La scoperta dell'emofilia tra storia e scienza - Missione Scienza

La scoperta dell’emofilia tra storia e scienza

Cos’è l’emofilia?

Oggi andremo alla scoperta dell’emofilia tra storia e scienza.

Normalmente, quando ci si ferisce e c’è fuoriuscita di sangue, la componente proteica del sangue, il plasma, interviene per bloccare la perdita di siero. Così viene a formarsi una barriera (o coagulo) che impedisce ulteriore perdita di sangue.

La carenza di due proteine del plasma, il fattore VIII e il fattore IX, causa una malattia: l’emofilia. Questa patologia, di origine genetica, si manifesta con emorragie interne ed esterne e difficoltà nella coagulazione. Si effettua la diagnosi tramite un test per la coagulazione.

Tanto per non farci mancare nulla, ecco un po’ di storia dell’emofilia. La figlia Alice della regina Vittoria d’Inghilterra era portatrice sana della malattia, come sua madre. Sua figlia Aleksandra si sposò con lo Zar Nicola II di Russia: il loro figlio Aleksej era malato di emofilia. Questa malattia fu la principale causa dell’influenza che il monaco Grigorij Rasputin esercitava sulla famiglia reale.

L’emofilia è una patologia legata al cromosoma X. Il difetto genetico è da ricercare infatti su due geni localizzati su tale cromosoma. Ciò significa che l’uomo può essere soltanto sano o malato, mentre la donna può essere sana, malata o portatrice sana. La donna può essere malata solo se figlia di padre malato e madre malata o portatrice sana; deve ereditare entrambi i cromosomi X con la mutazione.

Un test probabilistico effettuato tramite prelievo del sangue può stabilire se la futura madre sia portatrice sana.

Esistono tre tipi di emofilie: le più diffuse sono l’emofilia A o HA (dovuta alla carenza del cofattore VIII) e l’emofilia B o HB (dovuta alla carenza del cofattore IX). Dal punto di vista clinico non vi è differenza tra queste forme della malattia, ma per il trattamento dell’emofilia è fondamentale conoscere di quale si tratti.

La regina Vittoria, primo soggetto della Royal Family inglese a essere stata portatrice sana di emofilia. Molti dei suoi discendenti in Spagna, Germania e Russia erano emofilici. Suo figlio Leopoldo morì a soli 31 anni proprio di questa malattia. © Fonte

Emofilia A

La scoperta dell’emofilia ci dice che tra storia e scienza c’è un’incidenza di questa forma della patologia pari a un caso su cinquemila nei soggetti di sesso maschile.

È la forma più comune della malattia. Essa è causata da una mutazione del gene che codifica per il fattore FVIII. Negli ultimi anni è stata però individuata, nel 20-25% dei casi totali di HA, una seconda mutazione su di un altro gene.

Si determina la gravità della malattia in base all’attività biologica del FVIII. Se essa è inferiore all’ 1% la malattia è grave. Un’attività tra l’1% e il 5% determina un’emofilia moderata. Oltre il 5% si parla di emofilia lieve.

Emofilia B: tra storia e scienza

Dato che siamo alla scoperta dell’emofilia tra storia e scienza, dobbiamo dire che questa forma della malattia non si chiama anche di Christmas perché i medici sono dei fanatici del Natale, ma per via della prima famiglia in cui è stata avvistata.

Questa forma di emofilia rappresenta circa il 20% dei casi totali, con un’incidenza di un caso su trentamila nei soggetti di sesso maschile. I pazienti affetti da questa forma della malattia migliorano durante la pubertà. Sorprendente eh? La concentrazione maggiore di androgeni in età adolescenziale, infatti, determina un aumento della produzione del fattore IX.

Si determina la gravità della patologia analogamente all’HA.

Sintomi e diagnosi

In generale le piccole lesioni non causano problemi gravi al paziente emofilico. Le lesioni ai vasi sanguigni a livello di tessuti e muscoli, invece, possono dare emorragie. Esse sono, talvolta, spontanee. I neonati emofilici possono sviluppare anche ecchimosi, nei punti del corpo in cui vengono sollevati o sorretti dai genitori.

Una tumefazione accompagnata da dolore in un punto è un segnale che è in corso un’emorragia. Senza trattamento, il dolore occasionale si trasforma in dolore permanente accompagnato da rigidità e limitazione nei movimenti.

Il numero di emorragie non si può prevedere, ma è correlato alla gravità della malattia. Gli emofilici lievi hanno emorragie poche volte l’anno o in occasione di interventi chirurgici. Negli emofilici gravi insorgono emorragie consistenti e pericolose molto più frequentemente e i pazienti rischiano di perdere uno o più arti e addirittura la vita.

La diagnosi si effettua misurando il tempo di tromboplastina parziale. Questo è un valore matematico che misura l’efficienza della coagulazione in un soggetto e la confronta con il valore normale. Nei soggetti emofilici questo tempo è più lungo del normale.

Dopo la diagnosi si somministra al paziente uno dei fattori mancanti, per verificare se si è in presenza di HA o HB.

Terapia

In generale la terapia consiste nella somministrazione endovenosa del fattore mancante. È fondamentale che non vi siano interazioni tra i farmaci per la terapia dell’emofilia e quelli che diminuiscono la coagulazione del sangue (ad esempio l’aspirina). La frequenza nella somministrazione della terapia dipende sempre dalla gravità della patologia.

In circa il 15-20% dei pazienti il corpo riconosce i fattori di coagulazione della terapia come corpi estranei e inizia quindi a combatterli. Combattendo questi fattori vengono prodotti anticorpi chiamati “inibitori” proprio perché inibiscono l’efficacia della terapia.

Un farmaco utilizzato per trattare l’HA è la desmopressina. Questo ormone stimola la momentanea produzione di fattore VIII ed è in uso per il trattamento di emofilia lieve e moderata.

Desmopressina: l’ormone sintetico utilizzato per aumentare la produzione del fattore VIII. © Fonte

Considerazioni

Molti pazienti, soprattutto quelli con emofilia lieve, non si accorgono nell’immediato di avere un problema di coagulazione. La tardiva diagnosi potrebbe compromettere la salute di questi soggetti, soprattutto in casi di interventi chirurgici o traumi. Le piccole ferite o lesioni non sono molto problematiche, infatti basta un bendaggio per fermare la fuoriuscita di sangue.

Aleksej Nikolaevič Romanov, il reale russo affetto da emofilia B. Per evitare che potesse cadere e ferirsi, i suoi genitori ordinarono che la sua stanza fosse imbottita di piumini. © Fonte

Fonti

Emofilia: che cosa è – FedEmo (Federazione delle Associazioni Emofilici)

Associazione Italiana Centri Emofilia: AICE online

Emofilia: istituzioni, associazioni, ricercatori (pdf) – Articolo sul Notiziario dell’ISS

La diagnosi genetica delle emofilie A e B (pdf) – Bloodtransfusion

Melissa Collacciani

Mi chiamo Melissa e sono una studentessa di chimica approdata su Missione Scienza con il preciso scopo di trasmettere al pubblico tutto ciò che mi affascina della scienza e l'amore per gli scoiattoli. Uh, se mi piacciono gli scoiattoli. Li adoro!

3 pensieri riguardo “La scoperta dell’emofilia tra storia e scienza

  • 22 Luglio 2021 in 14:16
    Permalink

    Scusate… La zarina moglie di Nicola II non si chiamava Alexandra? Alice, citata nell’articolo, era sua madre, nonché figlia della regina Vittoria.

    Rispondi
    • 22 Luglio 2021 in 16:17
      Permalink

      Salve! Ringrazio per l’occhio di falco nel notare la svista ed averla segnalata.
      Provvedo immediatamente a correggere l’errore.

      [M.C.]

      Rispondi
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