Glen Hansard - This Wild Willing - Recensioni - SENTIREASCOLTARE

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7.1

Un letto singolo, una scrivania, una lampada, una finestra. Tutto quello di cui aveva bisogno Glen Hansard per comporre un nuovo disco. A dirlo è lui stesso, nel cortometraggio diretto da Elie Girard e prodotto da La Blogothèque sulla realizzazione di This Wild Willing. Diciassette minuti che raccontano il mese trascorso a Parigi ospite dell’Irish Cultural Center, per raccogliere i suoi frammenti e trasformarli in canzoni, stanco e vuoto, con un’infezione al petto che non voleva andarsene. In quei giorni francesi, passeggiando per il quartiere latino, Hansard diventa un uomo nuovo, con nuove canzoni cadute dal cielo afoso dell’estate parigina.

A volerlo tradurre letteralmente, il titolo del suo nuovo album suonerebbe come questo selvaggio offrirsi. Ma a chi? A cosa? Alla vita, forse. O alla musica. Senza pensieri, libero da sovrastrutture e ruoli definiti. Glen Hansard illumina il passato attraverso una rivoluzione gentile, con il sorriso sulle labbra. Quel sorriso che prima, nascosto dalla barba sempre equilibrata, sembrava timido e insofferente, tipico di uno “tough as nails”, come lo descrivevano i colleghi. Con This Wild Willing, suo quinto disco solista, Hansard recide tutte le insicurezze che hanno segnato l’arte della modestia lunga quasi trent’anni di musica. Come un albero vecchissimo dalla ramificazione infinita, il nuovo lavoro dell’irlandese prende mille vie, ora tortuose e imprevedibili come uno schiaffo dopo una carezza, ora classiche e confortevoli. Lo stesso processo di scrittura dell’album è stato descritto da Hansard come un’esplorazione di tutte le possibilità di improvvisazione: «mi ritrovavo a seguire dei temi e delle linee melodiche. Se prendi un minuscolo frammento musicale, lo segui, te ne prendi cura e ci costruisci qualcosa, può diventare una meraviglia»Con la loro natura vulnerabile ed estesa, le dodici canzoni si lasciano penetrare attraverso la sperimentazione di diverse orchestrazioni, i crescendo eroici, gli intensi climax e gli angoli meravigliosamente malinconici in cui Hansard si rintana. Non sono più i brani ad attraversarci, l’azione spetta a noi, mai chiamati ad essere pubblico così attivo nell’azione scenica diretta dal cantautore.

Il busker di Dublino che si è fatto le ossa sui grandi – Van Morrison e Leonard Cohen, mai così presenti – si sveste dei panni di romantico trovatore per lasciarsi avvolgere da una musicalità nuova eppure familiare; le ambizioni rock e folk coesistono con momenti di strana intimità e quiete, mentre l’inventiva orchestrale sembra coprire con un magico velo tutta la composizione muscolare di Hansard. Scritto a Parigi e registrato nei Black Box Studios, fra vecchi e nuovi amici si contano più di 24 musicisti nella squadra di talenti che il nostro ha schierato per dar vita al disco forse più significativo della sua carriera. Come se fosse alla ricerca di una nuova identità, il cantautore di Dublino impasta un album setacciato, lontano dalla propria comfort zone, che sorprende e incanta con brani tortuosi in lunghezza e in eccessi, con viaggi su tappeti sonori arabeggianti, brusche inclinazioni post-rock, sottile elettronica avvolta da arrangiamenti orchestrali e solo occasionalmente canzoni popolari dalla struttura più tradizionale, quella che ci faceva dire, “ah ecco è arrivato l’irlandese con la chitarra di Once“. Hansard sembra voler dar tempo e spazio alle canzoni per svilupparsi: così gli archi, i pianoforti, le chitarre, gli strumenti persiani sembrano crescere nello spazio e aumentare il proprio potere sulla struttura dei brani. Accanto ad essi c’è uno strumento unico e raramente replicabile, ovvero l’interazione tra i musicisti in studio, che si fa qui documento intimo del rapporto di stima e fiducia fra il cantautore e i colleghi.

Con This Wild Willing, Hansard tenta (e trova) una bellissima scossa costruendo canzoni con ambiziose improvvisazioni in studio, una nuova scrittura, un nuovo arrangiamento. L’inaspettato e folgorante inizio di I’ll Be You, Be Me con quella drum machine mefitica, il basso affilato e la voce che diventa un sussurro trattenuto, dona la giusta tensione per dare il via al percorso epidermico di Hansard. Con l’entrata degli archi, la progressione degli accordi e il moto ondoso in crescendo, il potenziale consumante del desiderio diventa pericoloso perché immersivo e universale. La burrasca sembra arrestarsi in Don’t Settle, una cavalcata morbida e conciliante che fa delle linee di tromba il climax emozionale più importante del disco, e che apre ai sei minuti di completa sommersione neo-folk di Fool’s Game, elegantissimo overdrive orchestrale à la Sigur Rós fra stentate tregue e l’imperturbabile dolcezza offerta qui dalla voce dell’iraniana Aida Shahghasemi. E va detto che c’è un profumo e un suono sconosciuto al mondo di Hansard: è l’Iran, quello della musicista di Teheran, quello dei fratelli Khoshravesh, trio musicale ormai di base Parigi. Il sapiente uso del ney e del kamancheh rende un brano come The Closing Door una preghiera contemporanea dall’attitudine quasi industrial, altrimenti ridotta a litania orientale senza originalità. L’eclettica orchestrazione, che va dal piano al banjo, dal bouzouki al Moog, brilla in questo lavoro indubbiamente ambizioso, che richiede ascoltatori pazienti, e scava nell’idea e nell’importanza del sacrificio romantico. Un dissidio che si anima sotto pelle ricostruisce l’atmosfera soffice di Mary e Threading Water, con chitarra acustica e violini, mentre l’esplorazione lenitiva e rilassata di Weight of the World aggiunge droni melodici come se fossero abbracci di speranza, ricerca di una connessione sincera.

E per affrontare nuovamente l’ignoto, Glen Hansard dopo averla scelta, deve lasciare Parigi per andare incontro al mondo, come se fosse la prima volta. Quel letto, quella scrivania, quella lampada e quella finestra ora svaniscono nei dodici brani di This Wild Willing, nelle sue sublimazioni sonore, nella semplicità cruda di chi sussurra per dare corpo alle parole, nelle pareti che vacillano sotto quella voce calda e umorale; l’irlandese alto e barbuto ora sorride, e sta lì, dietro le canzoni, per essere più piccolo, e dar loro il massimo spazio per esplodere senza mai sacrificare l’intimità della sua poetica più sofferta. C’è qualcosa di disperatamente commovente nel radicale mutamento di Hansard, in quella che si configura come una vera e propria avventura culturale, dove i calcoli devono essere liberi, dove nuove direzioni significano nuove opportunità, e dove – dinanzi alla bellezza – non si dice mai non si può fare.

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