Intervista monotematica

Ricco e ambientalista? Parla David Mayer de Rothschild

Prendersi cura del pianeta in cui viviamo e non vergognarsi di provenire da una delle famiglie più facoltose del mondo. Anzi. Perché è inutile continuare a parlare di salvare la natura. Semmai dobbiamo salvare noi stessi dalla catastrofe. Attraverso la conoscenza, l'avventura, il racconto in presa diretta, la medicina “verde” e adesso anche la moda

di Emanuele Bompan

Ambientalista britannico, David Mayer de Rothschild è presidente dell'organizzazione benefica Sculpt the Future Foundation, ha studiato Medicina Naturale ed è proprietario di una fattoria biologica di 1.100 acri in Nuova Zelanda. Quest'anno ha aderito alla campagna globale Gucci Off The Grid, la prima collezione disegnata da Alessandro Michele, realizzata con materiali riciclati biologici, provenienti da materie rinnovabili e fonti sostenibili, all'insegna di Gucci Circular Lines, l'iniziativa nata per promuovere la produzione circolare

4' di lettura

«Non sono un ambientalista. Semplicemente una persona che vuole prendersi cura dell'ambiente». Per essere un'icona pop, figlio dell'élite del capitalismo globale e globetrotter di chiara fama, David Mayer de Rothschild (classe 1978) risulta estremamente umile e disponibile. L'erede più giovane della famiglia di banchieri più importante della storia contemporanea – Victoria Lou Schott (1949) la madre, Sir Evelyn de Rothschild (1931) il padre – si concede, dal suo rifugio a Jalisco, in Messico, per una lunga discussione con IL per riflettere sulla più grande sfida della contemporaneità: quella ambientale.

«Noi oggi abbiamo più paura di piantare una tenda da soli in una foresta che del fatto che stiamo perdendo tutte le foreste. Perché l'idea della deforestazione è troppo complessa, non fa presa sulla psiche delle persone. Eppure, continuiamo a parlare di salvare la natura. Come processo cognitivo è sbagliato: noi dobbiamo salvare noi stessi dalla catastrofe. La narrativa delle grandi associazioni ambientaliste per anni ha sbagliato impostazione».

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La costruzione di una giusta chiave per raccontare l'impatto disastroso della nostra economia sull'ambiente, e quindi sulla nostra salute, è la sfida che ha caratterizzato tutta la vita adulta di David come attivista e icona green. Le fotografie patinate non rendono conto della riflessione filosofica dietro i suoi progetti folli. Il suo approccio è dichiaratamente sistemico.

«La mia iniziazione, a vent'anni, è stata l'interesse per la naturopatia, la medicina delle piante, grazie a una ragazza di cui ero innamorato. Studiando ho capito che noi siamo quello che mangiamo, quello che respiriamo: noi e la natura che ci circonda siamo una cosa sola, quando si ammala la natura si ammala l'uomo».

Difficile non vedere la correlazione con il Covid-19, una pandemia causata dallo sfruttamento di specie selvagge e dall'eccessiva antropizzazione. «Mi duole sentire anche persone intelligenti parlare di teorie cospirazioniste legate al Coronavirus, quando non c'è maggiore evidenza del fatto che il nostro rapporto con la natura sia diventato così distorto. Non guardiamo all'intero sistema, ma alla soluzione di breve termine».

Cambiare il sistema, quindi, l'economia, senza lasciare nessuno indietro. Ma come ci si può impegnare per le proprie comunità attraverso la cura dell'ambiente? Come convincere tutti ad agire? Come possiamo cambiare senza sacrificare il benessere guadagnato, aprendo anzi nuove possibilità di sviluppo? «Dobbiamo stimolare la curiosità attraverso storie che attirino l'attenzione di chi non ascolta. Quando ho iniziato a occuparmi di plastica negli oceani, avrei potuto lanciare una campagna per il riciclo. Avrebbe avuto visibilità? Poca, probabilmente. Invece con Plastiki, un catamarano di 18 metri costruito con il recupero di 12.500 bottiglie, abbiamo attraversato il Pacifico per dare risonanza alla questione delle “isole” di spazzatura».

Ed effettivamente, per settimane, l'interesse mediatico suscitato dal viaggio del Plastiki è stato notevole, in un periodo in cui di questa emergenza ambientale – era il 2010 – si parlava ancora poco. «Dobbiamo creare narrazioni intriganti che attirino l'attenzione anche dei più distratti. L'ecologia deve essere un'avventura». Un altro elemento fondamentale per David è esperire la natura. Il momento che lo ha cambiato è stata una spedizione in Antartide nel 2004. Sensazioni indescrivibili di fronte alla possanza dei ghiacci non più eterni.

«Una fortuna immensa poter vedere questo ambiente incredibile», ricorda. «Ho compreso l'importanza di far conoscere la natura e la sua fragilità, e da qui deriva la fondazione di Adventure Ecology, impiegando lo storytelling dell'avventura per permettere a tanti bambini e studenti di seguire le nostre avventure nelle regioni artiche, al fine di capire gli impatti del cambiamento climatico».

Con un'attenzione alla diversità e alle differenze di genere. «Servono modelli che non siano solo quello dell'avventuriero maschio, bianco, conquistatore, ma che siano il più possibile inclusivi. Il rewilding, il tornare selvatici, a contatto con la natura è fondamentale per capire il nostro ruolo e la relazione che ci lega a essa. Puoi parlare di salvare gli orsi polari a un ragazzino che vive in un quartiere povero di Chicago e non sortire alcun effetto; eppure, quando lo porti in un bosco, l'effetto curativo è istantaneo. Capisce che certi comportamenti sono sbagliati, che ci sono altri valori. La natura ci può curare».

Ascoltando o leggendo queste parole, può essere automatico commentare che con un cognome come quello di David è facile dedicarsi a viaggi e progetti ecologisti... Lui ne è consapevole: «So di essere un privilegiato, ma è proprio per questo che ho deciso di impiegare il mio privilegio, e la visibilità che offre, per tenere alta l'attenzione su un tema che considero fondamentale. Sono onesto con me stesso, conosco quale opportunità mi è stata data: spero di restituirla portando l'attenzione sulla questione ambientale, dando voce a chi non ce l'ha».

Bello, carismatico, si schernisce definendosi un esploratore con la crema idratante, che non punta a imprese estreme, che dorme all'addiaccio in sacco a pelo senza rinunciare, poi, alle comodità di un letto come si deve. Più che “spingere” i suoi limiti, vuole esplorare i confini della curiosità. Senza disdegnare il lifestyle e il glamour, come racconta la partecipazione a Gucci Off The Grid, la prima collezione del brand all'insegna dell'economia circolare e del vivere “sconnessi dal mondo”, disegnata dal direttore creativo Alessandro Michele.

«Iniziative come questa hanno una grande influenza culturale e industriale. Educano i consumatori e spingono altri brand ad adottare approcci simili, stimolano la filiera a essere sostenibile». Nessuna pietà per il mondo dei combustibili fossili. «È un modello insostenibile e un rischio finanziario per tutti. Bisogna tagliare le risorse in questa direzione». Meglio ascoltarlo, David, anche quando parla di investimenti: è pur sempre un Rothschild...

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