Johannes Brahms in "Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco" - Treccani - Treccani

Johannes Brahms

Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco (2014)

Cecilia Panti
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Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook

Brahms sceglie come ragione del suo operare il dialogo con la storia dell’arte musicale, l’attento studio dei linguaggi e degli stili, e per questo è identificato dai suoi contemporanei con il versante accademico e conservatore della musica tedesca. Ma nelle opere di Brahms, esemplari per la sistematicità con cui vengono affrontati e reinterpretati i generi musicali della tradizione classica e romantica, leggiamo oggi i segni di un’ansia di ricerca prossima a quella dell’artista moderno.

L’uomo e il musicista

Figlio di un eclettico suonatore di contrabbasso, attivo ora come musicista ambulante, ora nelle orchestrine da ballo e nell’orchestra di Amburgo, Johannes Brahms apprende i primi rudimenti musicali in famiglia. Non ancora ventenne, Brahms si guadagna da vivere suonando il pianoforte nelle sale da ballo di Amburgo; ben presto, però, intraprende una seria attività concertistica come accompagnatore del violinista Eduard Reményi. A vent’anni incontra Robert Schumann che lo lancia come promessa della nuova generazione di compositori tedeschi.

Sentendosi ancora immaturo, Brahms si sottopone da autodidatta a un decennio di studi serratissimi di contrappunto e orchestrazione, affiancato dall’amico violinista Joseph Joachim. Brahms è un lettore vorace e, come già è accaduto a Schumann, la sua immedesimazione con le figure della letteratura è tale che sovente si firma con lo pseudonimo hoffmanniano di “Kreisler junior”.

Studioso accanito della musica del passato, di Bach, di Mozart e di Beethoven, Brahms sa però, alla maniera romantica, come trarre partito anche dalle forze vitali del canto popolare, né disdegna di cimentarsi in musiche d’uso (ne sono esempi le Danze ungheresi e i Liebesliederwalzer per pianoforte a quattro mani) che contribuiscono in modo determinante a consolidare la sua fama.

Dall’immagine di un Brahms, per natura schivo e taciturno, incline a stati di malinconia, incurante degli obblighi mondani e all’occasione anche scontroso, traspare un’irrequietezza di fondo, un’inquietudine che sul piano umano si traduce nell’incapacità di creare legami sentimentali stabili: il rapporto di devozione e di condivisione di ideali artistici con la vedova di Robert Schumann, la pianista Clara Wieck, rimane uno dei nodi psicologici più intricati della vita del musicista. Sul piano professionale quest’inquietudine si coglie nell’insofferenza per qualsiasi carica duratura e nella mancanza di una qualsiasi vocazione all’insegnamento: la direzione a Vienna della Singakademie (1862-1863) e della Gesellschaft der Musikfreunde (1871-1872) rimangono parentesi fugaci in una vita spesa prevalentemente nella composizione e nelle tournée, come esecutore e direttore delle proprie musiche.

Contrariamente a quanto gli aspetti più disordinati della personalità di Brahms possano lasciar supporre, il compositore è dotato di uno spiccato senso autocritico e nelle sue scelte segue una progressione sistematica che procede per gradi dalle forme più semplici alle più complesse. Il percorso creativo di Brahms si attiene a una gerarchia ideale di valori musicali: dalle opere per pianoforte (1852-1860), passa alle forme classicheggianti delle musiche da camera (1860-1875) e soltanto a fine itinerario, dopo l’esperienza fondamentale delle pagine sinfonico-corali, sfocia nelle grandi forme sinfoniche (1876-1885). Superata l’indecisione iniziale (la stessa che tiene in sospeso per 14 anni la nascita della Sinfonia n. 1), Brahms avanza sempre più sicuro per questa via, indipendente dai giudizi altrui, anche se espressi da amici fidati come Clara Schumann e Joachim, ai quali per tutta la vita non manca di sottoporre i propri lavori prima della pubblicazione. Nel corso della sua vita, Brahms si dedica con continuità soltanto a due ambiti, quello del Lied per canto e pianoforte e quello delle musiche per coro a cappella: nel primo continua il dialogo con la poesia romantica (Herder, Brentano, Eichendorff, Tieck, Möricke), oggetto preferito delle sue letture giovanili; nel secondo si nutre dello stile severo della polifonia rinascimentale (Giovanni da Palestrina,Orlando di Lasso, Heinrich Schütz) come di una delle fonti più pure della sua ispirazione. La musica polifonica è un genere che Brahms frequenta assiduamente come direttore di coro, prima ad Amburgo, poi presso la corte di Detmold e quindi a Vienna, dove si stabilisce a partire dal 1863.

Con questi presupposti la produzione matura di Brahms finisce per rappresentare una posizione singolare nel panorama musicale tedesco della seconda metà dell’Ottocento: quella del musicista che risale lungo la storia del linguaggio musicale, per riesaminarlo criticamente e verificare la possibilità di riproporlo in termini nuovi. Posizione che all’epoca, ben al di là della volontà dello stesso Brahms, si presta a essere identificata come baluardo “classicista”, in contrapposizione sia alla corrente “avvenirista” di Franz Liszt e Richard Wagner, sia al sinfonismo di Anton Bruckner.

Le musiche per pianoforte e da camera

Quando nel 1853 il ventenne Brahms – all’epoca ancora uno sconosciuto pianista in cerca di fortuna nel ruolo di compositore – visita Schumann a Düsseldorf, porta con sé soprattutto brani per pianoforte, come le tre Sonate (le opere 1, 2, 5) e lo Scherzo op. 4: composizioni nelle quali gli schemi del formalismo classico si coniugano con un’alta temperatura emotiva. Su tutta la prima produzione pianistica di Brahms aleggia un clima da leggenda nordica, visibile anche in pagine ora fantastiche, ora eroiche – come le Ballate (1854) – e attiva ancora nel taglio impetuoso del Concerto n. 1 per pianoforte e orchestra (1858). Per il giovane Brahms è questo il modo più congeniale per accostarsi all’esperienza romantica, in parte già superata nelle successive opere per pianoforte (le Variazioni e fuga su un tema di Händel e le Variazioni su un tema di Schumann del 1861, le Variazioni su un tema di Paganini del 1863), che pongono l’accento sui problemi dell’elaborazione tematica sotto forma di variazione.

Il terreno in cui si completa la svolta è però la musica da camera. Qui si colloca il vero baricentro dell’opera brahmsiana, dove i fermenti romantici cedono alle esigenze architettoniche, e l’interpretazione del passato diventa motivo di creazione personale e di rigenerazione della tradizione.

Il pianoforte è protagonista anche di questa fase della produzione del musicista: già attivo nella prima composizione cameristica, il Trio op. 8 (1850), è presente tanto nel Quartetto op. 26 e nel Quintetto op. 34 (1862, 1864), quanto nella Sonata per violoncello e pianoforte op. 38 e nel Trio per violino, pianoforte e corno op. 40 (1865). Il pianoforte è lo strumento col quale Brahms ha piena familiarità e che meglio realizza l’idea di suono cameristico compatto, ricco di risonanze armoniche, al quale egli aspira; un suono che racchiude in sé un’aspirazione sinfonica, ma – secondo l’esempio dell’amato Beethoven – come trattenuta in uno spazio sonoro intimo, nel quale agisce un tematismo disteso e spontaneo.

In un primo tempo Brahms limita l’impiego cameristico degli archi senza pianoforte alla formazione estesa dei due Sestetti op. 18 e 36 (1860, 1865). Il primo Quartetto per archi (op. 51 n. 1, 1873) vede la luce dopo un’elaborazione di otto anni e circa una dozzina di stesure ma una volta trovata una scrittura scevra da incrostazioni pianistiche, altre due composizioni analoghe seguono a breve distanza: l’op. 51 n. 2 del 1873 e l’op. 67 del 1876.

In tutti questi lavori si avverte fortissima la compresenza di atteggiamenti stilistici contrastanti: da una parte l’aspirazione al controllo rigorosissimo della forma, concepita impeccabilmente sulla base dei modelli classici; dall’altra la necessità di conseguire un’espressività di carattere rapsodico. Lavori come il Quartetto con pianoforte op. 60 (1874) si traducono in invenzioni libere e fantastiche che, entro una cornice di perfetto equilibrio formale, lasciano ancora intravedere lo spirito romantico delle composizioni giovanili.

Le opere vocali e le sinfonie

Il problema del sinfonismo si presenta a Brahms in tutta la sua complessità nel 1858, quando nel tentativo di ricavare una sinfonia dall’abbozzo di un brano da camera per fiati riesce a mettere insieme soltanto una Serenata, l’op. 11. In una prospettiva ancora lontana della sinfonia, sono soprattutto le musiche da camera a consentirgli di sperimentare a fondo le possibilità della forma strumentale; spetta quindi alle musiche per coro e orchestra fungere da prima palestra di scrittura orchestrale. All’epoca Brahms non ritiene ancora di possedere appieno la tecnica dell’orchestrazione e perciò si avvale della consulenza di Joachim e del direttore d’orchestra Hermann Levi.

La prima composizione importante in questo ambito è Requiem tedesco del 1868, seguito dalla cantata per coro maschile Rinaldo (da Goethe, 1868), dalla Rapsodia per contralto, coro maschile e orchestra (sempre da Goethe, 1869), dallo Schicksalslied (Canto del destino, da Hölderlin, 1871) e dal Trumpfslied (dall’Apocalisse, 1871). In particolare il Requiem tedesco entra rapidamente nel repertorio di tutte le associazioni corali tedesche ed è la prima composizione che dà alla musica di Brahms l’occasione per uscire dalla cerchia ristretta dei concerti cameristici.

Il Requiem tedesco è un’opera priva di una precisa finalità liturgica, una specie di cantata funebre su testi biblici, nei quali sono affrontati i temi del cordoglio e della consolazione con accenti che vanno dal lirismo quasi liederistico alla drammaticità degli episodi fugati.

Da questo blocco di composizioni vocali e orchestrali Brahms passa a un blocco altrettanto compatto di lavori sinfonici: le quattro Sinfonie (1876, 1877, 1883, 1885); le due ouvertures Accademica e Tragica (1880); i Concerti per violino op. 77 (1878), per pianoforte op. 83 (1881), per violino e violoncello op. 102 (1887). Per i contemporanei di Brahms non è difficile scorgere in queste composizioni una prosecuzione del sinfonismo di Beethoven: la Sinfonia n. 1, che si sviluppa dalla cupa atmosfera del primo movimento all’affermazione gioiosa del finale, ripropone il piano impostato dallo stesso Beethoven nelle Sinfonie n. 5 e n. 9. Tra l’altro, la voluta affinità del tema finale di Brahms con la melodia dell’Inno alla gioia della Sinfonia n. 9 di Beethoven contribuisce a rafforzare l’analogia.

Brahms imprime un’impronta personale ai tempi centrali delle sue sinfonie, introducendo una sorta di intermezzo di carattere intimo al posto dello scherzo.

Ma la sue opere sinfoniche si distinguono nel panorama del secondo Ottocento soprattutto per l’impermeabilità a qualsiasi spunto programmatico e per la capacità del musicista di concentrare le sue idee in forme concise ed essenziali: la concezione dei temi racchiude un ricco potenziale di energia entro un blocco polifonico in cui si sovrappongono più elementi motivici, mentre il principio della variazione è impiegato diffusamente come criterio principale di elaborazione tematica. La vocazione di Brahms per l’arte della variazione trova nella produzione sinfonica la sua massima espansione: dalle Variazioni su un tema di Haydn (1873), che aprono la serie delle composizioni per orchestra, all’ultima pagina sinfonica, il finale della Sinfonia n. 4, che ne suggella l’apoteosi nella fusione della condotta della variazione classico-romantica con quella barocca della passacaglia.

L’ultimo decennio

Sentendosi incapace di affrontare nuovamente l’impegno dei grandi lavori orchestrali, dopo la Sinfonia n. 4Brahms ripiega verso la musica da camera e i pezzi pianistici. Il frutto di questa stagione creativa ormai declinante sono ancora tre Sonate per violino e pianoforte (1879, 1886, 1888), una Sonata per violoncello e pianoforte (1886), un Trio (1886), un Quintetto per archi (1890) e soprattutto una serie di lavori composti per il clarinettista Richard Mühlfeld: il Trio e il Quintetto con clarinetto (1891) e le due Sonate per clarinetto e pianoforte (1894).

In questi lavori Brahms passa dall’abbandono al piacere del canto alla concisione più assoluta, distillando momenti di grande pregnanza espressiva e d’inquietudine melodica e armonica.

Nei medesimi anni, il pianoforte da mezzo di sperimentazione, si trasforma in luogo privilegiato della confessione intima. Con moto retrospettivo che sa di recupero della poetica romantica del piccolo pezzo, Brahms compone alcune serie di composizioni brevi, ciascuna delle quali si configura come un vero e proprio monologo interiore: le Fantasie op. 116, gli Intermezzi op. 117, i Klavierstücke op. 118 e op. 119, tutti scritti nel 1892 e tutti dominati da una medesima atmosfera di malinconia.

Ma è soprattutto l’ultimo lavoro, i Preludi-corali per organo op. 122 (1896), a suggellare con un omaggio a Bach il percorso creativo di un’esistenza che nel dialogo ininterrotto con la tradizione scopre la modernità del proprio patrimonio interiore.

© Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani - Riproduzione riservata

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