Beck is Back

Belli ciao

Roberto Beccantini25 maggio 2024

Amichevole «muscolosa» di fine stagione, Juventus-Monza 2-0, ma pure Juventus-Salernitana 1-1 sembrava una formalità. Rapidamente.

1) L’ultima vittoria della Vecchia risaliva al 7 aprile: 1-0 alla Fiorentina, Gatti in mischia. Quindi, la notizia c’è.

2) Tridentino: dall’inizio, per scelta, e non come a Bologna per emergenza (sullo 0-3). Paolo il caldo lascia con 4 punti in due gare, un traghettatore che il suo l’ha fatto.

3) L’addio di Alex Sandro (con gol, addirittura): terzino d’attacco, nove stagioni, a lungo da 7 + poi il precipizio. Capita. Duttile, però.

4) Chiesa ancora a segno (più un incrocio). Due di seguito. Calma. So già cosa vi sta passando per la testa.

5) Fagiolino. Alla seconda, dopo il ritorno di lunedì. Titolare, una traversa scheggiata, una regia nella norma, una gran palla a Chiesa. Sinceramente: l’ho sempre stimato, ma mi ha sorpreso la convocazione dell’Abate certaldese (la squalifica non c’entra; scontata, come ai tempi di Pablito). «Ah, se il Feticista lo avesse avuto per tutta la stagione»: un messaggio in codice?

6) Belle parate di Perin in avvio e di Pinsoglio, l’eterno «terzo», nella ripresa. Servivano: per tenere lo 0-0, per difendere il 2-0.

7) Una Signora ha diretto la Signora. Con grazia, con nerbo, con… non mi viene la terza, e allora con nerbo grazioso, come avrebbe detto l’indimenticato e indimenticabile Renato Dall’Ara.

8) Palladino al Monza, missione compiuta. E sono due.

9) Il terzo posto di Madama è ostaggio della Dea, domani il Toro e poi il recupero con la Viola, il 2 giugno, entrambi a Bergamo.

10) Vista la finale di Coppa d’Inghilterra. L’«equinozio» Gvardiol-Ortega, sulla rete di Garnacho, ha ribadito quanto il calcio, pure ai massimi livelli, rimanga metà arte e metà riffa. Per fortuna.

Te Deam

Roberto Beccantini22 maggio 2024

Libiamo, libiamo ne’ lieti calici. L’Atalanta bergamasca calcio è campione di Europa League, competizione che non vincevamo dal 1999, con il Parma di Malesani, quando si chiamava ancora Coppa Uefa. E’ storia, non più cronaca. E’ la fine di un viaggio, è il sogno che ti sveglia e non tu che ti svegli dal sogno. Alla faccia del corto muso: 3-0 al Bayer Leverkusen fresco di storico «scudetto», il primo, e imbattuto da 51 partite. La famiglia Percassi, Gian Piero Gasperini: società e idee. Tante idee. Per esempio: Lookman. Voto 9. Non doveva giocare. L’ha risolta lui. Tripletta: al 12’, su cross di Zappacosta e dormitona di Palacios (non una gran mossa); al 26’, dopo essersi bevuto Xhaka; al 75’, in contropiede, su assist di Scamacca.

Tre punte: De Katelaere, Scamacca, Lookman. Coraggio. Pressing alto e un recupero palla che mandava fuori di testa gli avversari. E, quando serviva, un po’ di sane legnate, come certificano i quattro ammoniti. Così per un tempo. Le lezioni aiutano a crescere, se sei sveglio. All’Olimpico, l’ultima Juventus di Allegri le aveva strappato l’impatto. Stavolta, la Dea se l’è preso e vi ha costruito attorno il trionfo.

Xabi è parso sorpreso. Una palla-gol di Grimaldo, in bocca a Musso, e quel palleggio, che aveva mangiato la Roma, sgualcito da Koopmeiners, Ederson (8+) e Kolasinac. Uomo su uomo: in avanti, però, e senza «libero». Il pericolo era Wirtz, quel modo di deambulare per sottrarsi alle marcature degli stopper. Djimsiti, Hien e Kolasinac non ci sono cascati.

Alla distanza c’è stato un calo, e non poteva essere altrimenti. E’ bastato ricorrere a quell’elmetto e a quelle corazze che, per metà gara, erano stati esibiti nei rari casi d’emergenza. Le aspirine hanno inserito un attaccante in più, Boniface. Ma Ruggeri si moltiplicava su Frimpong e gli altri non mollavano una zolla.
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Grazie per quel gol

Roberto Beccantini21 maggio 2024

Gli dobbiamo tanto. In Nazionale, Karl-Heinz Schnellinger ha segnato solo una volta. «Quella». Era il 17 giugno 1970, stadio Azteca di Città del Messico, semifinale Italia-Germania. Noi avanti con Boninsegna già all’8’; loro a morderci, a spingerci, a prenderci a pallate. Poi, al 90’, ci fu un cross dalla sinistra, il destino entrò in spaccata e pareggiò. Il destino si chiamava Schnellinger. Senza il suo gol, dalla grigia cronaca di un corto muso non avremmo mai stappato i supplementari del mito, la partita del secolo. Tutto d’un fiato: mullerburgnichrivamullerrivera. E sempre tutto d’un fiato: italiagermaniaquattroatre.

Ci ha lasciato ieri, Karl-Heinz. Viveva a Milano e aveva 85 anni. Biondo come la birra, duro come l’acciaio, leale, terzino sinistro e libero, uno di quei tedeschi che hanno fatto del bene al nostro Paese anche quando gli hanno fatto del male.

Colonia, Roma, Mantova, ancora Roma e Milan, su dritta di Gipo Viani, per chiudere a Berlino. Prese parte alla finale mondiale del 1966 a Wembley, Inghilterra-Germania 4-2 dts, passata alla storia per la rete-fantasma di Hurst. Con il Milan di Rocco conquistò 1 scudetto, 3 Coppe Italia (più 1 con la Roma), 2 Coppe delle Coppe, 1 Coppa dei Campioni (4-1 all’Ajax di Cruijff), 1 Intercontinentale, nella sanguinosa tonnara dell’Estudiantes.

Lo chiamavano Panzer, naturalmente, ma anche Volkswagen e, alcuni giornalisti, addirittura Carlo Martello, per come affondava il tackle. Fu moderno per i suoi tempi, calciatore e non calciattore. Si italianizzò e, orso qual era, andò in letargo. Si apriva con gli amici, rubinetto di aneddoti.

A ogni amarcord messicano, sorrideva: «Un colpo di fortuna. Era finita, avevate vinto e volevo solo correre negli spogliatoi». Il caso volle che. Evviva il caso. Ed evviva Karl-Heinz, compagno di un lungo viaggio e di una lunghissima notte.