La ragazza del mondo Recensione

La ragazza del mondo: recensione del film con Michele Riondino e Sara Serraiocco

09 novembre 2016
3.5 di 5
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Un racconto di formazione, una storia d'amore fra una giovane Testimone di Geova e un ragazzo del mondo.

La ragazza del mondo: recensione del film con Michele Riondino e Sara Serraiocco

Una ragazza minuta, con la treccia e il volto pallido e senza un filo di trucco cammina per la strada sicura del proprio credo religioso e intenzionata a portare la luce di Dio laddove alberga quietamente il maligno. E’ questa l'immagine - calma e potente - che ci portiamo dietro dopo aver visto La ragazza del mondo, un’opera prima che bussa garbatamente alla porta del nostro immaginario stanco per renderci partecipi, senza polemiche, dell’abbraccio soffocante dei Testimoni di Geova, setta religiosa o semplicemente congregazione che per la diciottenne Giulia è la confort zone da cui uscire per mescolarsi al chiasso vibrante del presente e tingersi dei colori pastosi della vita.

Eppure è dalla voglia di raccontare la costruzione di un’identità o di scrivere con le immagini un romanzo di formazione (e non da un intento documentaristico) che è partito Marco Danieli, che però ha incontrato quasi subito proteste e accuse, quasi fosse un eretico vecchia maniera e nonostante un’educazione cattolica e la convinzione che, in un mondo senza ideologie, nessun "sostituto" della parrocchia possa raccogliere le pecorelle smarrite e dare loro un senso di appartenenza.

Quanto sia scomodo La ragazza del mondo per chi fa del proselitismo la battaglia più importante di una guerra senza sosta non abbiamo gli strumenti per dirlo, ma nei suoi 104 minuti, a noi che abbiamo uno spirito laico sembra di averla vista una piccola rivoluzione copernicana, perché, senza mordere il freno, il film con Sara Serraiocco e Michele Riondino è in tutto e per tutto un manifesto a favore della libertà, anche quella di abbandonare (da un punto di vista stilistico) il rigore ad ogni costo, e - contenutisticamente parlando - di sfuggire a una serie di cliché narrativi.

Scegliendo dapprima la via dell’essenzialità e di un approccio quasi cronachistico all'argomento da trattare, Danieli riprende con la camera a mano la quotidianità di una ragazza in apparenza mite e osserva, ora teneramente, ora con stupore (e prendendosi il giusto tempo), una comunità che sa essere dolce con chi non la delude ma crudele con coloro che si lasciano andare al peccato. Ma poi il mare dei sentimenti si agita e irrompono la passione, l'istinto, il trasporto per un ragazzo "perduto" e di borgata che contiene nell'anima un indistruttibile grumo di bontà e di purezza. E allora, mentre i due protagonisti si rivelano magnifici, la Venere tascabile diventa un'eroina e il suo uomo un cavaliere gentile, mentre intorno squarci di poesia e lirismo e di musica extradiegetica fanno salire la temperatura emotiva del racconto e lo cambiano. 

E alla fine, aldilà di una storia d'amore come ce ne sono tante, resta la donna, moderna ma compassionevole, autonoma ma protettiva. E resta Giulia, che non dimentica Dio, anche se ai numeri dei versetti biblici decide di sommare i risultati di quegli algoritmi che capisce e venera: forse più di Libero, forse meno della gioiosa catastrofe a cui va incontro.



  • Giornalista specializzata in interviste
  • Appassionata di cinema italiano e commedie sentimentali
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