Mia libertà, mi sento proprio un traditore,
(Claudio Baglioni)
che brutto guaio che è l’amore, mia libertà”…
Oggi parlerò del film “Un cuore in inverno” di Claude Sautet (1992).
Una teoria personale
Io ho una personale teoria. Credo che nella vita ognuno si costruisca un mondo interiore che spesso entra in conflitto con quello esterno. Ma con mondo interiore, non intendo solamente la visione che ciascuno ha di sé, ha dentro di sé; intendo anche il lavoro, la famiglia, gli amici, gli hobby, ecc..
Per questo motivo, anche se tante volte ci si lamenta del lavoro, o di altro, non si ha né la voglia né il coraggio di dare una spallata e via. Una possibilità (non so se l’unica) di mettersi in gioco e rischiare tutto quello che si è costruito, è data – secondo me – dall’innamorarsi. Dal “cadere in amore” (to fall in love), non, dall’amore. L’amore è un’altra cosa: è ragione, intelletto, è, una volta di più, trovare sicurezza e autogratificazione.
Mi viene da pensare che forse è per questo che più si ottengono risultati nella vita (più si invecchia), meno ci si sente pronti al “grande salto”: ecco perché i ragazzi, i giovani, sono così disposti a seguire Cupido senza esitazioni.
Sarà sicuramente una teoria strampalata e suscettibile di molte critiche, ma, mentre scrivo, sto uscendo fuori da qualcosa di simile e vorrei cercare di capire. E poi stavo giusto cercando un appiglio per il film di Sautet, una giustificazione per Stéphane, il protagonista.
Messa in questo modo, forse è più facile comprendere perché lui non se la senta di tradire (vedi Baglioni) la sua libertà e di unirsi con Camille.
“Io lo so che non sono niente. Amo il mio lavoro e lo faccio bene. Ma tu hai ragione: c’è qualcosa dentro di me che non mi va […] Sì, mi rendo conto che non sono gli altri che distruggo, ma me stesso…”
Stéphane mette il suo “cuore in inverno”, continua una vita piena di gratificazioni lavorative, ma, non accetta di buttarsi fra le braccia di Camille.
– “Lei è mai stato innamorato?”
– “Mi dev’essere successo…”
Interpreti e musica
Il film è ispirato alla novella “La principessina Mary”, uno dei racconti de “Un eroe del nostro tempo” di Michail Jur’evic Lermontov (1840). Sautet ne fa una rivisitazione molto personale, con una costruzione della storia che si sviluppa attraverso pochi dialoghi, molti silenzi, sguardi intensi e tanta, tanta musica (Maurice Ravel).
Decisamente notevole, è anche l’interpretazione dei due protagonisti: una mai così affascinante e ambigua Emmanuelle Béart (Camille) e un reticente e stralunato Daniel Auteuil (Stéphane).
Come avevo già rilevato per Eric Rohmer, anche Claude Sautet affronta gli imperscrutabili percorsi dei sentimenti, analizzando con eleganza e delicatezza la complessità dell’animo umano, con i suoi limiti, le sue contraddizioni e le sue paure.
Il regista francese, che aveva nel 1992 quasi settant’anni (era nato nel 1924), firma con “Un cuore in inverno” la sua penultima regia e, con questa pellicola, raggiunge una perfezione stilistica che mette d’accordo pubblico e critica.
Claude Sautet
Nato nella periferia di Parigi, dimostra fin dall’adolescenza un grande talento musicale (scriverà anche articoli riguardo questo argomento sulla rivista “Combat”), ma, dopo aver frequentato la scuola di cinematografia IDHEC (Institut des Hautes Études Cinématographiques), si dedica decisamente alla settima arte. Fa esperienza come aiuto di grandi registi francesi e tra gli anni Cinquanta e Sessanta, comincia a firmare i suoi primi lavori come regista e come sceneggiatore.
Dopo essersi cimentato nel poliziesco, si rivela anche un finissimo osservatore della coppia borghese, trattando nei suoi film tematiche quali l’amicizia, l’amore, la morte, il tempo che passa e – in modo particolare – le verità del cuore. I suoi ultimi tre film vedono, oltre che la Béart e Auteuil come protagonisti, anche il felice incontro con lo sceneggiatore Jacques Fieschi. Sautet è morto a Parigi nel 2000 per un cancro al fegato.
“Un cuore in inverno” è stato un successo anche in Italia (tra i primi 50 al botteghino) e ha conquistato il “Leone d’argento – Premio speciale per la regia”, alla 49a Mostra del Cinema di Venezia.
Note e curiosità
E io che credevo che un po’ tutti ci fossimo comportati nella vita come Stéphane… Spulciando fra curiosità più o meno interessanti, mi salta agli occhi la notizia che il comportamento di chi si tira indietro, di chi ha paura di amare, è una vera e propria malattia: la “alessitimia”. I cuori in inverno esistono davvero, ma scongelarsi è possibile (grazie all’aiuto dello psicanalista).
Un pizzico di gossip. Nel tempo in cui viene girato “Un cuore in inverno”, Emmanuelle Béart e Daniel Auteuil hanno una relazione, iniziata nel 1984. Nel 1992 nasce la loro figlia (Nelly Auteuil) e, nel 1993, si sposano. Divorziano nel 1995.
Su Sautet nel 2004 è stato girato il documentario di Nguyen Trung Binh dal titolo “Claude Sautet ou la magie invisible”.
L S D
Un cuore in inverno
Regia: Claude Sautet
Interpreti: Emmanuelle Béart, Daniel Auteuil e André Dussollier