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Se vi dicessi “mastino siciliano” o cane di mannara

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Se vi dicessi “mastino siciliano” o cane di mannara

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Pubblicato in Cultura e Società · Venerdì 09 Feb 2024
Tags: mastinosicilianocanedimannaraspecieautoctonarazzepiùantichepastoresicilianoguardiadellegreggiguardiadellamasseriamànnaramànniraricoveriinpietra

Se vi dicessi “mastino siciliano” cosa mi rispondereste?

quanti il cane di mannara, specie autoctona della Sicilia, è una delle razze più antiche.

Il cane di mannara, oggi detto anche mastino siciliano o pastore siciliano, è un'antichissima razza canina originaria della Sicilia, da sempre adibita alla guardia delle greggi e della masseria. Il suo nome deriva dal termine mànnara (mànnera, o mànnira), con il quale venivano indicati i tipici ricoveri in pietra entro i quali venivano fatti rientrare gli animali la notte.

Basta dire che nel 2017 le FCI (Fédération cynologique international) lo ha riconosciuto come razza estinta o in via di estinzione.

Se invece vi dicessi, Cirneco dell'Etna che è considerata la razza italiana più antica di tutte. nel romanzo Il Gattopardo, Giuseppe Tomasi di Lampedusa scrive: «... il cane Romeo, che latrava breve in un cantone, era il tris nipote di un altro cernieco.»

Anche Luigi Natoli ne parla quando associa ad uno dei protagonisti del suo più celebre capolavoro “I Beati Paoli” proprio un cane di mannara che affianca durante la gioventù a Blasco da Castiglione.

Pastore e ciclope, troviamo Polifemo beffato da Ulisse, che se solo avesse avuto un fedele cane sarebbe andata diversamente, ma Ulisse riusci con con un astuto stratagemma ad ingannare ed accecare, figlio del dio dei mari Poseidone. Il gigante viveva all'interno di una buia caverna, presso il Vulcano Etna.
E' quello, che fuori di sé dalla rabbia dopo essere stato accecato, prende una roccia enorme e la scaglia nel mare, sollevando altissime onde. I compagni mi supplicano di tacere e di andarcene. Ma io, a gran voce: «Sappi che chi ti ha accecato non è un Nessuno da niente! Sono Odisseo, figlio di Laerte. Ad Aci Trezza troviamo i faraglioni lanciati dal ciclope.

La capra Amaltea che allattò Zeus, chi sa se ha mai conosciuto i cani da pastore, però alla sua morte, Zeus le fu talmente riconoscente che decise di porla fra gli astri, assieme ai suoi due capretti. Con la sua pelle creò il proprio scudo, l’egida, mentre dalle sue corna ottenne la cornucopia; il pastore Aci e tante altri miti.

Secondo la credenza popolare, il cane da mannara o lo spinone, cha un certa parentela con il lupo perché e la scomparsa di quest'ultimo dai territori siciliani (1935).

I cani da sempre sono un ausilio per la transumanza, che è uno dei passaggi chiave della pastorizia. Ogni anno, da tempo immemore, in primavera e in autunno migliaia di animali sono guidati, dall’alba al tramonto, da gruppi di pastori lungo percorsi, e richiede al pastore una profonda conoscenza del territorio, degli animali, oltre che una grande capacità di adattamento suo e degli animali.

non meno importanti erano strutture pastorali.
Ancora oggi, in tutto il territorio, si trovano gli antichi rifugi dei pastori siciliani.
Con i materiali della natura integrate nel paesaggio, hanno creato uno scenario unico.
Tra la Sicilia dove la tradizionale attività pastorale ha un legame molto stretto, ha indotto i pastori siciliani a dotarsi di piccole architetture rustiche, perfettamente integrate nel paesaggio e realizzate con materiali forniti della natura. Così le architetture “pastorali”, testimonianza storiche della necessità alla pastorizia.

Le tecniche e le tipologie dei rifugi dei pastori siciliani si tramandavano da padre in figlio, sfruttavano elementi della natura, come grotte, siepi, materiale da costruzione, come pietrame, legno e fibre vegetali, si creavano strutture più o meno complesse.

Il Casottu è il tipo di edificio più diffuso. Chiamato anche “casudda” o “casidda”, è in muratura a secco, con pianta rettangolare e con copertura in travetti e tegole di cotto a una sola falda. L’altezza è minima e c’è un solo ingresso. All’interno c’è un fondo in terra battuta, pochi incavi alle pareti, mensole appoggiare i pochi suppellettili.

Il Pagghiaru è un rifugio temporaneo, solitamente associato a un recinto per animali e uno spazio per attività lavorative. Tipica capanna circolare, con alcune varianti, consta di un perimetro di pietre a secco, raramente in pietra quadrata. Il muro, spesso con una sola apertura d’ingresso, raggiungeva l’altezza massima di un metro e mezzo. Al di sopra, una copertura conica, con soli tronchi incrociati in alto, sulla sommità, foglie larfhe e secche, trattenute da trecce, che impermeabilizzassero dall’acqua piovane.

Differente è il Pagghiaru d’i cravunara, cioè la capanna dei carbonai, su un basso corridoio di pietre ma prevalentemente con elementi vegetali, rivestita da toppe di terreno.

Per quanto riguarda le strutture con pietra, le principali sono sicuramente i Cubburi (Cupoli, Cubbi), con coperture pseudocupolari (tipo tholos, con un progressivo aggetto delle scaglie di pietra).

Il recinto ottenuto con muretti a secco, con andamento, solitamente irregolare, segue il terreno, saldandosi a formazioni rocciose talvolta con struttura megalitica a Polverello.

Tutelando loro si tutelano: le razze autoctone, i prodotti caseari, le carni, il nostro patrimonio storico-culturale, gastronomico e sociale.


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