fino al 1830 in Archives nation. di Parigi, Police génèrale,Aff. polit., F7 6964, fasc. 12.298). Il 10 ag. 1821 venne condannato a morte in contumacia (e impiccato in effigie), ed ebbe le sue proprietà confiscate. Aveva comunque provveduto, in maggio, a vendere un suo palazzo in Torino a G. B. Barbaroux per 450.000 lire (le vicende di questa vendita, e il recupero del palazzo, si trascinarono per molti anni: cfr. Cicotera). Nel 1832 venne parzialmente graziato, con revoca della confisca dei beni, ma rifiutò di sottoscrivere l'atto di sottomissione. Nel '34 ebbe facoltà di risiedere due mesi all'anno in Piemonte e, finalmente, il 27 marzo 1842 fu compreso nell'indulto.

La monarchia di luglio intervenne a più riprese in suo favore presso Carlo Alberto, il quale ammetteva l'ingiustizia subita dal C. (i due erano certamente stati in contatto fino al 1820: cfr. il giudizio che ne dà il C. in Lemmi, pp. 41 ss.) e concordava coi Francesi circa la sua esemplare condotta politica dopo il '21. Ma contro di lui vigilava la reazione, che appunto nella estrema moderazione politica del C. individuava un grave pericolo. Il ritorno del C. - "le plus redouté ici" -, "sa grande existence, son caractère honorabie, son esprit distingué... effrayent d'avance le parti qui a triomphé en 1821" riferiva già nel maggio del '31 il Barante (Relaz. ... Francia-Sardegna, s. 2, 1, pp. 237 s.). La diplomazia austriaca riteneva pericoloso il ritorno del C. e dei suoi amici perché temeva che i loro palazzi sarebbero diventati altrettante "scuole di diritto pubblico costituzionale".

In effetti la casa parigina del C. fu sempre un importante punto d'incontro tra liberali moderati italiani e francesi, quasi centro di vita politica sociale e culturale frequentato anche da nobili liberali e uomini di cultura piemontesi in visita a Parigi, per i quali il C. continuava ad essere un punto di riferimento. Date le severe preclusioni sociali e soprattutto politiche del C., i rapporti con le successive ondate di emigrati politici dovettero presentarsi spesso difficili se non impossibili. Se non vi fossero "de moyens de ne pas être confondus avec eux - disse il C. a Camillo di Cavour nel '35 -, il aurait fallu renoncer au titre d'italien" (Epist., I, pp. 196 s.). Il C. d'altra parte svolse anche un ruolo rilevante di mecenate nei confronti di molti italiani, opportunamente selezionati, soprattutto con l'aiuto del Cousin. I riflessi di querelles famose nell'epistolario del Gioberti ci permettono di intravederne luci e ombre, sia pur particolarmente calcate queste ultime, rivisti e rivissuti da un beneficiato più orgoglioso ed indipendente in un momento di ira ("mecenate a rovescio che mi avrebbe fatto crepare di rabbia e di dispetto": III, p. 59) da cui finalmente la famosa bontà del C. riemerge vittoriosa, meno le sue doti intellettuali. Riemerge soprattutto l'alterigia nobiliare: "ha dovuto parere un gran peccato, al C. - commentava il Gioberti - "che un borghese osi dare a un marchese [Gustavo di Cavour] il titolo di calunniatore" (IV, pp. 206 s.). E riassumeva magistralmente il giovane Pietro di Santarosa: "Le prince, tout liberal qu'il est, est toujours prince, grand seigneur; son air noble, la dignité de toute sa personne, sa richesse en imposent" agli animi meno forti, per cui la condotta del Gioberti ha "choqué, blessé" il C. (Cavour, Epistolario, II, p. 387).

Nel 1846 sposò a Bruxelles Louise Caroline figlia del conte Jean-Baptiste Werner Ghislaine de Merode, una delle famiglie più influenti del Belgio. Nel 1846-47 gli sposi furono in Toscana e a Roma. A Torino restaurò palazzo Cisterna finalmente recuperato; risiedette spesso a Reano, ma continuò a prediligere il soggiorno parigino.

L'ora della grande rentrée del C. sulla scena politica piemontese sembrò giunta nel 1848. Il 24 gennaio fu nominato membro, per Torino, del Consiglio di Stato. Dopo la concessione dello statuto, venne nominato senatore ed eletto deputato (27 aprile) nel collegio di Avigliana. Tentò dapprima, con lettera scritta da Parigi il 14 apr. 1848, di sottrarsi all'onore del laticlavio (la lettera del C. e la risposta di V. Ricci: "Il Re ed il paese sanno quanto la S. V. Ill.ma sia innanzi nelle scienze politico-sociali, furono edite da A. Colombo, La prima infornata senat. ..., in Rass. stor. d. Risorg., XI [1924], pp. 467 ss.); poi optò per il Senato, ma non pose mai piede in quel consesso. Dopo due richieste di congedo temporaneo, il suo nome non compare più negli atti di quell'Assemblea.

In effetti non partecipò mai alla vita politica attiva: "ultra-modéré", il C. "ne parait pas très-bien comprendre le moment", commentava Costanza d'Azeglio; espressione della aristocrazia "peu rallié" - incalzava Emanuele d'Azeglio da Bruxelles - il C. vede tutto nero, "scéptique pour le bon coté, pessimiste méme pour les victoires sinistre prophète de malheurs" (pp. 186 s., 241). Sempre a Bruxelles sollevò vivaci polemiche il tono del suo rifiuto di un incarico diplomatico offertogli da Roma dal Mamiani, alla fine del '48 (il C. era intervenuto nel 1846 in favore del Mamiani presso il governo sardo). Ma il disgusto che egli manifestò dal '48 in poi per la politica piemontese eccessivamente liberale non riuscì a celare la sua reale incapacità politica. Non poté mai valicare i ristretti limiti del ruolo di nobile frondeur, sempre ascoltato come un oracolo nella sua ben delimitata cerchia, come rilevava Margherita di Collegno nel 1853 (p. 146), né seppe assumere le proprie responsabilità. Rimase costantemente sordo agli appelli, rivoltigli dagli amici, di una più responsabile partecipazione alla vita politica attiva. Ogni tanto, reduce da Reano, sostava a Torino per "se poser pendant huit jours chef de notre fronde des Cafés de Turin" per poi ritornare a Parigi (Collegno al Cousin, in Mastelione, p. 136).

Il C. morì a Reano (Torino) il 26 marzo 1864, ultimo discendente maschio della sua famiglia. La figlia Maria Vittoria sposò Amedeo di Savoia duca d'Aosta, re di Spagna dal 1870 al 1873.

Fonti e Bibl.: Per la rivoluz. del '21 è essenziale F. Lemmi, Il processo del principe della C., in La Rivoluzione piemontese dell'anno 1821, Torino 1923, I, pp. 1-99 (con tutti i documenti; si noti che, dopo la restituzione di tutte le carte al C., ben pochi documenti compromettenti in copia rimasero in mano alla magistratura). Cfr. anche, di S. Santarosa, De la révolution piémontaise, 3 ed., Paris 1822, pp. 60 ss., 109, 164 n., 171; per il periodo immediatamente precedente la rivoluzione, L. Angeloni, Alla valente... gioventù... esortazioni patrie, Londra 1837, pp. 649, 653-60, traccia un rapido profilo del "mal cauto parlatore in pro delle monarchiche cose", tramite tra Gifflenga ed altri e lo stesso Angeloni, e attesta il suo ottimismo il giorno della partenza per l'Italia; l'inattendibile J. Witt, Mémoires secrets relatifs à l'état de la Revolution du Piemont, Paris 1831, I, pp. 78, 87, 89-93, 99, attribuisce l'arresto del C. ad una delazione della sua amante S…, identificabile con la marchesa Saluzzo i cui stretti rapporti col C. sono attestati da un dossier della polizia parigina (cfr. S. Carbone, Fonti per la storia del Risorg. ital. negli Archivi nazionali di Parigi, Roma 1962, ad Ind.); Mémoires du Chancelier [E-D.] Pasquier, a cura di Audiffret-Pasquier, V, Paris 1894, pp. 160 s., 165; C. Torta, La rivoluz. piemontese nel 1821, Roma- Milano 1908, pp. 81 ss., 91, 156, 172 e docc, pp. 235, 238; E. Passamonti, C. Balbo e la rivol. del 1821..., in La rivol. piem. dell'anno 1821, II, Torino 1926, pp. 10, 115-18, 218 s.; Id., P. Balbo e la rivoluzione del 1821, in La rivoluz. piemontese del 1821, a cura di T. Rossi-C. P. De Magistris, Torino 1927, II, pp. 290 ss., 294-98. Di rilevante interesse, per la biografia del C., sono le fonti diplomatiche: Le relazioni diplom. fra l'Austria e il Regno di Sardegna, s. 1, I-III, a c. di N. Nada, Roma 1964-1970; s. 2, I-II, a c. di N. Nada, Roma 1972-73; Le relaz. ... Francia e il Regno di Sardegna, s. 2, I-II, a c. di A. Saitta, Roma 1974-76; Le relaz. ... Gran Bretagna e il Regno di Sardegna, s. 1, I-II, a c. di F. Curato, Roma 1972, tutti ad Indices; G. Spini, Mito e realtà della Spagna nelle rivoluzioni italiane del 1820-21, Roma 1950, ad Ind. (ma soprattutto i dispacci di Bardaxi); Le relaz. diplom. fra lo Stato pontificio e la Francia, s. 3, I, a c. di M. Fatica, Roma 1971, ad Ind. (per l'incarico diplomatico da parte del Mamiani, cfr. anche La diplom. del Regno di Sardegna durante la prima guerra d'indipendenza, II, Relazioni con lo Stato pontif., a c. di C. Baudi di Vesme, Torino 1951, p. 343; e Carteggi di V. Gioberti, IV, Lettere di G. Bertinetti.... a c. di A. Colombo, Roma 1937, pp. 120-23); G. Berti, Russia e Stati italiani nel Risorgimento, Torino 1957, p. 688 n. 2 (sull'intenzione di Cavour di affidare al C. la legazione in Russia, nel 1856). Per l'archivio del C. cfr. A. Cicotera, Palazzo Cisterna a Torino, Torino 1970, ad Indicem; Biblioteca Apost. Vaticana, Autogr. Patetta (cinque lettere del C. a C. Balbo, di cui una del 1817 e due del 1820 - interessanti per le differenze politiche tra i due - non ancora catalogate); per la corrispondenza nell'Archivio Cousin, cfr. S. Mastellone, V. Cousin nel Risorgimento italiano (Dalle carte dell'archivio Cousin), Firenze 1955, ad Ind. e p. 55. Moltissime notizie sul C. sono negli epistolari coevi (gli indici confondono frequentemente il C. e Ferdinando Dal Pozzo), ma rare le citazioni di lettere del C. che riflettono il suo pensiero, e anche più scarsi i riferimenti ai suoi rapporti con la citata "marquise de Saluce" prima e dopo il '21. Si vedano V. Cousin, Fragments et souvenirs, Paris 1857, pp. 189, 191 s., 208-13, 281 s.; Souvenirs hist. de la marquise Constance d'Azeglio..., a c. di E. d'Azeglio, Turin 1884, pp. 31, 80, 84, 86, 104, 186, 209, 241, 247, 377; Carteggio del conte F. Confalonieri, a c. di G. Gallavresi, II, 1-2, Milano 1911, ad Ind.; Diario polit. di Margherita Provana di Collegno, 18-52-56, a c. di A. Malvezzi. Milano 1926, ad Ind. e p. 146; V. Gioberti, Epistolario (ed. naz.), I-VI, X-XI, ad Indices; C. Cavour, Epistolario (ed. naz.), I-II, ad Indices (dello stesso cfr. anche Diario inedito, a c. di D. Berti, Roma 1886, pp. XXVIII, LVIII, 261, 273, 277, 301, 307); S. Pellico, Lettere milanesi (1815-1825), a c. di M. Scotti, Torino 1963, ad Ind.; L. di Breme, Lettere, a c. di P. Camporesi, Torino 1966, ad Ind.; S. di Santa Rosa, Lettere dall'esilio (1821-1825), a c. di A. Olmo, Roma 1969, ad Ind. Cfr. anche V. Cian, Glialfierani-foscoliani piemontesi ed il romanticismo lombardo-piemontese, Roma 1934, pp. 30-33, 48, 53, 60, 62 s.; C. Cantù, Il Conciliatore e i carbonari, pp. 15 ss., 61-64, 94 s. nota.

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