cinema e Teatro

È morta Valentina Cortese, musa di Strehler, attrice per Fellini e Truffaut

Dietro la signora mondana c’era una professionista caparbia e sensibile. A lungo fu compagna d’arte e di vita di Giorgio Strehler. La sua Ilse dei «Giganti della montagna» di Pirandello ha segnato una generazione di spettatori. Ugualmente la sua Ljuba del «Giardino dei ciliegi» , in entrambi i casi sotto la regia di Strehler. Al cinema lavorò con  Antonioni, Fellini, Losey, Zeffirelli , Truffaut

di Renato Palazzi

3' di lettura

È morta a Milano Valentina Cortese. L'attrice aveva 96 anni. Originaria di Stresa, è stata una delle attrici di punta del teatro del dopo guerra e del grande cinema italiano. Vi riproponiamo il ritratto di Renato Palazzi.

«Valentina sembra una donna fragile, eterea – diceva di lei Paolo Grassi – ma viene dalla campagna, e ha dentro di sé una forza contadina». La descrizione si riferiva alla persona, ma in buona parte investiva anche il talento dell’attrice. Dietro le apparenze della signora mondana, della sofisticata frequentatrice di salotti, elegantissima sotto quei turbanti che ne ponevano in risalto la finezza dei lineamenti, c’era una professionista caparbia e sensibile, capace di scrutare nelle più intime profondità delle figure femminili che incarnava alla ribalta. La sua personalità, la sua vocazione interpretativa sembravano spingerla verso lo svolazzo decorativo, l’arabesco rococò, ma questa impressione veniva subito smentita dalla capacità di trasformare le sonorità flautate della voce negli echi di un sentimento inquieto, tormentato.

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Se il personaggio le apparteneva, ne ricavava suggestive vibrazioni. Se non le apparteneva, faceva in modo di impossessarsene imponendogli il suo stile. Non per nulla era stata a lungo la compagna d’arte e di vita di Giorgio Strehler. Di Valentina Cortese conservo due intensissime impressioni personali. La prima è la sua s quassante Ilse, la contessa-attrice votata al sacrificio di sé nella celebre messinscena strehleriana del ’67 dei Giganti della montagna di Pirandello, uno spettacolo che ha segnato una generazione di spettatori. Esangue, gli occhi spiritati, stesa sullo sconnesso carretto dei comici, smaniosa di recitare il testo di un poeta morto per amor suo, era come consunta dal suo ardore, ma disperatamente impavida nel suo andare a esibirsi di fronte ai Giganti, percossa, schiacciata dalla loro rude indifferenza, come scossa da una corrente elettrica, e alla fine squartata, fatta a pezzi.

Dai set del grande cinema italiano al Piccolo Teatro di Strehler

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Quando il sipario di ferro scendeva a stritolare la sua carretta pareva annunciare la fine del teatro, dell’arte, della nostra coscienza.
La seconda, di pochi anni dopo, è legata alla Ljuba del Giardino dei ciliegi, con la sua palpitante emotività, coi suoi soprassalti di nostalgie infantili. Strehler, chissà perché, non era rimasto contento di questa sua prestazione. Ma lei era magnifica nel lungo monologo del secondo atto: «I miei peccati... - diceva scrutando abissi di acre amarezza – Ho sempre gettato via i soldi, come una pazza. Ho sposato un uomo che non faceva altro che debiti. Mio marito è morto di champagne...».

Seduta nell’erba, accanto a un ombrellino bianco che anticipava l’ombrellino della Winnie di Giorni felici, allestito da Strehler con Giulia Lazzarini una decina d’anni più tardi, dopo avere evocato la febbrile sintesi di un’esistenza sprecata, stracciava il telegramma da Parigi con cui l’amante le chiedeva di tornare, ne buttava i frammenti nell’ombrello, poi lo sollevava venendo come sommersa da quella piccola nevicata di carta, emblema di un’infelicità assoluta, quasi beckettiana.

Altri grandi exploit recitativi li aveva offerti nella Santa Giovanna dei macelli con cui Strehler, nel ’70, era tornato a Brecht sette anni dopo il Galileo: in divisa da Esercito della Salvezza, si prodigava a distribuire un fondo di minestrina agli operai di Cicago stremati dagli scioperi, ingaggiando serrati duelli verbali col grifagno capitalista Mauler di Glauco Mauri. E poi nera, luttuosamente carnale nella Lulu di Wedekind in cui Patrice Chereau l’aveva voluta anche in segno di continuità col modello strehleriano.

Con Strehler aveva inoltre interpretato Platonov e gli altri, la seconda edizione del Nost Milan, le due serate shakespeariane del Gioco dei potenti. Con Virginio Puecher L’eredità del Felis di Luigi Illica, con Grüber Il processo di Giovanna d’Arco a Rouen di Anna Seghers, in un’improbabile tuta di cuoio nero, con Zeffirelli la Maria Stuarda a fianco di Rossella Falk. Dopo la fine della relazione con Strehler, si era come sempre più ritratta dal teatro.

Per quanto riguarda la sua vasta attività cinematografica, va segnalata, nel ’73, la nomination agli Oscar per Effetto notte di François Truffaut. Fra gli altri film cui aveva partecipato, L’orizzonte dipinto di Guido Salvini, che ne aveva segnato l’esordio, I corsari della strada di Dassin, Ho paura di lui di Robert Wise, sul cui set aveva incontrato il primo marito, Richard Basehart, e poi Le amiche di Antonioni, da un racconto di Pavese, Giulietta degli spiriti di Fellini, Fratello Sole, sorella Luna di Zeffirelli, L’assassinio di Trotskij di Losey, Un’orchidea rosso sangue di Chereau.

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