«Piacere di rivedervi, dopo tanto tempo». Si presenta così, con il rossetto lobster red che la contraddistingue. Classico accento americano, sorriso apertissimo, sottolineato da voce e sguardo sicuri e maliziosi allo stesso tempo, con quegli occhi che quando ti puntano, non ti mollano un attimo, attenta a quello che chiedi. Emily Jean, “Emma”, Stone, premio Oscar per LaLaLand, capace di trasformarsi in un secondo da femme fatale a nerd, è soprattutto orgogliosa, dopo anni di cinema, del fatto che adesso alla voce attrice, può aggiungere a pieno merito quella di produttrice, un ruolo che "mi offre l’opportunità rischiosa di fare quello che voglio, di provare qualcosa di nuovo e acquisire credibilità".

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Lionel Hahn//Getty Images

Come in Povere creature! (nelle sale dal 25 gennaio), dove Emma Stone è Bella Baxter, una donna che è stata riportata in vita – stile Frankenstein – dal dottor Godwin Baxter (il suo “creatore”), e di cui seguiamo con ammirazione ed entusiasmo il viaggio dalla nascita alla pubertà, da bambina a ragazza scoordinata e infantile, fino alla completa maturazione come donna che esplora le proprie ambizioni e i propri desideri, anche sessuali. Il film è diretto da Yorgos Lanthimos, la sceneggiatura di Tony McNamara adattata dal romanzo di Alasdair Gray, e nel cast ci sono anche Willem Dafoe, Ramy Youssef e Mark Ruffalo. Per Stone e Lanthimos è il quarto progetto insieme, dopo The Favorite, il corto Bleat e Kinds of Kindness, di prossima uscita.

Bella è un'adulta a cui viene trapiantato il cervello di una bambina, è impulsiva e infantile. Com’è stato interpretare quella fase?

Complicato, è stata la più difficile, proprio perché è quella in cui è più grezza e primitiva. Le prime due settimane di riprese sono state complesse, perché stavo ancora cercando di capire come mettere in pratica l’idea che avevo di lei. Recitare spesso è un lavoro imbarazzante, anche sciocco, puoi sentirti stupida per varie ragioni, ma questa situazione è stata esagerata appositamente all’ennesima potenza.

Ci può raccontare il processo di creazione di questa evoluzione fisica?

Ho fatto prove per tre settimane con tutti gli attori, perché volevo conoscerli meglio. Contemporaneamente lavoravo con Yorgos sulla fisicità di Bella, sul suo linguaggio, provando cose sempre diverse. Erano quattro anni che parlavamo del film, e quindi Bella per me non era un’estranea, anzi, la vedevo crescere, era lì da qualche parte, in via di sviluppo. Abbiamo suddiviso la sua evoluzione in cinque momenti, dalla nascita all’età adulta, cercando di capire come si muove, parla, pensa in ogni fase. È stato un lavoro di grande sperimentazione, provando una camminata piuttosto che un’altra, improvvisando e inventando man mano che ci venivano nuove idee».

Ha ripensato all’Emma bambina?

No, perché la cosa straordinaria di Bella è che non ha mai avuto nessun tipo di esperienza simile a quella di una bambina reale. Inutile rifarsi alla mia infanzia e ai miei ricordi. È il personaggio più bello che abbia mai interpretato, è stata un gioia entrare nel suo cervello. Mi è piaciuta moltissimo perché è una persona gioiosa, originale, che non condivide i codici di comportamento “normali”. Non prova nessuna vergogna, non ha alcun preconcetto sul comportamento umano. È impossibile controllarla, anche se tutti sperano di addomesticarla. È molto eccitante, le sue reazioni sono sempre inaspettate.

Molti sottolineano il fatto che ci sia molto sesso nel film. Era importante per raccontare la storia?

Si, il sesso è importante, come altre esperienze che vive, il cibo, l’istruzione, la politica, le relazioni sociali, le amicizie. Bella le vive intensamente senza alcun tipo di barriera. Non potevamo evitare il sesso, sarebbe stato assurdo e soprautto ipocrita nei confronti del personaggio. Sono molto orgogliosa di questo aspetto del film, perché Bella non si vergogna del suo corpo, della sua sessualità e del fatto che il sesso non sia un tabù, anzi, è una liberazione. Per queste scene mi ha aiutata molto Elle McAlpine, la coordinatrice dell’intimità, che ha trasformato l’energia sul set in modo rilassato, sicuro e professionale.

Ci può spiegare com’è il suo processo di collaborazione con Yorgos?

Ci siamo incontrati due anni prima di girare La Favorita, ci conosciamo da dieci anni e siamo molto amici. Farei qualsiasi cosa con lui, qualsiasi. Mi piace lavorare insieme perché abbiamo una collaborazione equa, supportata da idee diverse, quando non andiamo d’accordo a volte litighiamo, poi si discute e si va oltre. Ridiamo molto e ci prendiamo in giro a vicenda. Mi fido ciecamente di lui come regista, e questo per un attore è il dono più grande, mi sento libera di lasciarmi andare e non in obbligo di controllare pensieri e reazioni. Specialmente quando mi sento insicura o sto impazzendo su un dettaglio, un problema da risolvere e so che posso... da noi si dice “piangere liberamente sulla sua spalla”, cosa che ho fatto molte volte, senza essere giudicata. Lo ammiro molto, e benché siamo persone completamente diverse, abbiamo una sensibilità stranamente simile.

È cresciuta in Arizona, lontana da Hollywood. Quando ha capito di voler diventare attrice?

Non riesco a ricordarmi un momento in cui non abbia avuto quel desiderio, è sempre stata l’unica cosa che avevo in mente. A dieci anni ho fatto un’audizione per uno spettacolo in un teatro giovanile locale e da lì non mi sono più fermata. Ho fatto anche parte di una compagnia di improvvisazione teatrale per bambini. Credo che sia un programma che dovrebbe essere disponibile a livello mondiale, perché aiuta molto i bambini più introversi, a me ha aiutato a parlare in pubblico e a migliorare le mie abilità sociali.

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Emma Stone e Yorgos Lanthimos ai Golden Globes 2024

Quali sono state le sue prime esperienze a teatro?

Ho iniziato con i musical, perché amo ballare e cantare, ho fatto danza per dieci anni, ero brava nel tip tap, ma non avevo il talento tecnico di una ballerina. Recitare per me è stata pura terapia, quand’ero bambina ero molto ansiosa, avevo spesso attacchi di panico. Recitare mi ha aiutato a incanalare la mia energia e invece di rivolgerla verso l’interno, ho imparato a sfogarmi e a esternarla.

Il riconoscimento che riceve grazie al suo lavoro aiuta a sciogliere queste ansie?

So che quando seguo troppo i commenti del mondo esterno nei miei confronti divento più ansiosa. Ma con il tempo, ho imparato a riconoscere e accettare gli errori che faccio. Non penso più ai miei fallimenti, ma solo a come posso migliorare. Non sono più così esigente con me stessa.

Piani per il futuro?

Non so, non mi piace fare piani, ma ho molte idee. Mi piacerebbe continuare a fare film come Poor Things. Sono arrivata alla conclusione che non si tratta più di considerare importante quello che gli altri si aspettano da me, ma quello che voglio esplorare io. Che senso ha continuare a fare un mestiere creativo se ascolto solo gli altri e non faccio cose che gratificano me stessa?

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