La Rivoluzione dei garofani, l’alba della democrazia in Portogallo

La Rivoluzione dei garofani, l’alba della democrazia in Portogallo

Il 25 aprile 1974, dopo quasi cinquant’anni di dittatura militare, un gruppo di orientamento progressista dell’esercito portoghese organizzò un’insurrezione armata e, con il sostegno della popolazione, rovesciò il regime cambiando il futuro del Paese

«Questa è l’alba che stavo aspettando / Il primo giorno intero e pulito / In cui emergiamo dalla notte e dal silenzio. / E liberi abitiamo la sostanza del tempo». Cinquant'anni dopo la Rivoluzione dei garofani la poesia 25 de Abril, scritta a ridosso degli eventi da Sophia de Mello Breyner Andresen, dà ancora la misura dell’ansia di liberazione che, nel 1974, attraversò un Paese oppresso pronto al riscatto. Un Paese finalmente libero dal cosiddetto Estado Novo (Nuovo stato), il regime fondato decenni prima dal dittatore António de Oliveira Salazar. Quell’immenso moto umano, innescato dal colpo di stato dei militari e irrobustito dalla partecipazione dei civili, costituì una rottura netta con il passato, la risposta più efficace a decenni di soprusi. E dunque un potente atto di coraggio. 

La folla festeggia su un carro armato a Lisbona, 25 aprile

La folla festeggia su un carro armato a Lisbona, 25 aprile

Foto: Centro de Documentação 25 de Abril

La catene della dittatura

In Portogallo la democrazia era stata soffocata nel 1926 – mentre la marea fascista montava in tutta Europa – con un colpo di stato nazionalista. Nel 1933, poi, Salazar, economista, fervente cattolico e già ministro, assunse i pieni poteri creando un regime reazionario e corporativista – l’Estado Novo, appunto –ispirato al modello italiano di Benito Mussolini. Formalmente il Portogallo rimase uno stato repubblicano; sostanzialmente, invece, la torsione autoritaria cambiò tutto, a partire dalla presenza indiscussa del partito unico, l’Unione nazionale (União Nacional), e della polizia segreta, la PIDE (Polícia Internacional e de Defesa do Estado), che assunse il compito di stroncare l’opposizione. Il motto “Dio, patria e famiglia” fu la sintesi più alta di un concetto politico con il quale si cercò di compattare ideologicamente la società civile portoghese, imponendo valori tradizionali non negoziabili e bloccando le istanze di modernizzazione. Salazar, con il suo stile austero, non assunse mai la carica di presidente della Repubblica, pur essendo il perno di un sistema dai tratti inediti, regressivo e repressivo. 

Il Portogallo nella Guerra Fredda

Il Portogallo rimase neutrale durante la Seconda guerra mondiale, ma con la fine del nazismo in Germania e del fascismo in Italia l’esperienza di Salazar sembrò deragliare fuori dai binari della storia; tuttavia il dittatore, dopo il 1945, riuscì a riallineare il Paese su posizioni rigidamente atlantiste, tanto che il Portogallo fu tra i dodici membri fondatori della NATO nel 1949. Nonostante l’organizzazione, sulla carta, dovesse contribuire al rafforzamento delle libere istituzioni e non prevedesse l’ingresso di Paesi non democratici, si fece allora una controversa eccezione. Questo generò attriti e tensioni, ma, anche su spinta degli Stati Uniti, nessuno pose un veto esplicito sul Portogallo di Salazar. In piena Guerra Fredda, così, il Paese si trasformò in un avamposto anticomunista al riparo da scossoni interni e internazionali, con  un’industralizzazione sregolata e vistose disuguaglianze.

Per di più, il Portogallo cercò di schiacciare il processo di decolonizzazione per difendere a oltranza i propri domini extracontinentali. Alle richieste di autodeterminazione provenienti da Angola, Guinea e Mozambico il regime rispose infatti con il pugno di ferro. La comparsa di movimenti armati per la liberazione, a partire dal 1961, sfociò in terribili guerre coloniali e il dispiegamento di truppe fu notevole, con centinaia di migliaia di soldati schierati in Africa. Ne derivarono però molti problemi: non solo per le crescenti difficoltà sul campo, per via del carattere asimmetrico dei combattimenti, ma anche perché, dentro il Portogallo, si rafforzò il dissenso collettivo. Un terzo del bilancio nazionale finì per essere assorbito dalle spese militari e questo rese la politica colonialista, oltre che moralmente condannabile, anche estremamente critica per l’economia portoghese. In seguito a un ictus, Salazar si ritirò a vita privata nel 1968, per poi morire due anni dopo. Al suo posto il presidente della Repubblica, Américo Tomás, nominò Primo ministro l’accademico Marcello Caetano. Eppure non ci fu alcuna reale discontinuità. Malcontenti e malumori divennero allora trasversali e generalizzati. Pronti ad esplodere. 

Il Corpo volontario portoghese dell'Africa Occidentale, creato per proteggere i raccoglitori di caffè coloniali, combatte i guerriglieri

Il Corpo volontario portoghese dell'Africa Occidentale, creato per proteggere i raccoglitori di caffè coloniali, combatte i guerriglieri

Foto: Topfoto / Cordon Press

La forza della liberazione

Dall'aggregazione di gruppi di militari d'idee progressiste nacque allora il Movimento delle forze armate (“Movimento das Forças Armadas”, MFA): un gruppo interno all’esercito nazionale e formato da sensibilità diverse, ma concentrato su un programma minimo di tre punti: democrazia, decolonizzazione, sviluppo (descolonizar, democratizar, desenvolver). L’aperta ostilità al regime portò presto al proposito di un radicale rivolgimento di potere. L’operazione risolutiva scattò nelle prime ore del 25 aprile 1974, dopo la diffusione di un messaggio segreto: la messa in onda su Rádio Renascença, una radio cattolica, di una canzone proibita dalla censura, Grândola, Vila Morena, scritta dal cantautore José Afonso e dedicata al movimento operaio e proletario portoghese. Fu il segnale concordato per l’inizio del colpo di stato. Il tutto Paese vennero arrestati i militari fedeli al regime, mentre reparti regolari di soldati, guidati dai giovani capitani Salgueiro Maia e Otelo Saraiva de Carvalho, mossero verso Lisbona, la capitale, per occuparne i punti nevralgici e gli snodi infrastrutturali. Il sostegno della popolazione, scesa in modo tumultuoso e spontaneo nelle piazze e nelle strade, assicurò il successo del piano. Gli ordini emanati dal governo per bloccare l’attacco in corso vennero largamente disattesi e gli scontri a fuoco si ridussero al minimo. Sia Caetano, il primo ministro, sia Tomás, il presidente della Repubblica, presero atto della sconfitta e furono poi costretti all’esilio. Il testo di rivendicazione diffuso quel giorno dai militari spiegava: «Il Movimento delle forze armate, che ha appena portato a termine la missione civica più importante degli ultimi anni, proclama alla nazione la sua intenzione di completare un programma di salvaguardia per il Paese e di restituire al popolo portoghese le libertà civili di cui è stato privato». 

L’esito di quel 25 aprile sì legò subito a un simbolo particolare, ovvero i fiori rossi donati da cittadini e cittadine ai soldati giunti nella capitale, e da questi inseriti nelle canne dei fucili: la testimonianza più esemplare di un’azione militare tanto dirompente e trasformativa quanto incruenta e pacifica, da quel giorno in avanti nota come la Rivoluzione dei garofani (Revolução dos cravos). 

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La rivoluzione vista dall’Italia

In quel periodo l’Italia viveva una fase d'impetuoso cambiamento, dopo il biennio della contestazione del 1968-69. Lo stragismo aveva destabilizzato il Paese ma anche innescato una forte reazione antifascista. Non fu facile ricostruire un quadro coerente sulle vicende portoghesi, nel lento susseguirsi di notizie e annunci, ma la caduta della dittatura in Portogallo venne subito considerata un ulteriore passo verso un’Europa democratica. La concomitanza con la festa nazionale della Liberazione, celebrata il 25 aprile, non fece che aumentare l'entusiasmo, anche perché esistevano robusti movimenti anticolonialisti in Italia e alcuni dissidenti portoghesi, negli anni precedenti, avevano trovato rifugio proprio nella penisola

 "Gappiste a Milano". Foto propagandistica scattata in via Brera a Milano. La prima a sinistra è la sceneggiatrice cinematografica Anna Maria "Lù" Leone

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L’Avanti, il quotidiano socialista, pubblicò un editoriale dal titolo perentorio: «Fine del salazarismo». Vi si leggeva: «Anche i portoghesi hanno avuto il loro 25 aprile. La rivolta delle forze armate, che da tempo covava sotto la cenere, è divampata ieri e nel giro di poche ore il regime salazariano – che sopravviveva da quasi mezzo secolo – ha dovuto cedere». Il Popolo, l’organo ufficiale della Democrazia cristiana, fu più cauto ma non meno convinto dell’eccezionalità dell’evento. Scrisse l’inviato del giornale da Lisbona: «La censura della stampa è stata abolita e per la prima volta i giornali sono usciti senza prima dover sottoporre la propria bozza alle autorità. Dalla fortezza di Caxias, alla periferia di Lisbona, e dal carcere militare di Peniche, sono stati scarcerati nelle ultime ore decine di detenuti politici. Molti di questi languivano da anni in cella». L’Astrolabio, la rivista di Ferruccio Parri, già capo partigiano ed ex- presidente del Consiglio, osservò invece che il Portogallo, tra mille incognite, stava passando «dalla notte della dittatura salazarista alla fase di organizzazione della vita e della lotta secondo il gioco democratico». 

Manifestazione nelle strade di Lisbona nel maggio 1974, in seguito alla Rivoluzione dei garofani

Manifestazione nelle strade di Lisbona nel maggio 1974, in seguito alla Rivoluzione dei garofani

Foto: Cordon Press

Un nuovo giorno per il Portogallo

Dopo il crollo del regime tutto si mosse velocemente. Rientrarono dall’estero i  maggiori esponenti dell’opposizione al salazarismo, come Mario Soares (del Partito socialista) ed Álvaro Cunhal (del Partito comunista). Si costruì poi un sistema politico pluralista, seppur in modo caotico, e le forze armate si fecero garanti della transizione. Le guerre coloniali cessarono e fu restituita una soggettiva storica ai popoli africani in rivolta. L’Angola, la Guinea portoghese (poi Guinea-Bissau) e il Mozambico, come l’isola di Capo Verde e l’arcipelago São Tomé e Príncipe, nel 1975 conquistarono ciò per cui avevano a lungo lottato: l’indipendenza. Lo spettro dell’autoritarismo, inoltre, venne scacciato dall’area del Mediterraneo, anche grazie all’abbattimento del regime dei colonnelli in Grecia e al disfacimento della dittatura franchista in Spagna, che avvennero nello stesso periodo.

La storia di come il Portogallo emerse dalla «dalla notte e dal silenzio», per tornare alla poesia 25 de Abril, fu perciò la miglior risposta contro ogni fatalistica rassegnazione, un prezioso contributo alla traiettoria emancipatrice del Novecento. 

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