Un futuro corazzato per l’esercito italiano: tornano in massa i cingolati. Investimenti per 24 miliardi e mezzo di euro - la Repubblica

Un futuro corazzato per l’esercito italiano: tornano in massa i cingolati. Investimenti per 24 miliardi e mezzo di euro

Un futuro corazzato per l’esercito italiano: tornano in massa i cingolati. Investimenti per 24 miliardi e mezzo di euro

Un terzo della somma è già stata stanziata. L’annuncio nel Documento di Programmazione Pluriennale. La partita delle cooperazioni multinazionali tra le aziende

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Un futuro corazzato. Con il ritorno a una massa di cingolati da battaglia come non si vedeva dalla fine della Guerra Fredda: quasi 400 carri armati e altri mille veicoli da combattimento. L’esercito italiano ha varato la rinascita di una forza meccanizzata in grado di affrontare un conflitto su larga scala, con una trasformazione radicale negli equipaggiamenti e nell’organizzazione. I piani sono pronti; mancano la scelta dei modelli e soprattutto la definizione delle alleanze industriali per gestire un’operazione così ambiziosa e costosa: l’impegno preso dal governo Meloni proseguirà per almeno tredici anni con la previsione di costare complessivamente 24 miliardi e mezzo di euro, un terzo dei quali già stanziati.

Non c’è nulla di segreto. La risurrezione delle brigate corazzate è stata annunciata nel Documento di Programmazione Pluriennale, illustrato dal ministro Guido Crosetto alle Commissioni parlamentari nello scorso novembre: numeri, programmi e stanziamenti sono indicati nelle tabelle fornite alle Camere. L’esecutivo l’ha presentata come necessaria per soddisfare le richieste della Nato, che domandano all’Italia la disponibilità di tre brigate corazzate. Oggi in pratica non ce ne sono, perché nella stagione delle missioni di pace tank e cingolati erano diventati quasi inutili: una manciata di carri Ariete fu spedita a Nassiriya per qualche mese nel 2004 e dieci cingolati Dardo vennero mandati nel 2008 a Herat per “accompagnare” i battaglioni afghani addestrati dai nostri militari. Con i tagli ai bilanci e agli organici, sono rimasti in servizio poche decine dei duecento Ariete acquistati trent’anni fa mentre i duecento Dardo disponibili stanno diventando obsoleti.


TORNANO I PANZER

Davanti all’invasione dell’Ucraina, il governo Draghi ha fatto il primo passo: è stato deciso di modernizzare 125 Ariete, cambiando motore e strumentazioni, con una spesa di 1.250 milioni. L’esecutivo Meloni poi ha fatto le cose in grande: si è deciso di adottare il Leopard 2A8 tedesco, ultima versione dell’unico tank rimasto in produzione in Europa. Un modello in linea dalla fine degli anni Settanta, che ha dato una prova controversa nella controffensiva ucraina ma è praticamente senza alternative. Le caratteristiche esatte del nuovo panzer vanno ancora definite, per stabilire il contributo delle aziende nazionali. Il documento della Difesa prevede l’acquisto di 133 esemplari da battaglia, con il possente cannone da 120 millimetri, e 140 senza torretta con ruspe, gru, ponti mobili e apparati da sminamento. L’investimento complessivo è stimato in 8,24 miliardi, da qui al 2037.

I CINGOLATI D’ASSALTO

Accanto ai panzer, nelle brigate corazzate ci sono mezzi cingolati che trasportano squadre di fanti e le proteggono con il fuoco di cannoncini a tiro rapido o missili anti-tank. Di fatto, assieme all’artiglieria sono i veri protagonisti degli scontri tra russi e ucraini. I Dardo con arma da 30 millimetri, acquistati dal 2002, sono considerati non aggiornabili. Ed ecco la scelta di rimpiazzarli con un veicolo innovativo, da costruire in mille esemplari perché sarà il “cavallo da battaglia” dell’esercito nel prossimo futuro. “Tutti i documenti relativi alle richieste operative sono stati approvati e il ministro della Difesa ha allocato una parte importante dei fondi necessari”, ha dichiarato giovedì al sito specializzato Defensenews il generale Francesco Olla, responsabile del reparto pianificazione della forza armata: “Le attività per stabilire i contratti inizieranno nei prossimi mesi”. Nel bilancio è prevista una spesa di 5,2 miliardi in 14 anni, precisando però che l’intero programma – chiamato ora Army Armored Combat System (A2CS) – richiederà in tutto 15 miliardi. Si ipotizza che questi veicoli abbiano torrette con armi diverse: mitragliere da 30 millimetri, cannoni, mortai.


LE GRANDI MANOVRE

In Italia non si producono più cingolati corazzati da un quarto di secolo. Li realizzava la Oto Melara di La Spezia, del gruppo Leonardo, assieme alla Iveco Defence Vehicles di Bolzano, leader internazionale nei blindati su ruote. La montagna di miliardi messi sul tavolo dal ministero della Difesa ovviamente fa gola non soltanto alle industrie nazionali. Allo stesso tempo – come ha sottolineato il generale Olla – “non vedo un Paese europeo in grado di sviluppare da solo un programma tecnologico così complesso, che richiede costi e conoscenze notevoli. Ci aspettiamo di vedere una cooperazione multinazionale e sono sicuro che il recente accordo firmato da Leonardo e KNDS è un passo incoraggiante in questa direzione”.

KNDS è il consorzio franco-tedesco che studia il nuovo tank europeo, fermo sulla carta da un decennio. Uno dei partner è la Krauss-Maffei Wegmann che realizza proprio il Leopard 2. La prima intesa andrà definita sulla realizzazione di questi carri, stabilendo quali componenti italiane si potranno installare, oltre al ruolo di Leonardo ed Iveco. In questo caso, però c’è un modello di riferimento chiaro. La partita del nuovo cingolato invece è tutta da inventare.

Negli scorsi mesi si era parlato di un’evoluzione del diffuso CV90 anglo-svedese, che però appare già datato. Un portavoce di KNDS ha detto che “potrebbe esserci una collaborazione” sul nuovo mezzo. Verrebbe presa in considerazione una variante su cingoli del Boxer – un mezzo a otto ruote adottato da Germania, Olanda e Gran Bretagna -, di cui esiste un prototipo. Il generale Olla, esprimendo la posizione del governo, ritiene che sia necessario un progetto interamente in mano all’industria nazionale: “Non è soltanto una questione di investimenti e di posti di lavoro nel nostro Paese, ma anche un problema operativo in termini di logistica dei sistemi e degli sviluppi che ci saranno. Questo non significa che l’Italia potrà fare da sola, ma dobbiamo recuperare la capacità industriale di produrre piattaforme d’alta qualità, che siano il miglior strumento da mettere in mano ai nostri militari per avere la massima possibilità di compiere la missione e tornare sani e salvi”.

Sul mercato europeo c’è un solo mezzo di concezione recente e in produzione, il Lynx di Rheinmetall, che potrebbe diventare la base per definire la nuova macchina senza ripartire completamente da zero. “Il Linx è il più moderno disponibile. Ha un’architettura aperta e possiamo trasferire all’Italia la tecnologia e la proprietà del progetto – ha spiegato Alessandro Ercolani, amministratore delegato di Rheinmetall Italia -. Altrimenti ci sarebbe bisogno di 5-7 anni per disegnare un nuovo veicolo, qualcosa che non viene fatto nel nostro Paese dal 1990, e ci sarebbero costi più alti da considerare”.

LE SORTI DELL’INDUSTRIA

Leonardo è il colosso nazionale del settore e l’amministratore delegato Roberto Cingolani ha più volte posto l’enfasi sulla necessità di stabilire alleanze europee per i progetti ad alta tecnologia ed alto costo. Il ministro Crosetto, sulla linea del suo predecessore Lorenzo Guerini, considera l’investimento sul nuovo cingolato come il perno per entrare nei giochi sul futuro tank europeo. Defensenews evidenzia come però anche a Roma si debbano stabilire gli equilibri tra Leonardo e Iveco Defence Vehicles. L’ipotesi che il colosso pubblico di piazza Montegrappa acquisti l’azienda privata è stata ventilata nel passato recente, senza mosse concrete. Così come Oto Melara è stata corteggiata sia da KNDS che da Rheinmetall. Adesso la prospettiva di contratti per quindici miliardi cambia lo scenario e potrebbe innescare un effetto domino.

In ballo ci sono tanti soldi, tanti posti di lavoro e la ricerca su un avanzato: i mezzi corazzati non sono più gusci d’acciaio mobili, come i vecchi M113, ma centrali zeppe di strumentazioni hi-tech, dai sistemi di puntamento alle reti di connessione, dagli apparati di disturbo anti-drone alle protezioni attive anti-missile. Questi contratti sono scelte strategiche per il destino del Paese, che condizionano già oggi risorse enormi ma avvengono nella disattenzione generale.

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