Le lycéen, di Christophe Honoré

Un film personalissimo dedicato al padre sugli effetti immediati del lutto. Intensissimo, devastante e lascia scoperti con residui post-Nouvelle Vague ancora travolgenti. Fuori Concorso

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Comincia come una confessione angosciata, finisce con un sorriso. In mezzo c’è la fragilità adolescenziale alimentata ancora di più da un evento tragico. Per questo il cinema di Honoré trova tante pause. Necessarie e liberatorie. E qui entra in gioco Conchiglie, il brano di Andrea Laszlo De Simone, cantato a voce e nel finale. Le parole della canzone entrano, come per incanto, nella sceneggiatura. “Non ti sei fatto male/Proprio come pensavo/Vedi, non serve a niente/Ripararsi dal vento/Siamo solo conchiglie/Sparse sulla sabbia/Niente potrà tornare/A quando il mare era calmo”. Sono nella testa di Lucas, 17 anni. E da lì il ragazzo riparte, prima in modo più incerto, poi più deciso come nel finale dove, dallo schermo di uno smartphone, canta di nuovo quella canzone. La voce-off tormenta Lucas. “Le mie idee mi spaventano” – “Sento che non sono io”. Si incrocia inizialmente con i dialoghi, non li sopprime ma li sovrasta come nella scena in macchina del ragazzo con il padre. Poi il lutto. Che devasta la sua esistenza e la rimette in gioco. C’è il volto devastato della madre interpretata da Juliette Binoche e la rabbia del fratello Quentin, con Vincent Lacoste al quarto film con Honoré. Il loro rapporto conflittuale ma pieno d’amore è tra i tantissimi momenti intensi di Le lycéen: la rissa durante la cena dopo il funerale, il mazzo di fuori portato da Lucas per chiedere scusa, il dolce tirato in faccia per gioco durante un pranzo assieme alla madre.

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Il viaggio a Parigi per Lucas diventa un’altra pagina della sua esistenza. Una morte, una nuova rinascita. L’amicizia con Lilio, l’insoddisfazione e le pulsioni di un desiderio che procedono parallelamente. Le lycéen è un film personalissimo, dedicato al padre (qui interpretato proprio dallo stesso Honoré) morto quando il regista era ancora adolescente. Aveva già affrontato il tema nei suoi romanzi e nella pièce teatrale Le ciel de Nantes ma mai in un film. Trova la naturalezza e l’incredibile istinto puramente cinematografico di Paul Kircher nei panni di Lucas, riaffronta un altra storia dove l’amore è intenso come la morte come in Plaire, aimer et courir vite e le confessioni con sguardi in macchina hanno ancora un effetto travolgente, residui post-Nouvelle Vague senza mai nessun vizio di forma.

Non è un film sull’elaborazione del lutto ma proprio sui suoi effetti immediati. Dove ci si sente per un momento fortissimi e subito dopo incapaci di affrontare quel dolore che è vero, aumenta i battiti del cuore e scorre sotto la pelle. È quello che succede a Lucas. Prima saluta, abbraccia e sorride a tutti i suoi parenti, poi in macchina è in preda di una crisi. “Perché ci viene così difficile dire che le cose vanno male”. Le lycéeen è un film che (ci) mette a nudo e lascia scoperti e indifesi. Va assorbito perché è troppo potente. E ritorna emotivamente ancora di più qualche ora dopo la visione. Lo stesso effetto che ha fatto Le vent de la nuit di Philippe Garrel. Ha anchi tanti (ma non troppi) finali. Cerca quello giusto, insieme a noi. Quello dopo è sempre più bello, come la corsa nella sopraelevata alla stazione dopo aver accompagnato al treno Lelio. L’ultimo è quello che resta. Probabilmente a lungo.

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La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.6
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