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Tesina sul Tema del Doppio in letteratura e filosofia, Sintesi del corso di Italiano

Dopo aver letto molti libri riguardanti questo tema ho deciso di farci una tesina mettendo al suo interno anche una cosa filosofica

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 10/05/2024

samuel-cousin
samuel-cousin 🇮🇹

3 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Tesina sul Tema del Doppio in letteratura e filosofia e più Sintesi del corso in PDF di Italiano solo su Docsity! Samuel Cousin 01/04/2021 Liceo scientifico Renzo levi, Roma Samuel Cousin, 1°A Il Doppio 16/05/2021 Il Doppio nella letteratura: Il tema del Doppio è sicuramente una delle tematiche della letteratura che ha sempre affascinato, non solo grandi scrittori e assidui lettori, ma anche gente comune, perché è una tematica così comune nella vita quotidiana di tutti ma così difficile da esprimere e da rappresentare concretamente. È un qualcosa di così moderno e interessante e la sua trattazione risale dai primi romanzi di fine ottocento-inizio novecento, basti pensare a “Lo strano caso del dottor Jekyll e Mister Hyde”, scritto da Robert Louis Stevenson, “Il ritratto di Dorian Grey”, scritto da Oscar Wilde e “Il fu Mattia Pascal”, scritto da Luigi Pirandello. “Lo strano caso del dottor Jekyll e Mister Hyde”: “Lo strano caso del dottor Jekyll e Mister Hyde” racconta la storia di un medico dell’alta borghesia inglese che creò una sostanza in grado di dividere la personalità buona da quella malvagia. Il medico provando la pozione su sé stesso si trasformò in un essere malvagio di nome Hyde, il quale una notte calpestò una bambina e in seguito venne accusato di aver ucciso il signor Danvers Carew. Da quell’episodio il dottor Jekyll non uscì più di casa finché il suo maggiordomo Poole preoccupato delle condizioni del proprio padrone andò a parlare con Utterson, il quale intervenne immediatamente in soccorso di Jekyll ma quando Utterson entrò nel laboratorio trovò solamente il corpo di Hyde e una lettera che chiarì tutta la storia. L’opera vuole dimostrare, in chiave fantastica, che in ogni uomo esiste una sua parte buona ed una sua parte cattiva, ma non solo, perché le due parti coesistono e si completano a vicenda: non è possibile “uccidere” la parte cattiva senza che essa porti via con sé la parte buona, e viceversa. Inoltre Stevenson facendo agire il dottor Jekyll di giorno e Mister Hyde di notte vuole mettere in evidenza la doppia vita svolta dagli uomini vittoriani del suo periodo: gentiluomini di giorno (Jekyll), frequentatori di giochi d’azzardo di notte (Hyde). Quindi quest’opera non è solo una denuncia della doppia vita interiore di ogni individuo, ma anche una denuncia alla società vittoriana. La doppia personalità è, ce ne accorgiamo alla fine del romanzo, già insita in Dr. Jekyll. Quando egli racconta la sua storia, nell’ultimo capitolo, non nasconde la sua doppia vita da giovane: una rispettabile facciata, che nasconde desideri passionali e sfrenati. È da questa doppia personalità che prende piede la sua esigenza di trovare un metodo scientifico che riesca a separare il lato rispettabile dell’uomo da quello animalesco. Quest’intento, che egli maschera da conquista per l’umanità, è in realtà la realizzazione di un sogno di vivere senza freni e senza limiti le inclinazioni malvagie che abitano in ciascun uomo pur continuando ad esibire una facciata onesta. Ecco perché ad ogni rientro e trasformazione da Hyde in Jekyll, il rispettabile dottore si sente euforico per le sue scorribande notturne e assolutamente non in colpa per le azioni nefande del suo alter ego. La lotta tra Jekyll e Hyde è ripetuta, nel corso del romanzo in altri personaggi e situazioni ed incarna, più ampiamente, il cosiddetto Victorian Compromise; cioè, il compromesso, tra la rispettabilità e la ricchezza della società vittoriana che contava ed il risvolto negativo della miseria, dello sfruttamento di donne e bambini, della prostituzione e della corruzione dilagante, invece, ai livelli sociali più bassi. L’importante era l’apparenza, dietro cui potevano nascondersi anche le nefandezze più terribili, proprio come la casa di Jekyll, costituita da una facciata pulita e curata e, nella stradina secondaria, da un cortile sporco e cadente, da nascondere con accuratezza. Anche Utterson ed Enfield rappresentano, nel loro microcosmo, un conflitto in scala simile a quello di Jekyll e Hyde. Sono due persone completamente diverse tra loro, eppure complementari, tanto da non poter rinunciare l’uno alla presenza dell’altro. “Il Sosia”: Il protagonista della storia è Jakov Petrovic Goljadkin, di cui è descritto passo dopo passo il degrado psicologico, fino al raggiungimento della follia vera e propria. Jakov Petrovic è interessato alla figlia del proprio superiore, Klara Olsuf’evna; dopo essere stato vergognosamente cacciato da una festa presso il palazzo di lei, incontra una curiosa figura che non solo gli somiglia in maniera impressionante, ma porta anche il suo stesso nome, oltre ad aver vissuto la sua stessa storia e provenire dal suo stesso paese. Egli lo segue in ogni luogo ed è presente specialmente nelle situazioni più goffe e imbarazzati: col suo sorriso beffardo e le sue battute pungenti non esita a umiliare ulteriormente il protagonista della storia. Questo “Goljadkin minore” come lo chiama l’autore, si rivelerà infatti un vero e proprio antagonista del “Goljadkin maggiore”: lo metterà in ridicolo davanti a tutti i colleghi e otterrà la fiducia delle persone più autorevoli della società pietroburghese, a discapito del “nostro eroe” che nel patetico tentativo di salvaguardare la propria dignità e mettere in cattiva luce il suo nemico, perderà ogni briciolo di considerazione da parte di tutti. Il racconto termina con Jakov Petrovic che è attirato con l’inganno ad una festa, dove in realtà lo attende il medico Rutenspitz per portarlo in un istituto d’igiene mentale: il sosia del signor Goljadkin non si saprà se fosse un qualcosa di veritiero o solo frutto della sua immaginazione. Il tema principale di questo romanzo breve è la doppia personalità del protagonista Goljadkin che è divisa in ciò che lui è, ovvero timido e impacciato, e ciò che invece vorrebbe essere, cioè scaltro e ambizioso. L’autore presenta il protagonista fin dall’inizio come un personaggio particolare, spesso confuso e molto insicuro. Infatti la sua pazzia ci viene mostrata fin dalle prime pagine del libro, ad esempio durante il colloquio con il medico, nel quale il signor Goljadkin spesso balbetta ed ha difficoltà a seguire il filo del suo stesso discorso, interrompendosi e ripetendosi di continuo. Questa sua pazzia lo porta a crearsi un nuovo individuo, uguale sotto tutti gli aspetti del “nostro eroe”, ma opposto nel comportamento e nelle capacità di socializzazione. Inizialmente il protagonista si mostra disponibile nei suoi confronti e pare che intraprendono un rapporto di amicizia, ma dopo neanche un giorno dalla sua comparsa diventa il suo nemico e ostacolo. Questa proiezione mentale lo porta a distruggere il proprio mondo reale: Goljadkin perde la reputazione di bravo cittadino, pur non avendo partecipato molto attivamente alla vita sociale e preferendo sempre la solitudine; viene poi considerato inaffidabile, pericoloso e bugiardo da “brava gente”; definite così nel libro le buone persone comuni che lo conoscevano. Perde il posto di lavoro, ogni contatto con la buona società e persino il domestico Petruska che ha sempre assecondato il suo padrone nella sua stravaganza. Il racconto è composto per la maggior parte da dialoghi e dai pensieri di Goljadkin nei quali si sforza di trovare una soluzione al problema del suo doppio, ma conclude sempre con l’arrendersi e sperare che la situazione vada per il meglio o si sistemi senza nessun particolare stratagemma. Il protagonista si sforza di prevedere gli avvenimenti, di valutare ogni opzione dei suoi piani quasi mai messi in pratica nel modo corretto e sembra che passi gran parte del racconto ad arrovellarsi invece di agire. “Anfitrione”: Il dio Giove si è invaghito di Alcmena, la moglie fedele e virtuosa del re Anfitrione. Un giorno, mentre il re è in guerra, il dio si introduce nel palazzo sotto le sembianze dello stesso re, in compagnia di Mercurio che, per aiutarlo nell’imbroglio, ha preso l’aspetto di Sosia, il servo di Anfitrione. Entrambi riescono a ingannare la servitù e Alcmena, credendo che Giove sia in realtà il marito di ritorno dalla guerra, lo accoglie con gioia e trascorre con lui una notte d’amore. Ma all’improvviso giunge il vero Anfitrione, preceduto dal vero Sosia. Sosia rimane completamente sconvolto nel vedersi dinanzi un altro sé stesso, che in realtà è Mercurio, mentre Anfitrione, travolto dall’equivoco, comincia a dubitare della fedeltà di Alcmena. Allontanatosi Anfitrione, si presenta ancora Giove sempre sotto le sembianze del re, In seguito ritorna di nuovo Anfitrione. Si crea così una situazione intricata ed equivoca, in cui non si capisce più quale dei due sia il falso Anfitrione. Alla fine gli dei svelano l’inganno e il re, anteponendo la devozione religiosa all’orgoglio, si dichiara onorato che Giove, padre degli dei e degli uomini, abbia scelto sua moglie come amante. La vicenda si conclude poi con la nascita di due gemelli, uno figlio di Anfitrione, l’altro, il semidio Ercole, concepito da Giove. Il tema fondamentale della commedia è sicuramente quello del doppio: Mercurio si è infatti travestito da Sosia, il servo assente, per accompagnare Giove, il quale invaghitosi di Alcmena, si è trasformato in suo marito Anfitrione. L’intrigo ordito degli dei mette Sosia in una condizione difficile di perdita d’identità che lo porta a chiedere al suo sosia: “Se non sono Sosia, chi sono allora? Lo chiedo a te”. Nel dialogo tra Mercurio e Sosia la rappresentazione del doppio si realizza, sul piano linguistico, attraverso una serie di passaggi che prendono l’avvio della relazione oppositiva iniziale Io/Tu. La scena dell’incontro tra Sosia e il proprio “Doppio” è scandita dall’uso ripetuto ed insistente di ego, me e meus, in opposizione con l’uso meno martellante ma altrettanto insistente di tu. La presenza della relazione io/tu corrisponde nel testo alla fase di iniziale incredulità di Sosia allorché cerca di riaffermare la propria identità e di riappropriarsi del proprio io, prendendo le distanze dall’altro. Lo specchio permette a sosia di guardarsi a distanza e riconoscersi nella somiglianza; il concetto di somiglianza è sottolineato nel testo dalla ripetizione lessicale e dalla cura etimologica. Il processo si conclude con l’accettazione della perdita di sé, del proprio essere fisico. Sosia può solo sperare di trarre vantaggio dall’evento di “Sdoppiamento”; immagina allora che l’altro sé stesso che ha incontrato sia la propria “imago funeraria”: dunque egli non sarebbe più schiavo ma un uomo libero. È il desiderio di riscatto sociale del servo che prende corpo dietro un’azione scenica il cui intento è quello di far ridere lo spettatore. “Il mito platonico della biga alata”: La biga alata serve a spiegare la teoria platonica della reminiscenza dell’anima. La biga (carro) è guidato da un auriga e trainata da due cavalli, i quali sono opposti poiché si può notare che uno va verso l’alto e un altro va verso il basso. “Ogni elemento cosa rappresenta?”: Il cavallo nero rappresenta l’istinto: quante volte nella vita ci siamo sentiti trascinati dai nostri istinti, a fare qualcosa di cui non potevamo fare a meno, ma di cui ci siamo pentiti amaramente. Questo per Platone significa dare potere al cavallo nero. Il cavallo nero ci tira giù verso gli istinti, sia quelli vitali sia quelli incontrollati di possesso, di materialità, verso l’espressione di sentimenti di rabbia, o semplicemente verso un piccolo peccato di gola. Il cavallo bianco rappresenta l’intuizione: dall’altra parte il cavallo bianco è quella parte di noi che ci solleva, ci porta verso l’alto, ci fa vedere le cose da diversi punti di vista, ci consente di aprirci all’intuizione, di sentirci più forti e di riconnetterci con l’eternità, col divino. E ci fa sentire bene, ci fa sentire leggeri. L’auriga rappresenta la ragione: Il povero auriga rappresenta dunque la mente, la nostra parte razionale. Dico “povero” perché ha un compito difficilissimo, quello di tenere in equilibrio i due cavalli. L’auriga è qui per dire: “Cavallo nero non esagerare a tirar giù, cavallo bianco non esagerare a tirar su, cerchiamo di trovare una via equilibrata, con un’andatura che procede in avanti e tendenzialmente verso l’alto”. Questo è proprio il concetto di evoluzione, di crescita: così come l’universo si espande, anche noi tendiamo naturalmente verso l’espansione. Infine “Cosa rappresenta la biga?”: Platone non lo dice; però posso provare a dare una risposta: per me la biga è la nostra parte subconscia, quella porzione della psiche dove vengono archiviate le informazioni che sono accessibili con un semplice richiamo, la parte che è stata programmata come un computer a eseguire delle operazioni in maniera ripetitiva rispondendo allo stesso segnale sempre con la stessa reazione e che è determinante perché ci consente di compiere moltissime attività (come guidare) in automatico. Ma la biga alata è anche quella parte di noi che, conoscendone il linguaggio, ci dà accesso all’inconscio, ci consente di modificare i programmi che non ci servono più, per far sì che la biga ci possa trasportare in maniera facile e veloce verso la nostra espansione, la nostra evoluzione.
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