Un Pasteur: un gregge di pecore e il lupo conquistano il Trento Film Festival
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Un Pasteur: un gregge di pecore e il lupo conquistano il Trento Film Festival

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Un pasteur di Louis Hanquet è un documentario che ha rubato attenzione e cuore degli spettatori del concorso del Trento Film Festival. La storia di un pastore solitario, delle sue pecore e del lupo tornato a minacciare la loro quotidianità nelle montagne del sud della Francia. Abbiamo incontrato il regista.

Un Pasteur: un gregge di pecore e il lupo conquistano il Trento Film Festival

Ci sono un lupo e delle pecore, in un alpeggio fra le cime di montagne scolpite dal tempo. Sembra la premessa di una favola, e a modo suo in fondo è così, ma il protagonista è un pastore, giovane e solitario, innamorato del suo lavoro, degli animali e della natura. Il documentario Un pasteur è la cosa migliore che abbiamo visto finora al Trento Film Festival. È un film su una dinamica ancestrale, come quella per la vita e la morte di un gregge di pecore, e allo stesso tempo molto contemporanea, come la lotta contro un predatore sparito da tempo da quelle montagne del sud francese, il lupo, da poco tornato a minacciare la quotidianità di pastori e allevatori.

Félix è il pastore, ha trent’anni e imparato dal padre Francis cosa voglia dire la migrazione delle greggi verso pascoli di pianura (in inverno), e viceversa affrontare in estate la risalita verso le vette. Transumanza, alpeggio, termini antichi resi comprensibili e frontali, violenti e ipnoticamente affascinanti dal regista Louis Hanquet, all’esordio alla regia dopo aver lavorato in molti ambiti della produzione cinematografica. Lo abbiamo incontrato a Trento, dove compete per la Genziana d’oro.

"Sono partito da un’inchiesta sul ritorno del lupo in Francia, avvenuta nella regione che racconto molto recentemente. Ho voluto incontrare delle famiglie di contadini e pastori, per raccontare inizialmente i danni invisibili provocati dal predatore, le angosce e le depressioni da parte di persone che vogliono abbandonare un mestiere che fanno da anni. In Francia abbiamo perso l’abitudine di avere a che fare con il lupo. Un giorno ho conosciuto Félix (e il padre Francis), è stato un vero colpo di fulmine come quello che un regista può avere per un personaggio. Aveva qualcosa di misterioso in sé, ho sentito che poteva trasformarsi in un grande personaggio cinematografico. Ma non voleva essere filmato, era diffidente, si è costruito una bolla dentro la quale non faceva entrare facilmente. C’è voluto l’impegno militante del padre, che vedeva di buon occhio la possibilità di dare visibilità alla loro lotta sindacale e alla loro maniera molto artigianale di lavorare, all’antica, e un lungo periodo di nove mesi trascorso insieme seguendolo durante la transumanza per portarlo a fidarsi, accettando di essere ripreso. Sono fra i pochi a spostarsi ancora molto con gli animali, addirittura 250 chilometri in dieci giorni. Ci siamo molto avvicinati in quelle giornate, ha capito che non ero con lui solo per girare qualche immagine e sparire, ma che anche io ci mettevo tutto me stesso nel mio lavoro. Mi ha detto che potevo a quel punto andare con lui durante l’estate in alpeggio. Solo in quel momento sono iniziate le riprese del film.

Immagino che abbia girato molte ore di materiale

Le riprese sono durate due anni, durante periodi limitati. Avevo una novantina di ore di girato, che non è moltissimo in realtà per questo genere di documentari. Non giravo molto durante la giornata, passavo molto tempo a fare delle cose con lui, aiutandolo. È stata la maniera con cui abbiamo lavorato, per dargli anche qualcosa in cambio. Non è facile poi riprendere in montagna, non c’è molta elettricità dove va lui. Bisognava trasportare delle batterie. Avevamo le stesse limitazioni di quando si girava in pellicola: finite le batterie non si poteva più girare. Abbiamo fatto molta attenzione a quando e cosa girare.

Mi è sembrato in alcuni momenti un film di guerra, ma senza le battaglie. Con le greggi e un nemico invisibile come il lupo, senza una vera esplosione di violenza, alle prese con la preparazione allo scontro, e poi il tentativo di limitare i danni dopo gli attacchi del predatore, con le pecore uccise o gravemente menomate.

Ho trovato sconvolgente la maniera di lavorare di Félix, specie rispetto ad altri allevatori che vedono gli animali come una risorsa da sfruttare. Lui considera ogni essere vivente non umano come sensibile al cento per cento. Ha un legame affettivo molto forte con i suoi cani, per esempio. È questo che mi ha spinto a riprendere gli animali come gli esseri umani, catturando la loro espressione, mettendomi alla loro altezza. Con gli animali ha una vera relazione di scambio, comunica molto con un linguaggio non verbale. Mi ha spinto a domandarmi molto sul rapporto con la natura, oltre che con gli animali.

Cosa pensa del lupo, fa parte della natura, ma da molto tempo non è autoctono in quelle zone e sembra diventato ormai un nemico predatore?

Oggi non sono autoctoni in Francia perché sono stati sradicati in maniera selvaggia e criminale in passato. In Francia abbiamo bruciato foreste, avvelenato fiumi e fatto cose terribili per cancellare una specie. È stato considerato un problema all’interno di una visione molto produttivistica e capitalista dell’agricoltura. Abbiamo completamente distrutto gli animali selvaggi, alterando l’ecosistema francese in maniera molto violenta. Il ritorno oggi del lupo crea dibattito, io non posso dire di essere a favore o contro, ho molta empatia per i pastori che soffrono, e molta ammirazione per quelli che trovano una maniera per coesistere, evitando di reagire solo con la rabbia e la rivendicazione di chi li vuole sterminare di nuovo. Ci sono molti modi oggi per proteggersi dai lupi, che siano i recinti elettrici o i cani che proteggono. Sono grandi e bianchi e li mostro nel film, vengono dall’Italia, dall’Abruzzo. Anche se per Félix è una paura quotidiana, allo stesso tempo lo ritiene un rischio naturale con cui bisogna saper convivere. È vero che rende il mestiere di pastore o allevatore più difficile, come il clima o il rischio delle malattie. Comprendo chi è molto arrabbiato, ha il diritto di esserlo, specie i più anziani, che hanno perso l’abitudine di proteggersi e devono affrontare una quota ulteriore di lavoro. Felix ha poco più di trent’anni e ha imparato il mestiere quando il lupo era già presente. Penso che fra una decina o quindicina d’anni la questione sarà regolata e la convivenza possibile.

Felix è un pastore solitario, che ha stabilito un contatto esclusivo e assoluto con la natura

La solitudine contemporanea è legata al vivere nella solitudine pur vivendo nelle grandi città uno accanto all’altro, lui vive in una solitudine fatta di essenzialità, allo stesso tempo piena di altro rispetto agli esseri umani. Ha un legame molto forte con la natura, che gli pone ogni giorno questioni di vita o di morte. Poi ci sono i suoi adorati animali, di cui deve prendersi cura.

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