I sospetti sui russi: la cospirazione per uccidere Zelensky, le microspie in Polonia, gli hacker in Italia - HuffPost Italia

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I sospetti sui russi: la cospirazione per uccidere Zelensky, le microspie in Polonia, gli hacker in Italia

Solitamente servono almeno tre sospetti prima di arrivare a una prova. Tre come i casi recenti che interessano Ucraina, Polonia e Italia, tutti potenzialmente collegabili alla Russia. Prove concrete contro Mosca però non ce ne sono, al contrario dei sospetti che abbondano. Il motivo sono le numerose attività che sarebbe condotte sottotraccia dal Cremlino nell’ultimo periodo, da quelle di sabotaggio fino alla destabilizzazione, passando inevitabilmente dallo spionaggio.

L’episodio più eclatante è quello ucraino, dove due funzionari dell’amministrazione per la sicurezza dello stato sono stati denunciati con l’accusa di tradimento e complicità in un attacco terroristico. Il fine era uccidere il presidente Volodymyr Zelensky, cercando qualcuno a lui vicino che potesse catturarlo. Non era l’unico obiettivo del piano, che prevedeva l’eliminazione fisica del capo dei servizi segreti di sicurezza, Vasily Malyuk, e quello dell’intelligence militare, Kirill Budanov. Quest’ultimo doveva essere ucciso prima della Pasqua ortodossa, un regalo in occasione del quinto insediamento da presidente di Vladimir Putin.

Il caso non è l’unico e arriva in concomitanza con quello polacco, dove sembra nascere una nuova spy-story. Le premesse ci sono tutte: alcune cimici piazzate nelle stanze del governo e un giudice che chiede asilo politico in Bielorussia perché contrario alla linea antirussa tenuta dal suo paese. Non è detto che le due vicende siano collegate, ma i dubbi che sia realmente così ci sono. Stamattina “il servizio di protezione statale, in collaborazione con l’agenzia per la sicurezza interna, ha individuato e smantellato i dispositivi che potrebbero essere utilizzati per le intercettazioni nella sala in cui si terrà la riunione del consiglio dei ministri oggi a Katowice”, hanno fatto sapere dai servizi di sicurezza polacchi. Al vertice, che si è regolarmente svolto, si sarebbe parlato di politica energetica, in particolare della transizione dal carbone e di un programma per attenuare l’inflazione sui prezzi dell’elettricità. Non si sa chi, quando e per quale scopo abbia messo i dispositivi all’interno della sala, ma trattandosi di un paese chiave per il sostegno dell’Ucraina i timori della Polonia fanno pensare che dietro ci sia la Russia.

Chissà se anche il giudice Tomasz Szmydt non abbia operato su ordine esterno, come teme il vicepremier e ministro della Difesa, Władysław Kosiniak-Kamysz: “Se qualcuno sceglie la Bielorussia, allora con quali interessi ha lavorato per anni in Polonia? Per conto di chi?”, si è chiesto assicurando “un chiarimento immediato” sulla questione. Su cui si è espresso anche il primo ministro Donald Tusk: “Si tratta di un caso che affonda le sue origini molto, molto tempo fa. Non possiamo ignorarlo”.

Anche qui, i dettagli aiuteranno a fare maggiore chiarezza. Quel che si sa è che è stata aperta un’indagine su Szmydt per comprendere a quale tipo di informazioni abbia avuto accesso. La paura è che, ora che si trova in Bielorussia, possa trasmetterle a uno dei maggiori alleati della Russia. Tramite un video ripubblicato da Ria Novosti, l’indiziato si difende definendo il suo come “un caso di falso spionaggio”, per cui se tornasse in Polonia potrebbe “essere arrestato” ingiustamente. “Prima era dura, ma ora è una questione di vita o di morte”. Szmydt è un volto noto nel paese per aver contribuito nel 2019 alla campagna di diffamazione condotta dal ministero della Giustizia contro alcuni giudici e per la sua vicinanza al partito Diritto e Giustizia (PiS), sconfitto alle ultime elezioni. A screditarlo è stato anche Stanisław Żaryn, consigliere del presidente Andrzej Duda nonché ex portavoce dei servizi segreti al tempo in cui governava il PiS, che già in passato aveva messo in guardia sulle attività di spionaggio condotte dalla Russia. “Nessuna persona sana di mente fugge in Bielorussia per diventare un burattino nelle mani di Putin e Lukashenko”.

In realtà qualcun altro lo aveva già fatto, come ha ricordato il ministro degli Esteri Radoslaw Sikorski, “scioccato” nel leggere la notizia. Un caso simile era già avvenuto a fine 2021, quando il soldato Emil Czeczko aveva disertato passando il confine con la Bielorussia, da dove ha denunciato le violazioni e i maltrattamenti (a cui anche lui aveva preso parte) che la polizia di frontiera polacca aveva perpetrato contro i migranti al confine. Tre mesi più tardi, era stato ritrovato impiccato in una casa a Minsk senza conoscere le cause della morte.

Non è l’unica storia di spionaggio che vede la Polonia vittima, suo malgrado. Ad aprile un appassionato di rievocazioni storiche russe è finito in manette per aver osservato troppo da vicino le forze armate polacche, per conto di Mosca. A fine marzo, grazie alla collaborazione con la Repubblica Ceca e al coordinamento con altri stati europei, le autorità polacche hanno effettuato perquisizioni per sgominare una campagna di disinformazione e propaganda russa nell’Ue. La talpa aveva rapporti sia con le istituzioni polacche sia con quelle comunitarie e aveva il compito di mettere in cattiva luce l’immagine del suo paese, del gruppo dei 27 e dell’Ucraina.

Se su queste storie bisogna continuare a indagare per capire chi è il burattinaio che muove i fili, nel caso dell’hackeraggio contro i siti istituzionali italiani è già arrivata la rivendicazione del gruppo filorusso Noname957. Gli obiettivi dell’attacco informatico sono stati il sito del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, quello dello Sviluppo Economico, della Guardia di Finanza e della presidente Giorgia Meloni. Il motivo è spiegato nella rivendicazione degli stessi hacker: “L’Italia sta preparando un nuovo pacchetto di aiuti militari per il regime criminale di Kiev. Sarà presentato al vertice del G7 di giugno e il suo elemento chiave è il sistema di difesa Samp-T, sviluppato congiuntamente con la Francia. Ricordiamo alle autorità italiane le conseguenze dell’aiuto al regime criminale di Zelensky”. Attacchi di questo tipo – noti come Ddos, Distributed denial of service – non producono grandi danni e sono stati condotti contro altri alleati dell’Ucraina. “Non credo a pericoli per attentati, l’unica preoccupazione riguarda gli attacchi cibernetici”, aveva spiegato lunedì il ministro degli Esteri Antonio Tajani, respingendo la tesi del Financial Times secondo cui Mosca era pronta a condurre attacchi non solo cibernetici.

Anche Germania e Repubblica Ceca sono finite nel mirino dell’altro gruppo hacker legato al Cremlino, Apt28. Così come la Norvegia, che ha denunciato sabotaggi contro la base navale di Haakonsvern, la più grande del nord Europa, insieme ad altri importanti centri petroliferi, di gas e centrali elettriche. È il ritorno delle spie: d’altronde il clima che si respira è da Guerra Fredda.

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