Il trono di spade di Putin: promuove tutti per restare zar - la Repubblica

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Il trono di spade di Putin: promuove tutti per restare zar

Il trono di spade di Putin: promuove tutti per restare zar

Patrushev senior nominato assistente del leader con Djumin. Oreshkin al Cremlino. Tre i possibili delfini

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Nel “gioco dei troni” di Vladimir Putin, nessuno vince e nessuno perde. L’importante è dosare pesi e contrappesi per evitare che qualcuno prenda il sopravvento e perché a vincere alla fine sia sempre e solo lui, lo Zar incoronato per una quinta volta una settimana fa. Il mistero sul «nuovo lavoro» di Nikolaj Patrushev, sollevato domenica scorsa dalla carica di segretario del Consiglio di Sicurezza, si è sciolto. Il falco cospirazionista 72enne è stato nominato per decreto “assistente del presidente”. Ma non da solo.

Insieme a lui, anche il 51enne Aleksej Djumin, governatore di Tula dal 2016. Due siloviki, uomini dell’apparato di sicurezza, molto vicini al presidente, ora saranno tenuti ancora più vicini e saranno anche «coinvolti nel Consiglio di Stato», organo presieduto dal presidente che, una volta riformato e rafforzato, si ipotizza possa diventare una sorta di governo ombra quando il 71enne Putin deciderà di ritirarsi.

Non è stata l’unica sorpresa. Se Djumin si occuperà del complesso militare-industriale, Patrushev supervisionerà le costruzioni navali. «Ma avrà altre funzioni», ha precisato Dmitrij Peskov. La rassicurazione del portavoce del Cremlino non ha però impedito che diversi analisti leggessero comunque in questa delega minore una retrocessione, una sorta di pensionamento onorevole. Altri, invece, ribadiscono che in Russia non conta la posizione in sé, ma la persona. «Non si tratta di un declassamento di Patrushev. “Patrushev lavora come Patrushev”, il principale centro decisionale nel sistema politico di Putin», commenta una fonte moscovita.

Sono vere entrambe le interpretazioni. Da assistente di Putin, Patrushev continuerà ad avere accesso diretto al presidente e a fare quello che ha sempre fatto: consigliarlo. Fu lui, del resto, a convincere Putin che gli Stati Uniti si stavano preparando ad attaccare la Russia e che era necessario intervenire preventivamente in Ucraina. La esigua delega, tuttavia, controbilancia l’ascesa del figlio, il 46enne Dmitrij Patrushev, promosso da ministro dell’Agricoltura a vice primo ministro. Sia Patrushev junior che Djumin sono da tempo considerati papabili delfini di Putin destinati alla successione, il primo proprio in virtù del suo lignaggio, il secondo invece si sarebbe guadagnato la fiducia del leader del Cremlino quand’era agente dell’Fso, il Servizio di protezione federale del presidente, e quando da viceministro della Difesa aveva guidato le forze speciali durante l’annessione della Crimea. Ma c’è anche un terzo delfino in lizza: il 41enne Maksim Oreshkin che da consigliere economico di Putin è stato nominato vice capo dell’amministrazione presidenziale e affiancherà i vice uscenti, tutti riconfermati, da Sergej Kirienko ad Aleksej Gromov. Il loro numero ora sale a sette, due volte e mezzo in più rispetto al 2004, ha calcolato Agentsvo. Non è l’unica proliferazione.

Anche le deleghe alla Difesa si sono moltiplicate: al neo-ministro della Difesa, l’economista Andrej Belousov, si affiancano Djumin; Sergej Shojgu che, oltre a prendere il posto di Patrushev a capo del Consiglio di Sicurezza — e quindi a gestire d’ora in poi il canale di dialogo con gli Stati Uniti — guiderà anche il Servizio federale per la cooperazione tecnico-militare, un organismo al quale è stata data autonomia; e infine Denis Manturov, 55enne ex ministro dell’Industria russo promosso al ruolo di vice primo ministro con la supervisione del settore della difesa, vicino al capo di Rostec e veterano del Kgb Sergej Chemezov. Lavoreranno tutti insieme a Valerij Gerasimov, «per ora» riconfermato capo di Stato maggiore delle forze armate russe. All’inizio del quinto mandato presidenziale, sembra che Putin stia radunando a sé tutti i suoi sodali. La “zarificazione” è compiuta. E l’obiettivo, come ha osservato la politologa indipendente Ekaterina Schulmann, non è «gestire al meglio il Paese, ma pensare a come restare al potere».

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