Danimarca sotto accusa: negli anni ‘70 impose la spirale a migliaia di groenlandesi a loro insaputa. “Ora paghi” - la Repubblica

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Danimarca sotto accusa: negli anni ‘70 impose la spirale a migliaia di groenlandesi a loro insaputa. “Ora paghi”

Foto di Naja Lyberth (dal sito di DR)

Foto di Naja Lyberth (dal sito di DR)

 

Copenaghen non voleva che la popolazione del suo territorio autonomo aumentasse. Le giovani erano anche tredicenni e del tutto ignare: i medici non chiedevano il consenso ai genitori. In alcuni casi la procedura portò all’infertilità. In 67 chiedono un risarcimento

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La groenlandese Naja Lyberth aveva 14 anni quando nel 1976, senza il consenso suo e dei genitori, medici danesi le impiantarono una spirale. Ricorda ancora le gambe nelle staffe dell'ospedale di Maniitsoq, e il medico in camice bianco che prende gli strumenti dal vassoio. “Era come avere dei coltelli dentro di me”, ha raccontato. È una storia che ha rivelato per la prima volta sei anni fa, ma con cui in questi anni la Danimarca ha preferito non fare i conti. Fino ad oggi.



Sull’onda di un podcast di successo della rete pubblica DR, ora 67 donne hanno infatti deciso di far causa allo Stato danese – di cui la Groenlandia fa parte come territorio autonomo – per chiedere 300mila corone ciascuna, circa 35mila euro. Le 67 donne sono solo una piccola parte delle 4.500 giovani che tra il 1966 e il 1970 subirono questo trattamento, spesso quando erano persino 13enni, spesso senza il consenso dei genitori e anche senza avere la minima idea di cosa stesse succedendo. Il tutto avrebbe avuto gravi conseguenze sulla loro salute e sulla loro vita in generale.


(reuters)

Il perché delle sterilizzazioni forzate

Ma perché la Danimarca impose le spirali alle groenlandesi in età fertile? Perché la popolazione della Groenlandia stava crescendo troppo in quegli anni. Nel 1966 si raggiunse il picco: 1.781 bambini in un anno, l’80 per cento in più rispetto a 15 anni prima. E Copenaghen lo riteneva un problema: non solo perché molte delle groenlandesi erano giovani madri single (il 25% contro il 9% delle danesi), ma soprattutto perché ora che non era più una colonia, ma un territorio autonomo del Regno danese, alla Groenlandia spettavano asili, scuole, infrastrutture e sempre più fondi.

Così, tra il 1966 e il 1970, 4.500 Iud – dispositivi intrauterini – vennero impiantati in metà delle 9mila donne fertili della Groenlandia. Le spirali erano considerate più “sicure” di preservativi e pillole, e non importa che il Lippes Loop, lo Iud utilizzato, provocasse alle donne sofferenze. Nel 1970 la legge venne anche modificata per consentire ai medici di guidare le ragazze sulla contraccezione a partire dai 15 anni senza il consenso dei genitori. In pochi anni il tasso di natalità diminuì, Copenhagen se ne rallegrò pubblicamente ma nel 1974 venne censurata dall’Onu per questa pratica delle spirali nell’ex colonia.

Naja Lyberth

Naja Lyberth

 

L’inchiesta ufficiale e la causa in tribunale

Quest’anno lo Stato Danese il governo della Groenlandia, il Naalakkersuisut, hanno lanciato un’inchiesta sul caso delle spirali e di altre pratiche anti-fertilità portate avanti in Groenlandia tra il 1960 e il 1991 (in quell’anno, grazie all’autonomia, il territorio ha ripreso il controllo del sistema sanitario). Il problema è che il risultato dell’inchiesta non si saprà prima del maggio 2025. Quando, come dice l’avvocato delle querelanti, Mads Pramming, alcune di loro potrebbero essere morte senza avere ricevuto giustizia. Da qui la decisione di chiedere un risarcimento. Perché lo Stato metta nero su bianco ciò che ormai si sa già, sostiene Pramming: “C'era una campagna e c’era il desiderio di ridurre la crescita della popolazione in Groenlandia”. Anche Aaja Chemnitz, deputata danese del partito groenlandese Inuit Ataqatigiit, è d’accordo con il doppio binario.

La decolonizzazione dei corpi

“Un medico venne in classe e il giorno dopo ci portarono in ospedale. Ci introdussero una spirale senza che noi ce ne rendessimo conto, senza che ai nostri genitori venisse chiesto nulla, e in questo modo venimmo sterilizzate per un periodo più o meno lungo”, ha raccontato Naja Lyberth, psicologa e attivista, alla DR, aggiungendo come nessuno si prendesse poi cura delle ragazze, lasciate sole a combattere con le conseguenze, che fosse il dolore per le infezioni e le emorragie interne o anche l’infertilità.

Per Lyberth, che dopo molte difficoltà è riuscita ad avere un bambino a 35 anni, lo Stato le discriminò chiaramente: “Non potevo reagire. Non ero stata educata per affermarmi contro l’autorità. Avrei voluto farlo, ma a 14 anni non potevo”. Il lungo percorso che l’ha portata a sbarazzarsi fisicamente e moralmente di quella spirale Naja Lyberth l’ha chiamato la “decolonizzazione del mio stesso corpo”: “Era come se fossi proprietà dello Stato. Il mio corpo, il mio addome erano proprietà dello Stato, non erano miei. Ora posso dire che il mio corpo è mio”. Adesso manca solo che anche lo Stato danese lo riconosca ufficialmente.

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