Giacomo Matteotti senza pace. Il suo condominio boccia la targa del Comune di Roma col riferimento al fascismo: “Lasciate la nostra” - la Repubblica

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Giacomo Matteotti senza pace. Il suo condominio boccia la targa del Comune di Roma col riferimento al fascismo: “Lasciate la nostra”

L'architetto Paolo Marocchi
L'architetto Paolo Marocchi 

Sul palazzo nel quartiere Flaminio dove abitò il deputato socialista ucciso c’è già una piccola lastra in sua memoria ma è abusiva e non cita gli assassini: «Quella del sindaco Gualtieri è troppo impattante”

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ROMA – La lettera del Comune di Roma «a tutti i condomini» del palazzo di via Pisanelli 40, al Flaminio, è arrivata il 27 aprile. La sovrintendenza capitolina ai beni culturali chiedeva «con cortese urgenza» un parere vincolante per l’affissione di una targa che ricordasse l’uccisione di Giacomo Matteotti, che lì viveva quando cent’anni fa venne assassinato dai sicari di Mussolini. Proprio da quella casa signorile, nel pomeriggio del 10 giugno 1924, uscì per andare incontro alla morte. Dopo un’accesa votazione i tredici condomini, a maggioranza, hanno votato no. Motivo: la targa proposta dal Comune, in travertino romano, stuccato e levigato opaco, di ottanta centimetri di larghezza, novanta di altezza, tre centimetri di spessore, è stata ritenuta «troppo impattante». Il municipio, d’intesa con la Fondazione Matteotti, aveva proposto questa scritta: «In questa casa visse Giacomo Matteotti (1885-1924) fino al giorno della morte per mano fascista. Roma pose cent’anni dopo in memoria del martire del socialismo e della democrazia».

Vicenda ingarbugliata. Come tutte le cose di Matteotti, la cui memoria è stata a lungo calpestata. Il punto è che sulla facciata del palazzo di via Pisanelli 40 una targa in onore di Matteotti c’è già. Più piccola, e senza alcun riferimento al fascismo: «Qui abitava Giacomo Matteotti quando uscendo di casa il 10 giugno 1924 andò incontrò alla morte», recita la scritta. Quando Matteotti non era così popolare come in questi giorni, e nella colpevole indifferenza delle istituzioni, l’inquilino del quinto piano, l’architetto Paolo Marocchi, (Giacomo e la sua famiglia, la moglie Velia, e i tre figli vivevano al quarto piano), decise in cocciuta solitudine di apporre un monumento-ricordo, «senza chiedere permesso a nessuno», come ha rivelato nel libro Io vi accuso. Giacomo Matteotti e noi (Utet). «Perché io la penso come Matteotti».

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Questo è avvenuto quindici anni fa. Il marmista volle duecento euro. Nessuno dei condomini ebbe nulla da ridire. E da allora la targa è lì, anche senza alcun riferimento al fascismo, perché al tempo prevalse il timore di imbrattamenti e altri fastidi che per fortuna non ci sono stati. «Perché l’ha fatto?», gli chiese il cronista. «Per ricordare che questa fu la casa di Giacomo Matteotti, è un fatto di prestigio», rispose Marocchi. Nel palazzo c’è ancora l’ascensore anni Venti usato dal martire, con la panca in similpelle marrone e il vetro givrettato, la bottoniera in ottone e la targhetta dorata dell’azienda che lo costruì, la Stigler. Matteotti quel giorno uscì di casa, raggiunse il vicino Lungotevere, basta attraversare la stradone, qui lo attendevano, davanti alla Lancia K, cinque sgherri fascisti capitanati da Amerigo Dumini.

Il punto pirandelliano dell’affaire di via Pisanelli è che i condomini vogliono tenersi la loro di targa, mentre il Comune vorrebbe rimpiazzarla con quella nuova, in quanto «non è opportuno che su un edificio siano presenti due targhe dedicata alla stessa persona», come fa notare nella sua richiesta la dottoressa Maria Vittoria Mancinelli, referente per le targhe commemorative e la Memoria del Campidoglio. Nella sua lettera ricorda ai condomini, con malizia legalitaria, che la targa esistente venne affissa «senza l’autorizzazione della soprintendenza capitolina». Una targa meritoria, ma pur sempre abusiva. «E quindi adesso che succederà? Ci toglieranno la nostra targa?», ragionava indignata un’inquilina che ha votato no. «Io ho votato sì perché, a differenza della nostra targa, qui c’è un riferimento esplicito alla responsabilità del fascismo», spiega un altro abitante. L’amministratore del condominio, l’architetto Mauro Croce, che ha «gestito» la votazione, non può fare altro che comunicare l’esito: “La maggioranza è per il No, adesso lo comunicheremo alle autorità comunali”. Il parere del condominio è vincolante. In Campidoglio forse davano per scontato il sì. Il sindaco Roberto Gualtieri vorrebbe inaugurare la sua targa entro il 10 giugno, il giorno in cui cade l’anniversario dell’assassinio.

Matteotti non è fortunato. Il brutto monumento che lo ricorda sul Lungotevere di notte non è nemmeno illuminato. Spesso è invaso dall’immondizia, la gente se ne lamenta e scrive ai giornali. Anche via Pisanelli è un luogo cruciale. Il palazzo si vede nel film su Matteotti di Florestano Vancini, con Franco Nero che viene aggredito dagli sgherri. I giornalisti, dopo la scomparsa di Matteotti, vi stazionarono per settimane provando a carpire qualche informazione alla povera Velia, che si dibatteva nella disperazione. Lei chiese udienza a Mussolini, il quale promise aiuto, quando sapeva che Matteotti era già morto, e Velia si rifiutò di stringergli la mano, e quando lui si offrì di accompagnarla verso l’uscita, lei, che era lì con la sorella, gli rispose fiera: «Andiamo da sole».

Anche a Fratta Polesine, il paese di Matteotti, c’è una targa nella piazza che porta il suo nome. Fu messa lì nel 1950, ai tempi di Mario Scelba ministro dell’Interno, ma il testo proposto, che ricordava i processi farsa nei confronti degli autori, «senza pace attende il giorno della giustizia riparatrice», venne censurato dai funzionari dc intrisi ancora di fascismo. Tre anni dopo Dumini uscì di carcere per l’amnistia del governo Pella. E così la targa rimase nella versione censurata fino a pochi anni fa, quando, grazie alla tenacia della direttrice della Casa museo, Lodovica Mutterle, venne ripristinata la scritta proposta dai compagni socialisti.

Come finirà invece l’affaire di via Pisanelli? Forse il pasticcio si può recuperare se il Comune propone una targa valutata «meno impattante» dai condomini. Probabilmente serviva un approccio meno burocratico, e più politico, per evitare che andasse così. Una storia italianissima.

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