Epic Metal – I 15 Album fondamentali degli Anni ’80

Epic Metal – I 15 Album fondamentali degli Anni ’80

L’Epic Metal è fondamentalmente un’invenzione di giornalisti e ascoltatori che, all’inizio degli anni ’80, hanno assistito alla nascita di un sound e di un immaginario ben preciso che è risultato affascinante soprattutto per una fetta di metal fan fedeli ed accaniti. I gruppi che fanno capo a questo “genere” suonano fondamentalmente heavy metal classico con differenti variazioni, dal doom al power, dal melodic metal all’heavy rock. I testi delle band che si dedicano a questo stile sono incentrati spesso su tematiche mitologiche (dalla nordica alla greca senza dimenticare tutte le altre) o ispirati dalla lettura heroic fantasy (Howard su tutti ma anche altri minori) e high fantasy (Tolkien, Moorcock, ecc.) oppure ancora horror/soprannaturale (su tutti Poe); non dimentichiamo poi che nelle lyric di queste band appaiono molti inni al metal ed ai suoi ascoltatori.

Le radici di questo genere affondano negli anni ’70 e basti citare “Rising” dei Rainbow di Blackmore/Dio (oppure i tanti brani già epic dei Judas Priest, degli Uriah Heep o dei Black Sabbath sempre con Ronnie alla voce) per capire quali sono i riferimenti basilari. Poco tempo dopo escono allo scoperto alcuni episodi che potremmo definire proto-epic come “From The Fjord” (1979) dei Legend statunitensi o “Stand Up And Fight” (1980) degli inglesi Quartz ma i primi veri album che hanno segnato quest’epoca sono legati a due dei nomi più importanti, ossia Manilla Road e Cirith Ungol che, rispettivamente con i loro “Invasion” (1980) e “Frost And Fire” (1981) danno l’avvio ufficiale ad un Epic Metal dal sapore oscuro e cupo. Il terzo nome che crea la base indistruttibile di questo sound è quello dei newyorkesi Manowar; il loro debutto “Battle Hymns” (1982) ed i successivi capolavori danno consistenza e fama a questo genere e propendono per uno stile più melodico ma allo stesso tempo possente, selvaggio e maestoso. Un’altra caratteristica di questo sound è che normalmente i gruppi che lo eseguono sono rimasti relegati ad uno stato di cult band e ben pochi hanno raggiunto un gran numero di ascoltatori; in questo senso la band di maggior successo negli anni ‘80 è stata proprio quella dei Kings Of Metal guidati dal leader indiscusso Joey DeMaio.

Oltre a questa triade, considerata quella della consacrazione, abbiamo poi altri gruppi decisamente importanti; citiamo i melodici e sognanti Warlord, gli heavy rocker svedesi Heavy Load (associati all’epic soprattutto per l’immaginario ed alcuni testi), i romantici Virgin Steele, i doomster svedesi Candlemass, i bellicosi power Omen ed anche gli eclettici Brocas Helm.

La caratteristica che accomuna tutte queste band è la loro personalità che rende uniche ed inestimabili le opere da loro realizzate. Aggiungiamo che forse uno dei motivi per i quali i dischi di questi gruppi sono rimasti nella storia del metal è proprio che i musicisti “non sapevano” di suonare epic metal ed hanno potuto esprimersi senza schemi precostituiti da seguire.

In questo speciale abbiamo voluto proporvi, al ritmo di una release per band, gli album più interessanti (a nostro giudizio) degli anni ’80 e non mancheranno anche alcuni nomi davvero meno noti che abbiamo aggiunto in quanto anche le loro opere risultano estremamente importanti e imperdibili. (Leonardo Cammi)


Heavy Load - Stronger Than EvilHEAVY LOAD – Stronger Than Evil

(Thunderload Records, 1983)

Gli Heavy Load non sono sicuramente fra le band più citate degli anni ’80, ma hanno sfornato dei signori dischi e a suo tempo hanno esercitato una notevole influenza su numerosi gruppi. Se non ci credete chiedete a Joachim Cans, che non ha mai nascosto la propria ammirazione per l’ensemble svedese e con i suoi Hammerfall gli ha reso omaggio in occasione del singolo “Renegade” (uscito nel 2000) con la cover di “Run With The Devil”, estratta proprio dall’album “Stronger Than Evil” che qui trattiamo. Le perle del presente platter non si fermano però a questa famosa canzone. Dalla trascinante cavalcata “The King” alla marziale e incalzante “Singing Swords”, dall’atmosferica title-track alla conclusiva e arcigna “Roar Of The North” passando per la sparata ed efficacissima “Saturday Night” non si assiste al minimo calo di tensione. Siamo senza dubbio di fronte a un disco denso di grandi brani, da ascoltare e apprezzare tutti d’un fiato, che andrebbe riscoperto senza indugio. (Matteo Roversi)


MANOWAR – Hail To England

MANOWAR Hail To England

(Music for Nations, 1984)

Se i Manowar stessi rappresentano l’essenza dell’epic metal, il loro terzo disco “Hail To England” è uno degli album più rilevanti dell’intero genere e costituisce un inarrivabile capolavoro. Le sette tracce che lo compongono sono infatti intrise, senza eccezione, di una magniloquenza, un pathos e una forza evocativa che trovano pochi eguali. L’opener “Blood Of My Enemies” è subito un tripudio di epicità, uno dei pezzi più potenti e battaglieri che siano mai stati scritti: un refrain indimenticabile e una struttura musicale perfetta trovano sublime espressione nelle interpretazioni di Eric Adams e Ross the Boss, regalandoci un brano che non stanca mai anche se ascoltato innumerevoli volte di fila. Che si tratti poi dell’oscura atmosfera di “Each Dawn I Die”, dell’inarrestabile crescendo di “Kill With Power” o della poderosa title track il tasso di solenne ispirazione che pervade tutto il platter non cala mai di una virgola. Joey De Maio, autore di tutte le canzoni, si mette in mostra anche nella particolare instrumental “Black Arrows”; in chiusura troviamo infine la lunga e solenne “Bridge Of Death”, nove minuti di emozione pura. Se fossimo costretti a scegliere un solo album simbolo dell’epic metal degli anni ’80, “Hail To England” sarebbe un candidato impeccabile (Matteo Roversi)


WARLORD – And The Cannons Of Destruction Has Begun…

WARLORD – And The Cannons Of Destruction Has Begun…

(Metal Blade Records, 1984)

I Warlord rappresentano l’anima più melodica e visionaria dell’epic metal; la band fondata dal chitarrista William J. Tsamis e dal batterista Mark Zonder (che poi si renderà protagonista anche con i progressive Fates Warning) entra di diritto nel gotha del genere nonostante la scarsità del materiale prodotto negli anni ‘80, ossia il mitico EP “Deliver Us” del 1983 e “And The Cannons Of Destruction Has Begun…” uscito l’anno successivo. L’importanza del loro operato è fin troppo evidente; basti citare i bravissimi Martiria che ne sono stati completamente ispirati o l’atto d’amore degli Hammerfall (la cover di Child Of The Damned”) nei confronti della band che porterà poi il singer Cans ad entrare nella line-up ricostituita dei nostri. L’album è costituito da sette diamanti che vi avvolgeranno ed emozioneranno per sempre. Verrete colpiti dalla melodia drammatica di Lost And Lonely Days”, dal possente incedere di “Black Mass”, dalla disperata malinconia di “Soliloquy” e dalla carica strabordante e irrefrenabile della cavalcata composta dall’intro “MCMLXXXIV” e da “Child Of The Damned”. La cavalleresca cavalcata conclusiva “Deliver Us From Evil” riassume al meglio l’incredibile carica ed il valore di questo gruppo straordinario. (Leonardo Cammi)


Medieval Steel EP

MEDIEVAL STEEL Medieval Steel

(Stright Up Records, 1984)

Può un EP di appena quattro canzoni e poco più di 15 minuti di durata assurgere a disco di culto? Se l’uscita in questione è l’omonimo platter di debutto dei Medieval Steel, la risposta è sì! La sfortunata e davvero incredibile storia della band di Memphis fa poi il resto nel catapultare il quintetto americano nella leggenda, dal momento che dopo il presente EP datato 1984 il primo full length dei nostri, intitolato “Dark Castle”, arriverà solo nel 2014 alla bellezza di 30 anni di distanza (il digiuno era stato rotto negli anni 2000 giusto da due raccolte che comprendevano alcuni inediti). Ma torniamo a noi, perché i pezzi di questo mini album mostrano grande personalità: dall’epica title-track al puro acciaio di “Warlords”, dalla cavalcata “Battle Beyond The Stars” all’improvvisamente pacata “Echoes”, l’ispirazione e il gusto per composizioni di forte presa sono sempre elevati. L’ottima prova del gruppo, su tutti quella del cantante Bobby Franklin, fa il resto. Tradotto in estrema sintesi: poca quantità ma tanta qualità. (Matteo Roversi)


Omen Battle Cry

OMENBattle Cry

(Metal Blade, 1984)

Cosa c’è di più eroico di un grido di battaglia scagliato ad alta voce contro i nemici da un cavaliere con un’ascia in mano? Gli Omen del debutto sono la perfetta incarnazione di un tale immaginario. Figli bastardi di quella NWOBHM che molto ha influenzato il metal americano degli anni ottanta gli Omen sono probabilmente i primi della loro generazione a spingere con tale insistenza sul lato power ed epico, creando una miscela di musica e testi che risulta da subito estremamente innovativa e calibrata perfettamente in ogni elemento. “Battle Cry” contiene dieci gemme senza macchia che funzionano da termine di paragone per chiunque ancora oggi affronti la materia. La progressione di brani come “Death Rider” o “The Axeman”emoziona ad ogni ascolto, mentre i cori e il riffing di canzoni come “Last Rites”“Be My Wench” anticipano l’avvento del power-epic che poi diventerà mainstream negli anni novanta. Senza dimenticare l’atmosfera fortemente epica di canzoni come “Into The Arena” o “Dragon’s Breath”, uno standard che ha contribuito attivamente a determinare i confini del genere trattato in questo speciale. Un album di quelli che nessun amante del metal può trascurare. (Riccardo Manazza)


witchkiller-Day of the saxons

WITCHKILLER – Day Of The Saxons

(Metal Blade Records, 1984)

I promettenti canadesi Witchkiller riescono ad agguantare un contratto con la Metal Blade dopo tre demo ma l’EP “Day Of The Saxons” rimane la loro unica release ufficiale. I cinque brani del lavoro sono tutti ottimi e propongono un epic metal totalmente devoto al metal classico e ad un sound che privilegia l’incedere schiacciasassi di song come l’orgogliosa title-track che pone sugli scudi sia la voce del singer Douglas Lang Adams che il riffing di Kurt Phillips. Abbiamo poi la potente “Riders Of Doom” che ricorda non poco il Dio solista ed ancora la pesante “Cry Wolf”, la catchy “Beg For Mercy” (ottimo refrain) e l’assalto Omen-style di “Penance For Past Sins”. I Witchkiller hanno composto pochi pezzi ma hanno lasciato una traccia indelebile. (Leonardo Cammi)


Griffin - Flight of the griffin

GRIFFIN – Flight Of The Griffin

(Shrapnel Records, 1984)

Il 1984 si rivela un anno particolarmente ricco per l’epic metal ed infatti esce anche “Flight Of The Griffin”, il debutto degli statunitensi Griffin che successivamente resero il loro sound sempre più veloce e speed. Il primo disco è però un concentrato di epic power davvero eccelso, nonostante la registrazione non eccellente. Colpiscono la title-track (una cavalcata possente impreziosita dalle twin guitar di Rick Cooper e dello scomparso Yaz), l’arrembante assalto di “Heavy Metal Attack” oppure anche la power-speed “Hawk the Slayer” (introdotta dal basso pulsante di Thomas “Hawk” Sprayberry) che propone un groove davvero devastante. Citiamo ancora l’ottimo taglio diretto e convincente di “Travelling in Time” e l’incalzante “Judgement Day” in cui anche il non eccelso singer William McKay dona una performance degna di nota. (Leonardo Cammi)


manilla road - open the gates

MANILLA ROADOpen The Gates

(Black Dragon Records, 1985)

In una retrospettiva dedicata all’epic metal non possono certo mancare i Manilla Road. La band di Shelton ha rappresentato forse il punto di riferimento più luccicante di quello che è stato il movimento underground del genere negli anni ottanta. Non senza difficoltà e con qualche limite tecnico sempre da superare i nostri sono però arrivati a produrre album che sono diventati dei classici immortali, contraddistinti da una originalità assoluta e capaci di evocare uno scenario epico inimitabile. Tra i tanti abbiamo scelto “Open The Gates” perché per noi rappresenta l’apice di crescita di un gruppo che qui affina al meglio le doti messe in luce nel corso degli anni, mettendole al servizio di canzoni stupende come “Astronomica”, “Open The Gates”, “Witches Brew” o la lunga “The Ninth Wave”. Tutta la tracklist è però superba, impreziosita da una profondità compositiva notevole, che non fa certo affidamento sull’esibizione tecnica, ma che alterna momenti più ritmati a rallentamenti dal tono evocativo. Un mix reso ancora più efficace dall’utilizzo frequente di melodie malinconiche e maestose che ben si adattano ad un genere che sa di antico come quello proposto dalla band. Imprescindibile. (Riccardo Manazza)


Layout 1

VIRGIN STEELE – Noble Savage

(Cobra Records, 1985)

Prima di deliziarci coi loro favolosi ed elaboratissimi concept degli anni ’90, negli anni ’80 i Virgin Steele ci hanno lasciato in eredità anche splendidi dischi votati a un heavy/epic metal più diretto e di immediata assimilazione. Su tutti spicca “Noble Savage”, capolavoro che raccoglie pezzi sempre raffinati, come nella migliore tradizione della band newyorchese, ma qui anche molto appassionanti e di impatto fin dal primo ascolto. Il magistrale talento del gruppo americano per i brani potenti e trascinanti è evidente fin dalle iniziali “We Rule The Night” e “I’m On Fire”, a metà disco dalla rocciosa title track. L’evocativa “Thy Kingdom Come” è magia pura, mentre l’aggressiva e velocissima “Fight Tooth And Nail” fa ruggire come non mai il leone David DeFeis. Il bravissimo frontman è poi di nuovo sugli scudi coi suoi acuti mozzafiato nella splendida ballad “Don’t Close Your Eyes”, a pare di chi scrive uno degli episodi più emozionanti dell’intera storia del rock duro. Già col loro terzo album i Virgin Steele diedero insomma un saggio dell’enorme band che sono e che in futuro dimostreranno di essere in più di un’occasione. (Matteo Roversi)


cirith ungol - one foot in hell

CIRITH UNGOL – One Foot In Hell

(Restless Records,1986)

Dopo aver impresso a fuoco il proprio marchio nella scena heavy ottantiana con due album del calibro di “Frost And Fire” e King Of The Dead, è probabilmente col terzo disco “One Foot In Hell” che i seminali Cirith Ungol raggiungono l’apice della propria produzione. L’epic metal dei nostri, unico rispetto alla concorrenza nel suo essere così crudo, asciutto e cupo, e l’inconfondibile voce di Tim Baker, al solito aspra e acuta, ci regalano un gruppo di tracce più forti e vivide che mai. Grazie a queste caratteristiche le canzoni appaiono infatti sempre tetre e pervase da un sottile senso di sofferenza, e proprio per questo non risultano affatto meno affascinanti di quelle appartenenti al filone più barbarico e di semplice assimilazione del sottogenere. La sibilata “Blood & Iron” è un’apertura di grande effetto, “Chaos Descends” un capolavoro nel capolavoro grazie alla tesa e straziante interpretazione di Baker; l’epicità si attesta su altissimi livelli con le ottime “Nadsokor” e “One Foot In Hell”, c’è pure spazio per un pezzo rapido e diretto come “100 MPH”. Un album che è un masterpiece anche grazie alla propria peculiarità. (Matteo Roversi)


Lords Of The Crimson Alliance

LORDS OF THE CRIMSON ALLIANCE – Lords Of The Crimson Alliance

(Grudge Records, 1986)

Immagine totalmente fantasy per i statunitensi Lords Of The Crimson Alliance che realizzano soltanto l’omonimo debutto nel 1986. Il sound dei nostri è un heavy metal massiccio e potente che è fortemente caratterizzato dalla voce estremamente acuta del singer (anche chitarrista e tastierista) Far Cry che marchia a fuoco ogni brano rendendolo immediatamente riconoscibile a partire dall’urlo dell’opener “Firedancer”. I brani sono tutti degni di nota; ci limitiamo a segnalare il pathos della cadenzata “Dragonslayer”, la travolgente cavalcata “Sword Of Zeus”, l’incedere epico della lenta “The Sorcerer” (in cui le tastiere giocano un ruolo decisivo) e l’irruenza della conclusiva “Clone Of The Wolf”. Album di culto da riscoprire anche se il cantante potrebbe non risultare gradito a tutti. (Leonardo Cammi)


TARAMIS - Queen Of Thieves

TARAMIS – Queen Of Thieves

(Metal For Melbourne, 1987)

Rientra in questo speciale anche l’esordio degli australiani Taramis che purtroppo subito dopo abbandonarono questo genere per dedicarsi ad un thrash progressive che li portò allo scioglimento. Detto questo “Queen Of Thieves” è un capolavoro di epic power metal dalle tinte fosche e cupe, figlio dei Cirith Ungol più tosti e cattivi. La voce stentorea, acuta e teatrale di Shane Southby nell’opener “Lord Of The Blackfields” ed il lavoro incredibile svolto dalla linea ritmica formata da Danny Komorr al basso e da Dave Browne (R.I.P. 2009) alla batteria ci fanno già intendere quale sia la caratura di questa band che purtroppo non credette fino in fondo nelle sue potenzialità. L’epic power dei nostri esplode ancora con tutta la sua potenza sia nelle più sostenuta “Doesn’t Seem” (qui protagonista assoluta anche la chitarra di Craig Robertson) che nei cadenzati epici come la gloriosa “Path To Aquilonia” (testo ispirato ovviamente da Conan il barbaro di Howard), proponendo sempre soluzioni melodiche originali e sorprendenti. La genialità dei nostri emerge ancora nel mix di melodia e potenza della title-track e in “Without A Warning” che alterna dolcezza a sfuriate metalliche. (Leonardo Cammi)


BROCAS HELM - Black Death

BROCAS HELM – Black Death

(Gargoyle Records, 1988)

Molti avrebbero inserito in questo special il debutto “Into Battle” del 1984 che è più classico ma noi preferiamo indicarvi “Black Death”, ossia un concentrato di follia e stravaganza epica di mezzora scarsa di musica che all’inizio vi spiazzerà ma poi pian piano vi conquisterà senza eccezioni. Questo album rappresenta in pieno l’anima eclettica e scevra da qualsiasi riferimento del gruppo statunitense. L’iniziale title-track sembra una gara di velocità che vede impegnati da un lato il batterista Jack Hays e dall’altro il chitarrista (anche cantante) Bobbie R. Wrigh che per tutto il corso del brano inserisce pregnanti brevi assoli tutti degni di nota. La successiva “Prepare For Battle” mantiene ritmi assurdi e inclassificabili e pone sugli scudi l’altro protagonista della band ossia il bassista Jim Schumacher, eccezionale interprete che suona il proprio strumento con uno stile unico. La matrice folle ed affascinante del gruppo si ripropone anche nella cavalcata ipnotica “Hell’s Whip” in cui l’incedere caotico lascia quasi trasparire un retroterra punk. Quando meno ce l’aspettiamo ecco che poi ci si imbatte nella cavalcata “Prophet’s Scream”, caratterizzata da un break melodico d’atmosfera che mi ti aspetteresti e poi dal lento (dal gusto quasi folk) “The Chemist”. La conclusiva epica e cadenzata “Fall Of The Curtain” è monumentale. Questo lavoro è un concentrato di pazzia e genio che vi conquisterà se vi presterete la giusta attenzione. (Leonardo Cammi)


CANDLEMASS – Ancient Dreams

CANDLEMASS – Ancient Dreams

(Active Records, 1988)

Di sicuro “Ancient Dreams” non è mediamente l’album più amato della band, ma se si parla di epicità rimane per noi, almeno tra i dischi classici, quello che più ha posto l’accento su questo aspetto dell’espressività artistica dei Candlemass. Esempi come “Mirror Mirror” o “Darkness In Paradise” sono certamente vicini al doom di derivazione sabbathiana che ha portato agli onori della cronaca la band di Leif Edling, ma l’accresciuta componente metal ed epica pone l’insieme sotto ad una luce diversa. La stessa title-track, così come la copertina, rappresentano l’incrocio perfetto tra la matrice doom e l’ambientazione fantastica che si ammanta di atmosfere epiche. Il loro rimane un sound in larga parte introspettivo e non portato all’esaltazione battagliera che invece ha fatto la fortuna di molte altre band più propriamente di genere, ma basta ascoltare un riff come quello iniziale di “The Bells Of Acheron” per capire come il contributo dei Candlemass nel creare quell’insieme di sfumature che hanno portato a codificare l’epic metal come tale sia indiscutibile. (Riccardo Manazza)


ADRAMELCH - Irae Melanox

ADRAMELCH – Irae Melanox

(Metal Master Records, 1988)

Inseriamo in questa carrellata di album indimenticabili anche il debutto dei milanesi Adramelch, una gemma oscura di power metal melodico figlio da un lato della melodia sognante dei Warlord e dall’altro da un veloce progressive metal che ingloba Fates Warning, Queensryche ed altro ancora. Già l’opener “Fearful Visions” mette in luce le doti tecniche dei nostri ed una registrazione forse non perfetta che però dona la giusta importanza sia alla chitarra di Gianluca A. Corona che al basso pulsante (che anima tutti i brani) di Franco Avalli. La voce inconfondibile e dotata di un pathos assoluto di Vittorio Ballerio conquista fin da subito nella drammatica “Zephirus”. La maestria esecutiva dei nostri emerge ovunque ma citiamo ancora giusto la conclusiva “Dreams Of A Jester” in cui una luna parte strumentale ben si attaglia al successivo intervento del fenomenale singer. Capolavoro senza tempo. (Leonardo Cammi)

leonardo.cammi

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Bibliotecario appassionato a tutto il metal (e molto altro) con particolare attenzione per l’epic, il classic, il power, il folk, l’hard rock, l’AOR il black sinfonico e tutto il christian metal. Formato come storico medievalista adora la saggistica storica, i classici e la letteratura fantasy. In Metallus dal 2001.

riccardo.manazza

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Incapace di vivere lontano dalla musica per più di qualche ora è il “vecchio” della compagnia. In redazione fin dal 2000 ha passato più o meno tutta la sua vita ad ascoltare metal, cominciando negli anni ottanta e scoprendo solo di recente di essere tanto fuori moda da essere definito old school. Il commento più comune alle sue idee musicali è “sei il solito metallaro del cxxxo”, ma d'altronde quando si nasce in piena notte durante una tempesta di fulmini, il destino appare segnato sin dai primi minuti di vita. Tra i quesiti esistenziali che lo affliggono i più comuni sono il chiedersi il perché le band che non sanno scrivere canzoni si ostinino ad autodefinirsi prog o avant-qualcosa, e il come sia possibile che non sia ancora stato creato un culto ufficiale dei Mercyful Fate.

matteo.roversi

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Nerd e metallaro, mi piace la buona musica a 360 gradi e sono un giramondo per concerti (ma non solo per questi). Oltre al metal, le mie passioni sono il cinema e la letteratura fantasy e horror, i fumetti e i giochi di ruolo. Lavorerei anche nel marketing… ma questa è un’altra storia!

9 Comments Unisciti alla conversazione →


  1. Luca

    Mi inchino al vostro sapere di queste band ne conosco due o tre!

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  2. RAGGO

    come non ricordare ANGELWITCH, MALTESE FALCON e il primo dei FATES WARNING che successivamente si evolveranno

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  3. pio

    ma Ample Destruction dei Jag Panzer?FONDAMENTALE CAPOLAVORO

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  4. Jonathan anisfeld

    Secondo me i gruppi quelli conosciuti di meno sono stati quelli che hanno fatto grande la musica rock metal degli anni 80 insieme a quelli già conosciuti

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  5. Ellemme

    Bella selezione, ma con una grandissima lacuna: la mancanza dello splendido On A Storyteller’s Night dei Magnum. Album superbo e superiore alla maggioranza di quelli elencati (per questo non ne comprendo la mancanza). Fatevi un favore e procuratevelo in qualsiasi modo: vi ritroverete a cantare i bellissimi ritornelli sotto la doccia (specie quello della magnifica Two Hearts non ve lo toglierete dalla testa per un pezzo!!!)

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  6. Raagnar

    Doomsword, li avete dimenticati! 🙂

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    • Riccardo Manazza

      Direi di no. I Doomsword sono tra i grandi dell’epic metal, ma non hanno fatto dischi negli anni ottanta, che è il periodo storico qui preso in considerazione.

      Reply (in reply to Raagnar)

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