Gastrosofia: storia della letteratura e gastronomia

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Gastrosofia: storia della letteratura e gastronomia


Testo di Alex Revelli Sorini professore di storia della gastronomia Università San Raffaele Roma

 

Per arrivare a capire cosa sia veramente la gastronomia oggi, inizieremo analizzando l’origine della parola e i suoi primi utilizzi letterari. Gastronomia è una parola greca composta da due termini: gastèr e da nomia. Il primo indica lo stomaco o il ventre, il secondo significa norma o regola. Il significato letterale potrebbe essere quindi quello di una serie prescrizioni a giovamento del ventre, ovvero dei piaceri che il riempirlo può darci. 

Tra i primi due utilizzi della parola gastronomia passano più di 2000 anni, ovvero il lasso di tempo che separa la Grecia classica dalla Francia post rivoluzionaria. La prima comparsa in assoluto si registra nel IV sec. a.C. in Sicilia. 

Il poeta Archestrato, originario di Siracusa o di Gela, scrive un poemetto in esametri che dalla maggior parte delle testimonianze sembra intitolarsi proprio “Gastronomia”. Ma chi è questo Archestrato e di cosa parla? Ebbene nei suoi versi Archestrato si presenta con queste parole: 

“L’illustre viaggiatore che girò la terra e il mare a cagione del ventre e della gola” e gli stessi versi iniziali della “Gastronomia” che rappresentano poi il primo frammento, non lasciano dubbi: 

“Quanto conobbi in viaggiar mostrando/ A Grecia tutta, ove miglior si trova/Ogni cibo dirò ogni liquore”. 

Negli altri frammenti Archestrato parla principalmente di una grande varietà di pesci, non mancano comunque passi dedicati alla carne e ai vini. Questi ultimi sono classificati in base al territorio di provenienza proprio come accade oggi (pensate al disciplinare delle DOC o delle DOP). 

Dopo Archestrato il termine gastronomia sembra curiosamente scomparire dalla letteratura. Anche se i romani si mostrano ben più attenti dei greci ai piaceri del cibo, preferiscono parlare semplicemente di cucina. Da Orazio a Marziale fino al grande ricettario di Apicio (autore dell’unico libro di ricette pervenutoci dall’antichità) le trattazioni letterarie di carattere gastronomico non mancano, così come non mancheranno nei secoli e nelle civiltà successive. 

Per ritrovare la parola gastronomia bisogna attendere un evento epocale come la Rivoluzione Francese. Non è uno scherzo, una delle conseguenze della rivoluzione borghese è la nascita del ristorante moderno e il dilagarsi della passione per il mangiar bene, il desiderio di assaggiare ogni volta piatti nuovi cucinati da mani diverse e di confrontarli fra loro. 

In questo clima di “euforia culinaria”, nel 1801 esce il libro cruciale, si tratta di “La Gastronomia o l’uomo dei campi a tavola” di Joseph de Berchoux che è come recita il sottotitolo un “ poema didattico in 4 canti che tratta della cucina degli antichi etc…con note erudite”. Della “storia della cucina antica” di fatto parla espressamente il primo canto. 

I successivi invece sono dedicati rispettivamente ai primi piatti, ai secondi piatti ed ai dessert. 

“La Gastronomie” ha un successo strepitoso tre edizioni solo nel primo anno. Berchoux che all’inizio aveva optato per l’anonimato comincia a firmare le edizioni successive e diviene un personaggio. 

Solo 3 anni dopo esce il primo numero dell’almanacco dei golosi che è probabilmente la prima guida ai ristoranti della storia.

La gastronomia moderna nasce dunque in Francia all’alba del XIX sec. come discorso colto intorno al cibo. Ma non al cibo inteso come nutrimento, bensì relativamente ai suoi aspetti che oggi chiameremo edonistici. Il punto centrale di questo pensiero evidenzia il concetto centrale della gastronomia: il buono da mangiare. In definitiva il buono da mangiare non è una qualità intrinseca di un cibo o di un piatto ma è piuttosto la qualità di una situazione più ampia e complessa in cui questo cibo è il protagonista principale. 

Una cosa certa è che il buono da mangiare non ha affatto a che fare con il solo senso del gusto. Nell’atto del mangiare intervengono non solo tutti i sensi contemporaneamente ma anche aspetti psicologici, culturali, emotivi, simbolici, rituali e religiosi che trasformano una pura azione materiale in un vero e proprio linguaggio. 

L’oggetto del giudizio gastronomico, ovvero del buono o meno da mangiare non è come abbiamo visto una proprietà oggettiva del cibo in quanto tale. Non solo dipende da tempi, luoghi e persone, ma è variabile per la stessa persona a seconda della situazione in cui si trova. 

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