Ladislao di Durazzo: Re di Napoli che voleva unire l'Italia, ma arse tragicamente di passione

Ladislao di Durazzo: Re di Napoli che voleva unire l’Italia, ma arse tragicamente di passione

Una storia tinta di un rosso acceso, lo stesso del sangue e della passione, che interessa un anacronistico Re di Napoli che desiderava unire l'Italia.

Arte e Cultura
Articolo di , 07 Nov 2022
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Foto di Mikes-Photography da Pixabay

Un sogno che ha iniziato ad accomunare il popolo secoli dopo, ma già bruciava potente a Napoli. Ladislao di Durazzo preservava gli stendardi degli Angioini, venendo incoronato re a soli dieci anni, per esalare l’ultimo respiro in età prematura. Un sovrano vittima di un destino subdolo, morto per avvelenamento dopo non pochi tentativi fallimentari di attentare alla sua salute. Nel 1396, infatti, era già scampato alla morte per miracolo, essendo stato servito con una bevanda avvelenata, che costò la vita al suo coppiere, Cola di Fusco. L’ultimo tentativo di eliminarlo avvenne in uno scenario icastico, contraddistinto dai colori dell’intimità, assaporando i succhi velenosi di una donna avvenente.

La tragica storia di Ladislao di Durazzo

Ingannato dalla bellezza della figlia di un medico fiorentino appartenente ad una fazione nemica dei Durazzo, Ladislao trovò la morte tra le labbra intime della giovane, ciò che i suoi sottoposti non avrebbero mai avuto la possibilità di assaporare. Ladislao d’Angiò, re di Napoli e di Ungheria, sognò di unire l’Italia sotto lo scettro dei Durazzo, forte di un’attitudine imperiale che lo spinse ad ampliare i confini del reame napoletano, conquistando Roma e i territori pontifici.

La storia del palazzo più antico di Napoli: la decadente bellezza di Palazzo d'Angiò

Le sue mira di conquista lo hanno paragonato, spesso, nella storia, ai grandi Imperatori dell’Impero Romano. Il suo monumento funerario, poi, eretto per volere della regina Giovanna II, si erge imponente nella chiesa di San Giovanni a Carbonara. Il sepolcro del Durazzo, alto 18 metri, celebra un eroe mistificato dalla storia, essendo stato consacrato dall’umanista Lorenzo Valla come “Luce degli Italici”.

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